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Il nuovo Giappone è definito dalla Legge sulla Sicurezza

Creato il 23 ottobre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Paolo Balmas

Negli ultimi anni, in relazione alla politica in Giappone, si è parlato principalmente di Abenomics e di Tre Frecce, ovvero delle riforme economiche e sociali che il governo del Primo Ministro Shinzo Abe aveva in programma per rivitalizzare l’economia del Paese. Tuttavia, nelle ultime settimane, il dibattito è stato focalizzato sulla nuova Legge sulla Preservazione della Pace e della Sicurezza.

La Costituzione giapponese, scritta con la supervisione delle forze di occupazione statunitensi nei mesi seguenti la fine della Seconda Guerra mondiale e lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, ha offerto per settanta anni un indiscutibile approccio pacifista in politica estera. Per la Difesa ciò si è tradotto nella formazione delle Forze di Autodifesa, in giapponese Jieitai, le forze armate che potevano usare i propri mezzi unicamente per difendere il territorio nazionale in caso di aggressione armata. Non era concesso alcun tipo di intervento fuori dalle acque nazionali [1]. La nuova Legge cambia tale approccio e, di fatto, la Costituzione. Infatti, il Giappone potrà ritornare a usare gli armamenti anche in altri casi, non solo per difendere i propri confini. Il concetto di sicurezza è stato ampliato, adattato alle sfide e alle minacce che il mondo di oggi impone.

L’iter legislativo, la campagna mediatica e le motivazioni

Il governo di Abe aveva annunciato da molto tempo di voler rivedere i limiti costituzionali in materia di sicurezza. Il Premier e l’ala che rappresenta del Partito liberal democratico (PLD) erano fortemente a favore di una revisione che ampliasse le libertà di manovra delle forze armate nipponiche. La proposta di legge è stata avanzata come una nuova interpretazione della Costituzione, precisamente dell’Articolo 9, e non come una riforma. La bozza è stata presentata alla Dieta verso la fine di maggio 2015. Il dibattito politico vero e proprio è cominciato così. Ma l’opposizione aveva poco da fare: le file del PLD erano e sono ancora unite, come la coalizione di governo appoggiata dal Nuovo Komeito. I numeri per far passare la Legge in entrambe le Camere c’erano e i rappresentanti hanno mantenuto il fronte unito fino all’ultimo. Il 16 luglio la Legge ha passato l’esame della Camera Bassa.

Intorno al palazzo della Dieta, nelle ore seguenti, decine di migliaia di persone si sono affollate per manifestare contro una manovra che ha diviso il Paese a metà. Molti giapponesi sono di fatto contrari a ogni minima allusione all’utilizzo della forza militare per la risoluzione delle controversie internazionali. L’identità pacifista che caratterizza il Giappone del dopoguerra è penetrata a fondo nelle coscienze. Ma a controbilanciare tale propensione vi è l’innato patriottismo del popolo giapponese. La leva politica di Abe è stata questa sin dal principio della campagna elettorale.

Il Primo Ministro, come aveva già fatto prima della presentazione della legge alla Dieta, si è recato in uno studio televisivo per spiegare con parole semplici ai giapponesi cosa volesse rendere possibile il governo attraverso la proposta di un nuovo concetto di sicurezza. Di fronte alle telecamere ha esposto con tanto di modellini uno scenario possibile, al verificarsi del quale il Giappone dovrebbe avere il diritto e il dovere di attivarsi e usare la forza delle armi se necessario. Dei possibili scenari se ne è parlato in questi mesi, in ambito politico, ma anche militare [2]. Man mano che ci si avvicinava al vaglio della Camera Alta e all’approvazione della Dieta, i consensi per Abe erano in calo. L’opposizione ha tentato di bloccare o almeno di rallentare l’iter, ma nulla è stato possibile. Alcuni senatori avevano preparato interventi fiume, un altro ha camminato con lentezza estrema per lunghi minuti al fine di attraversare l’aula per esprimere il proprio voto, con l’intento di allungare il più possibile la seduta. Non sono mancati momenti di tensione e i legislatori hanno cercato anche il contatto fisico [3]. Il 17 settembre la Camera Alta ha approvato la legge. Due giorni dopo, il 19 settembre, è stata votata a Camere riunite. Sarà effettiva da marzo 2016.

Le ragioni scatenanti che hanno portato a una nuova interpretazione della Costituzione si ritrovano in quattro fattori principali: l’atteggiamento della Corea del Nord, descritto come aggressivo; le mire espansionistiche della Cina sui mari meridionali e orientali; la pirateria; la minaccia del terrorismo internazionale.

Per cominciare dalla fine, si ricorderanno le vicende del 2013 in Algeria, quando dieci cittadini giapponesi furono uccisi da un gruppo di guerriglieri che avevano attaccato un impianto per la produzione di gas naturale. Inoltre, sono ancora vivi nelle menti i fatti più recenti relativi alla guerra contro lo Stato Islamico, quando un giornalista e un contractor giapponesi sono stati catturati e uccisi. I video e le immagini delle esecuzioni hanno fatto il giro del mondo e hanno colpito sul vivo le forze politiche che avevano già intrapreso il dibattito (non ufficiale) sul futuro delle forze armate giapponesi. Questi episodi sono stati una leva decisiva per sensibilizzare la popolazione e aumentare il consenso di cui Abe in parte già godeva.

Una seconda rilevante minaccia, per alcuni versi la più preoccupante, è la pirateria. Dai lontani mari d’Oriente al Golfo di Aden, il fenomeno è ampiamente diffuso e mette a rischio il sistema commerciale marittimo su cui si fonda il benessere delle nazioni, nonché l’approvvigionamento di materie prime per la produzione di energia necessaria alla sopravvivenza. L’impegno nell’ambito dell’anti-pirateria ha portato il Giappone a mantenere una base a Gibuti e rappresenta una delle cause che ha guidato la nuova interpretazione della Costituzione.

Inoltre, il costante aumento della presenza militare cinese nei mari a essa limitrofi, ha dato vita a una preoccupazione crescente negli altri Paesi che vi si affacciano. Pechino costruisce isole artificiali, esplora le acque contese alla ricerca di giacimenti di petrolio, a volte mette in moto le trivelle. Cerca un maggiore spazio di azione, anche in prossimità delle isole Senkaku/Diaoyu, contese con il Giappone.

Infine, la Corea del Nord mantiene un assetto belligerante e di sé mostra soprattutto l’aspetto militare (forse con una maggiore propensione alla politica interna che esterna), malgrado non abbia le forze reali per potersi permettere di minacciare i propri vicini, tanto meno il Giappone. Tuttavia, la campagna mediatica in opposizione fra i due Paesi ha certamente concesso un margine più ampio all’azione del governo Abe in materia di difesa nazionale.

Cosa cambia

L’Articolo 9 della Costituzione del Giappone definisce la rinuncia alla guerra sin dal 1946. L’uso della forza militare era consentito unicamente in caso di aggressione da parte di forze esterne sul territorio nazionale. La nuova interpretazione consente di intervenire con le armi per difendere i propri cittadini anche oltre i confini del Paese e, in alcune occasioni, per sostenere gli alleati. Al nome delle forze armate è stato aggiunto un aggettivo: Forze di Autodifesa collettiva. L’uso degli armamenti oltre le acque territoriali sarà consentito nel rispetto di tre condizioni:

1. se un alleato, o il Giappone, è attaccato e ciò mette in pericolo la sopravvivenza dello Stato e l’incolumità dei cittadini giapponesi;

2. quando non è disponibile un mezzo alternativo per assicurare la protezione del popolo giapponese e la sopravvivenza della nazione;

3. l’uso della forza militare deve essere limitato allo stretto necessario.

Uno degli esempi di Abe riguardava il dovere di intervenire nel caso una nave statunitense stesse trasportando cittadini giapponesi tratti in salvo da un particolare scenario, di conflitto o meno, e fosse soggetta ad un attacco armato da parte di forze ostili. In un caso del genere si difenderebbe un alleato e si garantirebbe l’incolumità dei propri connazionali.

Verso il nuovo ordine mondiale

Sullo sfondo della legge per la Sicurezza si sviluppano varie narrazioni che tuttavia sembrano essersi ridimensionate proprio nell’arco attuale di tempo post-legislativo. Innanzitutto, si parla di una Cina che amplia la sua sfera di influenza; della Corea del Nord pronta a scatenare una guerra globale; della Federazione Russa che vuole imporsi sul Pacifico, in una regione trascurata troppo a lungo, attraverso una nuova rete di distribuzione di gas naturale. Ma da un lato, la recente crisi finanziaria cinese ha decisamente rallentato la corsa di Pechino all’espansione della propria influenza negli spazi a sé limitrofi; infatti, ora è molto impegnata a riorganizzarsi, a riformare il sistema interno, a raggiungere un accordo con Washington sulle questioni monetarie e finanziarie. Dall’altro lato, lo stress mediatico legato ai presunti attacchi cibernetici provenienti da Pyongyang e ai minacciosi lanci dimostrativi di missili, per il momento hanno lasciato spazio a questioni incentrate sui rapporti con la sorella del Sud. Infine, le sanzioni alla Russia e il suo impegno nella crisi siriana hanno rallentato le capacità di Mosca di espandersi a est.

Tuttavia, si può comprendere che è in atto un cambiamento epocale nell’assetto strategico e che la decisione di Tokyo di rivedere la propria storia e il proprio rapporto con il pacifismo è dovuta essenzialmente al fine di recuperare il tempo necessario per prepararsi a un nuovo ordine mondiale.

Malgrado la situazione incerta di questi giorni si comprende che le grandi potenze si stanno preparando a una nuova fase di sviluppo economico sin da ora. La presenza negli scenari internazionali sarà, come lo è sempre stata, un fattore imprescindibile alla realizzazione di qualsiasi progetto Tokyo abbia in mente per il proprio futuro.

La partecipazione al Trans-Pacific Partnership, quanto il legame economico oggi più profondo con il Mediterraneo o con l’India, impongono il bisogno di una maggiore presenza militare nei punti nevralgici del sistema di scambio commerciale. Questa verità permette di affermare che le preoccupazioni di alcune parti politiche giapponesi sono tutt’altro che esagerate, quando si parla di rimilitarizzazione. Il Giappone sta assumendo una nuova postura nell’impianto delle relazioni internazionali. La rielaborazione delle funzioni delle Forze di Autodifesa, infatti, non può essere preso come un fatto a sé stante, poiché è palesemente legato ad altre due questioni determinanti.

La prima riguarda l’emancipazione di Tokyo dagli Stati Uniti d’America. Parallelamente alle forze armate si stanno riorganizzando i servizi di informazione che di fatto dipendono ancora dalle agenzie governative, militari e civili, degli USA [4]. Ciò cambierà il rapporto del Giappone soprattutto con i Paesi a esso più vicini. Uno degli effetti più immediati dovrebbe essere l’aumento della human intelligence, ovvero la presenza di agenti che raccolgono informazioni sul territorio, in Cina e in generale sul continente. Pechino lo comprende perfettamente e probabilmente non è un caso che negli ultimi mesi sono stati arrestati quattro cittadini giapponesi in varie città cinesi, con l’accusa di spionaggio [5]. A tale proposito non si può tralasciare il doppio volto che caratterizza i rapporti sino-giapponesi. Infatti, se da un lato mantengono viva un’opposizione più o meno latente, dall’altro sono divenuti i principali partner delle proprie relazioni commerciali. Un aumento dell’impegno nel settore dell’intelligence, deve essere visto anche (o forse principalmente) dal punto di vista della business intelligence.

La seconda riguarda l’industria militare. L’apertura a una nuova interpretazione permette anche di esportare un numero maggiore di armamenti o di relativa componentistica; oppure, di intraprendere progetti per lo sviluppo congiunto di materiale bellico con altri Paesi. Le imprese giapponesi del settore sono già all’opera, fra l’altro, in India e in Australia [6]. La Costituzione imponeva di non esportare né armamenti, né componentistica a governi che avessero le proprie forze armate impegnate in qualsiasi tipo di conflitto. Il Giappone è sul punto di entrare nel complesso dell’industria militare mondiale, dalla quale è stato tenuto ai confini ormai da settanta anni.

Conclusioni

Conclusosi l’iter legislativo, il consenso per Abe era sceso di molto. Subito, il Primo Ministro ha rilanciato la politica economica, ora con un atteggiamento interamente rivolto ai bisogni della società e della popolazione giapponese. Le manovre economiche che seguiranno, dal Quantitative Easing alla riforma del sistema pensionistico (solo per citarne una di quelle in agenda), sono caratterizzate da numeri enormi. Gli analisti, in generale, sono molto scettici sulla riuscita di quella che ha già preso il nome di Abenomics 2.0.

Per il momento, di sicuro c’è solo il fatto che fino a ora la politica del governo Abe ha determinato un solo cambiamento straordinario per il Giappone, ovvero l’assetto strategico dell’intero settore Difesa. In altre parole, il nuovo Giappone, ad oggi, è definito dalla Legge sulla Sicurezza.

* Paolo Balmas è OPI Research Fellow e Head area Cina e Estremo Oriente

[1] Malgrado ciò, si è assistito alla partecipazione della Jieitai alle manovre della coalizione internazionale contro l’Iraq nel 2005, anche solo a livello di supporto logistico. Inoltre, il Giappone ha partecipato a missioni di peacekeeping (Cambogia, Mozambico, confine siro-israeliano, Haiti) e già mantiene da qualche anno una base navale a Gibuti.

[2] P. Kallender-Umezu, “Japanese Legislation Frees Military to Assist Allies“, Defense News, 27-09-2015.

[3] “Scuffles as Japan security bill approved by committee, BBC News, 17-09-2015.

[4] Risulta chiaro che l’emancipazione è molto relativa, poiché i due Paesi sono fortemente legati da un punto di vista economico-finanziario. Inoltre, per raggiungere una reale indipendenza nel settore dell’intelligence, il Giappone impiegherà sicuramente parecchi anni.

[5] “2 more Japanese held in China on spy allegations“, Associated Press, 12-10-2015.

[6] Anche in Turchia la Mitsubishi era pronta a partecipare allo sviluppo di un motore per carroarmati, ma le trattative si sono concluse negativamente circa un anno fa. Burak Ege Bekdil, “Turkish Firm To Produce Tank Engine“, Defence News, 24-03-2015.

Photo credits: REUTERS/ISSEI KATO

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