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Il paese dei coppoloni. Presentazione ai Paduli.

Da Alessandra De Giorgi @AlesDeGiorgi

VerEsiste un posto magico, immerso nella natura, in quelle che sono chiamate le Terre di Mezzo. No, non siamo in un romanzo di J.R.R. Tolkien, ma nel Salento, nel Parco dei Paduli.
L’uliveto pubblico, candidato italiano al Premio del paesaggio del Consiglio d’Europa, è diventato la base di un progetto di Rigenerazione Urbana, che si pone l’obiettivo di creare dei servizi ecocompatibili. Da qui l’adozione dell’uliveto che era semi abbandonato, la sperimentazione di alloggi temporanei biodegradabili, la promozione della mobilità lenta, la valorizzazione dei sapori della tradizione contadina.
Il discorso è talmente ampio che dovrei scrivere un articolo lunghissimo, per approfondire vi consiglio vivamente di visitare il sito del Parco Agricolo Multifunzionale.
Il parco è teatro di numerosi eventi, non ultimo la presentazione del libro di Vinicio Capossela “Il paese dei Coppoloni” domenica 17 maggio.
L’autore ha chiesto alla casa editrice di non presentare il libro nelle solite librerie ma sulla viva terra; la presentazione in uno scenario bucolico come quello del Parco è stata a dir poco emozionante. Ecco com’è andata.

L’atmosfera che si respira ai Paduli è fiabesca, c’è qualcosa di magico. Ci si arriva attraverso delle stradine tortuose, tra muretti a secco, ulivi secolari e macchia mediterranea.

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Alle 18.00 c’è un gran fermento. Il pubblico è molto vario: i piccoli scorrazzano tra gli ulivi e i nidi, molti sono già seduti all’interno del cerchio magico su sacchi di iuta, balle di fieno e sull’arena di canne. C’è chi arriva a piedi, qualcuno in bici e persino a cavallo. Sembra di essere in un’altra dimensione. Dopo un’ora di attesa arriva Vinicio Capossela, seguito da Antonio De Marco e l’antropologo Eugenio Imbriani che ha introdotto e moderato l’incontro.
Poco prima dell’inizio il coro dei Paduli ha salutato l’autore con il canto “Xilella”, tema caldo, anzi caldissimo per chi come noi ha intrecciato la propria vita a quella degli ulivi.
E finalmente ci siamo lasciati trasportare dai voli pindarici dell’autore, che ci ha immersi in questa dimensione ancestrale << fatta di viandanza a piedi; i passi scandiscono il racconto, il battere del passo rafforza il legame con la terra; il protagonista del libro, scritto in 17 anni e figlio di uno sradicamento, è proprio un viandante.
Il paese dei coppoloni è ambientato nell’Irpinia, nel paese dell’Eco, dove c’è una sala per gli sposalizi, che si chiama casa dell’Eco, (in realtà e.c.a., ma Vinicio ha vissuto questi luoghi tramite il racconto e da bambino capiva eco).
Il paese sembra uscito da un quadro di Escher. L’orologio in piazza è fermo, in segno di lutto, alle otto meno venti, “l’ora in cui finì il mondo della civiltà contadina” con il terribile terremoto che distrusse e sconvolse l’Irpinia il 23 novembre del 1980.
In quella parte di paese è come se si fosse passati al tempo del mito; la trama è costruita dagli incontri quotidiani del protagonista con i bizzarri personaggi che portano uno stortonome, guadagnato con gesta e sfottimenti: c’è il Mandarino “pascitore di uomini”, Scatozza “domatore di camion” , la Totara, Cazzariegghio. C’è una serie di domande tipica del territorio che accompagna il viandante: “Chi siete? A chi appartenete? Cosa cercate? E quando ve ne andate?” Da quest’ultima sembra che sia una terra abituata a non trattenere chi vi si reca.
È un viaggio in una piccola comunità che costruisce un canto di insieme, ognuno aggiunge una strofa, chi racconta le storie compone un quadro epico.
Il silenzio è gravido di storie, che si possono ascoltare solo se si è pronti ad accoglierle. Si sentono le storie delle case, degli alberi, dei sentieri mai dritti e intricati. Le cose esistono se si è disposti a crederci.
Ciò che è importante è la civiltà della terra, la natura è la manifestazione della creazione.
Tutto è parte della creazione, il bene e il male rientrano in questo quadro. Il riavolo, il Patraterno; la musicalità è intrecciata al lessico, la erre è importante nel paese dell’Eco. Anche la musica è protagonista, c’è la musica da canto a sonetto, il canto a serenata e a ingiuriata, i canti nelle cumversazioni, la musica da ballo per gli sposalizi, quella per uccidere il maiale, il lamento funebre, la musica rurale.

L’uomo è di ostacolo alla conoscenza della natura. “Superare il proprio intralcio è la prima iniziazione per avere un maggiore contatto col mondo.” Per questo c’è bisogno di un animale guida. Molte popolazioni prendono il nome dall’animale totemico o lo adottano come simbolo: l’Irpinia dal lupo hirpus, come la Lucania, i Sanniti dal toro.
L’animale guida del protagonista è il tacchino, perché era l’animale con cui giocava da piccolo.
Potrebbe sembrare un animale stupido, in realtà ha origine dall’Oriente: Gallo d’India, turkey. Ci riporta all’infanzia, alla purezza iniziale perduta, all’iniziazione.
Abbiamo tutti l’idea di Itaca, e corrisponde all’idea di quella purezza iniziale.
Nel paese dell’eco ci si muove sotto la Luna, la grande madre delle anime.
Il paese dell’eco è la terra dei padri, nostalgia dell’infanzia del mondo.>>

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