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Il paese con la maschera

Creato il 19 febbraio 2013 da Intervistato @intervistato

Questa volta non parlo di politica, o forse si. Volevo scrivere del Carnevale, così ho deciso di andare a Venezia. Quando sono tornato però della voglia di parlarne nemmeno l'ombra. Era svanita tutta nel tragitto ferroviario tra Bologna e Venezia Santa Lucia.
Il paese con la maschera Con E. avevo deciso di fare un salto a Venezia perché avevo in mente di scrivere del Carnevale. Mi son detto che non poteva esserci luogo migliore della città lagunare per intercettarne l'aria, così domenica scorsa (10 febbraio) siamo andati. Cosa avrei scritto non lo sapevo ancora, ma ero certo che una volta arrivato lo avrei capito. Mi sbagliavo. 
Di buon mattino ci siamo diretti alla stazione di Bologna. Il treno che nasceva lì era vuoto quando si è fermato sul binario. Siamo saliti e abbiamo preso i due posti adiacenti all'ingresso della carrozza. Quelli destinati, in caso di necessità, a disabili, donne incinte o con figli piccoli al seguito, anziani. Se posso evito sempre di sedermi al centro del vagone. Pochi minuti dopo il treno straripava, la gente seduta lungo il corridoio o sulle mensoline (quelle con il cassettino del rusco). Qualcuno, molti a dire il vero, è rimasto lungo la linea gialla impossibilitato fisicamente a salire. 
Il treno è partito con la sua sovrabbondanza di umanità ammassata. Pochi minuti dopo mi chiedono se posso cedere il mio posto ad una ragazza con un figlio di 14 mesi. Mi alzo. E. si sposta nel mio seggiolino e io finisco in braccio ad E. mentre la ragazza si siede. Il treno è pieno di bambini, ammassati come maiali anche nel "tinello" per la salita e discesa dei passeggeri. Nessuno si alza per farli sedere, nessuno cede un cm quadrato del suo preziosissimo spazio vitale. Cominciano le fermate, e ad ogni giro la scena è quella di un paese che cerca, spesso inutilmente, di salire a bordo del convoglio diretto a Carnevale.
Lungo i binari all'altezza delle porte scorgo protezione civile e polizia armata di fischietto. Dovrebbero garantire l'ordine e la sicurezza, già precaria, di chi sale o scende dal carro bestiame. Non lo fanno. Appena il treno si ferma arretrano limitandosi a fischiare ogni tanto nel vano e poco motivato tentativo di sedare le risse che, fermata dopo fermata, si fanno più frequenti. Il ritardo si accumula insulto dopo insulto, spintone dopo spintone. Dallo spazio tra le due porte di salita e discesa arrivano male parole, c'è nervosismo. Non vedo i bambini mascherati, probabilmente pressati dentro un girone infernale di cui, forse, dimenticheranno fra qualche anno.
C'è un treno ogni ora, ma tutti vogliono salire su quello. C'è un treno ogni ora e su questo non c'è più spazio. Apriamo i finestrini perché l'aria è rarefatta. Noi possiamo, e penso ai bambini, quelli stipati tra i servizi igienici e le porte che ad ogni fermata fischiano. Da lì arrivano le urla dei genitori, genitori contro genitori. Nuovi passeggeri che, non appena la porta che li dovrebbe condurre al carnevale si apre, si mascherano da pirati disperati. Abbandonati per anni sull'isola deserta. Il nostro treno è quasi un miraggio, la nave che appare nel nulla e che aspettavano da anni. Che giorno è oggi, Mercoledì? 
A Padova ci fermiamo per 15 minuti. Un uomo e una donna stanno litigando. Lei vuole salire per forza, lui cerca di non cadere giù dal treno che preme ed è un niente essere espulsi come pus da un brufolo. E' stallo. Nei due seggiolini davanti a noi stanno due signori, mezzi italiani mezzi tedeschi. Non si capisce. Continuano a ripetere che in Germania queste cose non succedono. Ma quando una donna dell'est chiede se possono fare un poco di spazio alla piccola figlia di 5 anni, insaccata come una salciccia nel budello, rispondono che no. In mezzo c'è il bracciolo, è fisso, non si può mica levare. Ho capito, not in my back yard. Sono più italiani che tedeschi. La piccola finisce seduta in bilico tra due schienali, la in alto, come se fosse la piccola regina inconsapevole, sul trono di un regno ormai allo sfascio. 
Ci sono tutti su quel treno. Sto appoggiato al finestrino e penso che nemmeno mi ricordo più del carnevale, o che carnevale è già su quel treno, o meglio, la farsa, grottesca di una idea distorta di carnevale. O forse assomiglia di più ad una maschera. Quella del nostro paese. Quella che a fatica tentiamo ogni volta di togliere, ma poi niente. Forse ci siamo affezionati, alla maschera. Fisso la piccola di 14 mesi, sorride e sbatte i suoi piedini contro le mie ginocchia. Bel mondo ti aspetta, penso. Cresci piano, che qua non siamo mica pronti, sai.
Venezia Santa Lucia. L'olfatto è sopraffatto dall'odore di salsedine, e mare e legno impregnato e muri bagnati. Come un petardo di odori che improvviso esplode nel tuo naso. L'umanità varia scende dal treno, noi con loro. Poi i canali, le maschere, i suoni, la gioia, forse finta, anch'essa una maschera per celare il nervoso, l'ansia, i guai, il paese reale.
In diretta da Piazza San Marco. #Venezia vine.co/v/bvMLZ6O5EOl
— Matteo Castellani T. (@contepaz83) 10 febbraio 2013

Volevo scrivere un post sul carnevale, ma si è perso lungo il viaggio. Forse è altrove, il carnevale. L'allegria non è qui ora. Non a Venezia, non in Italia. Forse c'è, ma è mascherata, in attesa di svelarsi in tempi migliori.
Matteo Castellani Tarabini | contepaz83
Photo Credit: Emanuela Carabelli

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