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Il nuovo Renzi si dimentica di sé stesso e rischia troppo

Creato il 13 febbraio 2014 da Ideaoccidente

ASSEMBLEA 2012 DI CONFINDUSTRIA FIRENZE CON GIORGIO SQUINZI E MATTEO RENZIRenzi ha scaricato Letta. Dopo i convenevoli di rito, tra cui le dimissioni volontarie di Letta e le consultazioni di Napolitano, il giovane leader andrà al Colle e cercherà in parlamento la fiducia del paese. Già, non alle urne. Renzi lo ha detto chiaramente, “siamo ad un bivio: o le elezioni, ma senza legge elettorale e senza aver cambiato le istituzioni”, o una “legislatura costituente”, che faccia le riforme e punti dritto al 2018. Renzi chiama questo cambio alla poltrona di Palazzo Chigi come una “buona regola della politica”. Insomma, un po’ un gioco di palazzo. Che se ieri si chiamava “manovra da prima Repubblica”, oggi diventa buona politica. Infatti, abbiamo visto più volte dare una scossa al governo, cambiare premier, sfiduciare un proprio governo e sostituirlo senza passare dal via. Cioè le elezioni. Niente di strano e nulla di irregolare, ma – e non si può non notarlo – lontano dalle promesse di “cambiamento” che l’inquilino di Palazzo Vecchio ha avanzato fino ad oggi. “Un governo Renzi è pura fantascienza”, diceva solo qualche settimana fa. Lo ha ricordato Civati nel suo intervento alla direzione, aggiungendo: “così ci dimentichiamo della rappresentanza”.

Qualche commentatore ha sottolineato che con questa manovra Renzi abbia fatto ritrovare centralità ai partiti, ora in grado di scegliere chi governa il Paese. Forse è vero: dopo anni di tecnici (o simili) si cerca un governo politico. Ma il problema non è sul merito, piuttosto sulla forma: cioè il percorso attraverso cui il Segretario raggiungerà palazzo Chigi.

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Renzi ha detto di essere consapevole che questo è un sentiero non battuto, difficile. “Rischiamo noi, assumiamoci le nostre responsabilità” – dice – ma anche lui sa che a rischiare la pelle è più lui che l’intero Pd. Il quale, invece, nei panni dei vari Cuperlo e Civati, si sfrega le mani: la minoranza è pronta ad impallinarlo alla prima difficoltà. Il rischio per il segretario è enorme. Cuperlo già lo bacchetta, sottolineando come, suppur la decisione di sfiduciare Letta sia giusta, al leader dei democratici manchi una cosa importante: saper cosa fare una volta seduto a Palazzo Chigi. Cosa farà Renzi? Adotterà in pieno il documento presentato ieri dal premier uscente Letta “Impegno Italia”, oppure lo modificherà e in che misura? Il sindaco di Firenze si getta nella mischia, senza spiegare quali armi e quali obiettivi si porta dietro. E il programma del premier uscente è una spina nel fianco del Segretario, che dovrà necessariamente tenerne conto.

“Non è una scelta obbligata”, ha affermato Civati alla direzione, e forse è davvero così. Renzi ha scelto di prendersi la sedia del Governo. E’ convinto di poter far bene e di cambiare l’Italia. Ben venga: se si riuscirà davvero ad ottenere un governo forte e pienamente politico sarà una buona notizia.

Ma gli ostacoli sono molti a partire dalla stesura di un nuovo programma: questo dovrà necessariamente contenere delle ricette per la crescita e sviluppo dell’Italia, non solo il ricambio delle isituzioni. Non basta – e questo Renzi lo sa – quanto detto e proposto durante le primarie. Perché domani bisognerà trovare una coalizione che sostenga il governo e i programmi di legislatura si scrivono, in parte, insieme.

Trovare una nuova coalizione è il secondo scoglio che si oppone al Sindaco (forse a breve ex Sindaco, o terrà tre poltrone insieme?). Scrivere la legge elettorale con Berlusconi è una cosa, governarci un’altra. Renzi sa di non poterlo fare, ma i rapporti con il Nuovo Centro Destra e Scelta Civica non sono gli stessi su cui poteva contare Enrico Letta.

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Terzo impedimento per Renzi è (e sarà) il suo stesso partito. Ha vinto le primarie, ma come primo ministro dovrà rispondere, eventualmente, delle difficoltà che l’azione del suo governo si troverà ad affrontare. Se non riuscirà davvero a cambiare le cose, rimanendo imbrigliato nelle maglie di una coalizione che – comunque vada – sarà risicata, sarà   attaccato dalla minoranza del Pd che non si esimerà dal metterlo di fronte alle sue responsabilità. A quel punto, inevitabilmente, gli mancherà l’appiglio della legittimazione popolare che non ha voluto cercare. Esattamente come a Letta.

Giuseppe De Lorenzo


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