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Il “paradosso fondante” della filosofia ma anche dell’esperienza comune

Da Gabrielederitis @gabriele1948

Domenica 22 giugno 2014

L'esperienza estetica (1): I paradossi dell'esperienza

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«Il 'referente' non è la cosa stessa, ma il nostro modo di operare sulle cose, di manipolarle e configurarle come il correlato implicito del linguaggio; l'‘operazione’ a sua volta è questo stesso concreto manipolare, che non può essere disgiunto peraltro dal nostro rappresentarci le cose e le nostre manipolazioni delle cose, cioè dal nostro ‘prendere le distanze’ dagli stimoli immediati, e che suppone quindi in qualche modo il nostro conoscerle e parlarne» (EMILIO GARRONI, Ricognizione della semiotica. Tre lezioni, OFFICINA EDIZIONI 1977, pag.69)

STEFANO VELOTTI, La "facoltà dell'immagine" di Emilio Garroni e il suo contributo alla ricerca contemporanea sulla percezione, i "contenuti non concettuali" e l'immaginazione, www.filosofia.it (2013)  è un saggio dedicato all'ultimo libro di Emilio Garroni, Immagine Linguaggio Figura. Osservazioni e ipotesi, LATERZA 2005, che per lui è una ripresa e un ripensamento di temi già trattati in Ricognizione della semiotica. I rapporti tra sensibilità e intelletto kantiani sono chiariti in termini di «facoltà dell'immagine» e di linguaggio e concetti. Nell'opera del 2005 Garroni affronta lo statuto del linguaggio solo in relazione all'«immagine interna», che deve essere considerata «la premessa e la garanzia della realtà del significato delle parole del linguaggio» (p.57). Nel 1998, con L'indeterminatezza semantica, una questione liminare – poi rifluito ne L'arte e l'altro dall'arte. Saggi di estetica e di critica (Laterza 2003, pp.89-115) – incontriamo quella correlazione di determinato e indeterminato che è forse il nodo teorico che Garroni ha pensato più a fondo: il «paradosso fondante» della filosofia, ma anche dell'esperienza comune, di cui si era occupato già ne I paradossi dell'esperienza, in Enciclopedia Einaudi, vol.XV: Sistematica (Einaudi 1982, pp.867-915) e in Senso e paradosso. L'estetica, una filosofia non speciale (Laterza 1986).

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Ci troviamo di fronte a uno dei vertici della Filosofia contemporanea, per la quantità e la profondità delle questioni poste dall'opera di Garroni. Le parole chiave sono 'paradosso' ed 'esperienza'.

Esperienza personale ed esperienza estetica, ma anche il modo in cui l'esperienza estetica influenza l'esperienza personale, cioè il personale modo di sentire, e il modo in cui la profondità e l'esattezza del sentire favoriscono la percezione delle cose belle.

Perché tra sentire privato ed emozione estetica non corre una linea di confine che oltrepassiamo, quando ci accingiamo a leggere una poesia, a fruire delle opere dell'arte figurativa, musicale, cinematografica… Tra un sentire e l'altro non c'è 'passaggio', né in un senso né nell'altro, perché si tratta di un unico territorio. L'educazione sentimentale ricevuta, le inclinazioni personali, la qualità impressa alla vita morale, la grana della voce, la percezione dell'esistenza altrui, lo sguardo che si posa sulle cose, il gusto che proviamo di fronte al brutto e al bello… La solitudine e l'azione, i gesti e gli atti liberi, la capacità di dare e di ricevere… Compassione, gentilezza, magnanimità, autenticità… L'amicizia e l'amore, la valorizzazione delle qualità altrui, la disponibilità disinteressata, l'attaccamento interessato… La riflessione, la meditazione, l'esercizio, la lettura, l'ascolto, l'osservazione ininterrotta…

Tutta la nostra esperienza di noi stessi, degli altri, del mondo acquista immediatamente rilevanza estetica nel momento in cui ci poniamo il problema della sua dicibilità, di ciò che ne faremo, se diventerà materia di racconto, se si farà discorso, storia, biografia, socialità larga.

Tra esperienza e comportamento si gioca tutta la nostra vita. E chiameremo esperienza l'indicibile, l'ineffabile, l'inesprimibile, l'inconfessabile, il sottaciuto, l'inespresso, il presupposto, l'implicito, il non verbale, l'immateriale: tutto l'invisibile dell'esperienza personale. I nostri invisibilia. In questo senso, accedere all'esperienza altrui equivale ad 'entrare' nell'esistenza stessa, istituire file di continuità, stabilire una relazione, curare un rapporto interpersonale, riconoscere la realtà di legami, sentirsi legati, chiamare libertà ciò che lega non ciò che scioglie.

Aprirsi all'evidenza della presenza altrui e trascorrere oltre le mere apparenze da ciò che appare a ciò che costituisce la sostanza di una persona facendosi guidare sempre dal modo di darsi delle cose e delle persone, il personale modo di consistere e di protendersi nella realtà mondana da parte dell'altro, per sentirne le voci, per farsi occhi capaci di sentire la segreta armonia di un'esistenza è giusto come il pane, è vero amore per la creatura.

Scoprire il problema della dicibilità dell'indicibile e sapere che nell'esperienza amorosa non facciamo altro che divinare da un fondo enigmatico e buio equivale a vivere l'amore come esperienza che solo per metà ci vede consapevoli di ciò che siamo, perché stiamo lì, accanto ad una persona e non ad altre: interroghiamo perennemente la nostra interiorità, per restituire i sensi del nostro umano consistere accanto a un partner, ma incontriamo soltanto indeterminazione e approssimazione, timore e tremore, in mezzo a qualche certezza acquisita.

Occorre dare voce a tutto il non detto, che per definizione non può essere espresso, perché in quel territorio si gioca quel che ne sarà di noi, se saremo persone consapevoli oppure no.

La ricerca di Emilio Garroni è tutta protesa alla comprensione della realtà di quella zona nevralgica dell'esperienza umana – kantianamente, un nuovo 'condizionato' – in cui si produce immagine, al di qua del parlato e dello scritto, di ogni compiuta espressione di sé.

Il paradosso dell'esperienza, di fronte al quale perennemente ci ritroviamo, è innanzitutto il paradosso del linguaggio, che è nello stesso tempo unico/molteplice, unitario/plurimo, «punto di partenza»/«punto di arrivo». 


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