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Il Natale di Annarella

Creato il 27 dicembre 2014 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr
Il Natale di Annarella

Questo brano è tratto dal romanzo "Un, due, tre, stella!" di Ida Verrei.

… La camera da pranzo si animava davvero e appariva allegra, gioiosa e luminosa durante le ricorrenze.

A Natale, in particolare, tutti si davano da fare: Federico addobbava il grande abete odoroso, Fioretta ed io gli porgevamo le palline di vetro colorato, attente e divertite, Lisa allestiva il Presepe sul ripiano di una credenza, sotto lo sguardo critico della nonna. La zia Agata sgombrava i mobili da pezze, gomitoli e riviste di cucito, per far spazio a vassoi pieni di prelibatezze, che iniziava a preparare settimane prima.

La casa si impregnava di odori stuzzicanti, misti al profumo d’incenso delle pigne che venivano abbrustolite e aperte sulla fiamma del fornello a carbone.

Tutte le tradizioni erano rispettate, così come esigeva la nonna.

Dall’otto dicembre fino al giorno della Vigilia, con precisione quotidiana, in casa arrivavano gli zampognari per la novena di Natale. Rubicondi contadini che venivano dalle montagne dell’Avellinese: portavano giacche puzzolenti di pelliccia di pecora, stivali con stringhe di cuoio allacciate sulle calze pesanti di lana colorata, cappellacci di feltro, unti e sfilacciati. Gonfiavano le guance arrossate dal freddo soffiando nelle loro zampogne le note di Tu scendi dalle stelle.

Li osservavo incantata, erano identici ai pastori del presepe.

Al termine, la zia offriva loro un bicchiere di vino e una mancia generosa. Se ne andavano ringraziando in un dialetto incomprensibile, lasciando una scia di odore selvatico e l’eco di quella melodia, un po’ gracchiante, ma carica di emozioni e suggestioni.

L’atmosfera natalizia raggiungeva il culmine la sera della Vigilia: il grande tavolo quadrato veniva allungato con le assi di legno grezzo riposte di solito nel mezzanino, la zia Agata vi stendeva sopra la tovaglia buona, quella tutta ricamata. Piatti e bicchieri presi dalle credenze erano quelli delle feste, porcellana e cristallo, le posate, d’argento. Ogni cosa doveva essere ‹‹perfetta e luccicante››, diceva la nonna, ‹‹anche se siamo tutti di famiglia››.

E la famiglia si riuniva al completo in quelle occasioni.

Alle sette di sera arrivava Francesco, poi la zia Nuccia e lo zio Arturo col cugino Pietro.

Si respirava allegria in quella stanza calda e accogliente, tutti apparivano sereni e rilassati. Mio padre e lo zio Arturo facevano a gara nel raccontare barzellette, dire spiritosaggini, prendere in giro scherzosamente tutti i commensali, declamare poesie composte per l’occasione. E la nonna rideva, rideva felice con tutto il corpo, il doppio mento le ballava sul collo, il petto enorme sobbalzava ad ogni scroscio di risa, le lenti degli occhiali le si appannavano e lei le toglieva ogni tanto per ripulirle, con un gesto che le era abituale anche quando era molto arrabbiata.

Pure la zia Agata era contenta e soddisfatta, il suo bel viso diventava addirittura luminoso, tutti le facevano complimenti per le pietanze succulente che arrivavano in tavola. Persino lo zio Gennarino, che di solito mangiava in silenzio con la testa china sul piatto, elogiava l’abilità della moglie e, sostenuto da qualche bicchiere di buon vino, mostrava di divertirsi agli scherzi e alle lepidezze dei cognati, che spesso lo prendevano di mira.

Al termine della cena, iniziava la distribuzione dei doni, momento che Fioretta ed io attendevamo, cercando di resistere al sonno e sollecitando gli adulti con richieste insistenti.

Mio padre era addetto a questo compito: raccoglieva pacchetti e scatoloni posti sotto l’albero e, con la solita capacità creativa, improvvisava canzoni e filastrocche per ognuno dei presenti.

E la stanza si riempiva di carte colorate e di esclamazioni di gioia e meraviglia, fino a quando arrivava il momento degli auguri finali e, per noi bambine, di salutare e andare a dormire, mentre gli adulti restavano a giocare a carte a Sette e mezzo, o a tombola…

I.V.

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