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Il partito del malaffare

Creato il 27 giugno 2013 da Casarrubea
Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

Non so se voi riuscite ancora ad orientarvi ma, per quello che mi riguarda, io non so più in che Paese siamo e quali siano i nuovi punti cardinali ai quali ci dobbiamo riferire per muoverci senza il rischio di andare a sbattere. Uno dopo l’altro. Come in un gioco di Domino, in uno Shangai cinese. Non sono passate neanche quarantotto ore dalla sentenza che condanna a ben sette anni di reclusione il non più cavaliere, che le massime autorità dello Stato si son date da fare, quasi in una gara a chi arriva per primo, ad approcciare il condannato e fargli, forse loro malgrado, tutti i salamelecchi del mondo. Se non abbiamo sentito male, perché la cosa è volata nell’aria con una certa velocità, il primo a rompere gli indugi è stato il presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta che lo ha invitato a cena o a pranzo, forse per tastargli il polso su ciò che il principe delle comunicazioni aveva intenzione di fare dopo la sua condanna. Un governo si vede che vale più di un peccatore, quando a volerlo è proprio quest’ultimo. Il diavolo in persona. Gli è andato dietro anche, come se il campo fosse ormai aperto, essendogli stata aperta la pista, addirittura il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che dopo il suo primo settennato escogita nuove alleanze politiche, nelle recondite stanze del Quirinale. L’ex cavaliere è una Pasqua per sì nobili riconoscimenti oltre che per il fatto che non sconterà in galera neanche un giorno grazie alla sua età. E se permettete anche alla sua funzione di salvatore della patria. E fra una decina d’anni quando uno dopo l’altro arriveranno in Cassazione tutti i processi che lo hanno condannato, potrà scontare i giorni che gli restano beato a casa sua, con una bella papalina in testa. Tutti lo ricorderanno come un nuovo filosofo dei nostri tempi, successore dell’edonismo reganiano.

Daniela Santanchè

Daniela Santanchè

Siamo in Italia e il potere è meglio di quell’altra nobile pratica che oltre a essere più piacevole è anche meno rischiosa. Precauzioni permettendo. E che questa pratica sia diventata una sorta di valore ce lo dice la sempiterna Daniela Santanchè che è arrivata ad indossare, per protestare contro le tre giudici di Milano, una maglietta con su scritto: “Siamo tutti puttane”. Almeno così pare, sempre che non si tratti di un fotomontaggio di qualcuno a cui piace divertirsi giocando con i socialnetwork. Ma pare che le cose stiano proprio così, perché la professione più antica del mondo, per un certo mondo politico, è diventata un valore primario. Ricevere denaro è vendersi, anche se te lo guadagni facendo onestamente il tuo lavoro. Tra chi se lo suda in fabbrica e chi entra nella casa di un uomo senza un soldo e ne esce milionario, la differenza è poca. Quindi, siamo “tutti”, maschi e femmine, “puttane”, perché ognuno dovrebbe offrire le sue prestazioni sempre gratis. Eviterebbe il rischio di vendersi. Ora capisco perché la destra e certa sinistra vogliono cambiare la Costituzione. L’articolo uno non ha più senso. L’Italia non è più una Repubblica fondata sul lavoro, ma sulle prestazioni gratuite. Ecco il nuovo modello sociale della destra.

Nel 1956 ci fu un grande sciopero a Partinico, il paese dove vivo. Lo promosse Danilo Dolci con l’aiuto del segretario della Camera del Lavoro di allora, Salvatore Termini. Era un giorno d’inverno e pioveva. Un folto gruppo di braccianti, armati solo di pale, si recarono alla  “Trazzera vecchia” per ripristinare il transito dei carretti e dei muli che si bloccavano nella fanghiglia e nelle pozzanghere argillose, impedendo loro di andare a lavorare, quando si riusciva ad avere questa fortuna. I braccianti lavorarono senza ricevere alcuna paga da nessuno, ma solo per dimostrare che è il lavoro a darci la dignità di uomini. Arrivarono le forze dell’ordine e il commissario di pubblica sicurezza intimò a tutti di fermarsi in nome della legge. Ma quel santo uomo che era Danilo Dolci rispose che loro lavoravano in nome della Costituzione. Fu preso e portato all’Ucciardone per due mesi, assieme agli altri suoi compagni di lotta. Quindi fu processato e condannato. L’Italia intera insorse contro quest’atto assurdo e tutti si schierarono dalla parte della Costituzione. Ci fu chi volle avversarla, in “nome della legge” e delle regole fasciste ancora in vigore.

Ora siamo arrivati al capolinea. Senza alcun discernimento tranne la caparbia volontà di mantenere in piedi un governo. Il primato della ragion di Stato sull’etica. Siamo, possiamo dirlo, in mano a un condannato per un reato infamante. Quello della concussione e della prostituzione minorile. E fresco di tale titolo, Berlusconi continua a dimostrare al popolo dei suoi elettori e all’Italia un tempo democratica e fondata sul lavoro, che è lui a tenere le redini del gioco. Se il governo non cade è merito suo. Purtroppo è così. Berlusconi vuole il governo in piedi perché pretende delle contropartite, sul processo per corruzione in corso (caso De Gregorio), l’ineleggibilità che sarà votata dalla giunta del Senato il prossimo 9 luglio, la stessa sentenza di Rubygate, rispetto alla quale Napolitano gli ha fatto presente che i gradi di giudizio sono tre. Che possiamo dire? Una sola cosa: se il Pd e il Pdl sono tanto d’accordo, che cessino di essere due organismi distinti e cambino entrambi nome. Come potrebbero chiamarsi? Forse Pdm, il partito del malaffare.

Giuseppe Casarrubea


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