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Il pensiero lungo del Km zero

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

L’agricoltura a Km 0 è il primo passo verso un concetto di economia che andrebbe estesa idealmente a tanti altri settori del vivere quotidiano. È uno dei primi passi pratici immediatamente attuabili di economia sostenibile, il ponte di passaggio dall’idea oggi esistente di green economy a quella vicina tecnologicamente ma ancora futuribile della blue economy. Frutta e ortaggi prodotti ad un passo da casa, certificati secondo gli standard di qualità italiana e acquistati in zona rappresentano un’idea di consumo virtuoso da perseguire. A questo proposito riportiamo la lettura che danno al fenomeno due esperti del settore come Pantaleo Piccinno di Coldiretti e Fabrizio Valzano di Copagri. Con molti punti d’incontro.

 

Pantaleo Piccinno - Presidente Provinciale Coldiretti

“Agricoltura a Km 0” non è solo uno slogan che vuole visualizzare la distanza reale tra produttore e acquirente. Km 0 corrisponde soprattutto all’esigenza di una ristrutturazione ed accorciamento dell’attuale filiera di approvvigionamento, che non distribuisce in modo equo i valori aggiunti, ovvero la parte agricola e quella di trasformazione.
L’idea della filiera corta nasce perciò da un pensiero lungo: qual è il percorso che può intraprendere un territorio di periferia, economicamente fragile ed esposto, per sopravvivere in un mondo globale? Il percorso s’instrada sui fattori di non standardizzazione dei prodotti agricoli, di distintività, particolarità, unicità. E poi la bravura di competere non come attori d’iniziative isolate ma come espressione della forza del territorio. Occorre, per arrivare a questo traguardo, ricostruire le reti di relazioni all’interno dello stesso contesto territoriale, sulla base della condivisione di ideali ed sul recupero delle scommesse commerciali.
Questo è il nucleo del raggio d’azione operativo, da estendere progressivamente fino a trasformarlo in una relazione tra territori: dalla filiera agricola salentina a quella pugliese per chiudere il cerchio con una filiera tutta italiana, sempre rispettando i criteri di distintività peculiari di zone e prodotti.
Un’agricoltura a Km 0 è necessaria per ritrovare la via del buonsenso, soprattutto per sganciarsi dalla grande distribuzione, vissuta troppo spesso dai nostri produttori come una sanguinaria tagliola. Dietro lo slogan “Km 0”, di cui Coldiretti si è fatta sistematica promotrice, ci sono una miriade di piccole aziende che fuori dal grande circuito garantiscono alta qualità e soddisfazione agli acquirenti.
Nei nostri mercati degli agricoltori di Campagna Amica vengono contenuti gli sprechi di imballaggi, sono banditi gli ogm, i prodotti più acquistati sono verdura, frutta, formaggi, salumi, vino, latte, pane, conserve di frutta, frutta secca, biscotti e legumi. Spesso sono messi a disposizione servizi di vendita a domicilio e offerte speciali per i “gruppi di acquisto solidale” (Gas). Un fenomeno - continua la Coldiretti – che coinvolge anche molti chefs che nei loro ristoranti vogliono offrire menu freschi e genuini a Km 0.
I numeri sin qui sviluppati c’incoraggiano: nel 2010 i nostri Farmers Markets hanno ospitato 8.300.000 italiani, con una crescita percentuale del 28%. Nello stesso anno solare sono saliti a 705 i mercati degli agricoltori di Campagna Amica aperti in tutte le regioni, ben 16 mila imprenditori agricoli hanno venduto di persona i propri prodotti, realizzando complessivamente un fatturato stimato in 320 milioni di euro.


Fabrizio Valzano -  Vice Presidente Provinciale Copagri

La Confederazione dei Produttori Agricoli, la Copagri di Lecce, è d’accordo sulla vendita diretta dei prodotti agricoli, il così detto km zero, ma ciò non risolve il problema della commercializzazione dei nostri prodotti agricoli. È sicuramente un ottimo sistema per far conoscere la qualità dei prodotti delle aziende agricole; consente, altresì, di avvicinare direttamente il consumatore all’agricoltore, che può vendere al giusto prezzo, senza intermediari, con vantaggi per entrambi.
Non bisogna però illudere le aziende: il basso volume delle vendite dirette non consente di commercializzare l’intera produzione, che purtroppo resta invenduta o regalata per pochi centesimi.
Occorre allargare il raggio d’azione delle vendite coinvolgendo tutte le strutture pubbliche e private, chiedere che le mense di ogni tipologia utilizzino solo ed esclusivamente prodotti del territorio, incentivare la costituzione di gruppi di azione solidale al fine di acquistare direttamente al dettaglio, dai produttori, tutte le tipologie di prodotto fresco e/o trasformato di origine salentina.
Alcune cooperative agricole hanno allestito nelle proprie strutture punti vendita al dettaglio nel periodo estivo; d’accordo con le strutture ricettive, ospitano i turisti che conoscono i luoghi di produzione ed i processi di trasformazione del prodotto, la degustazione, che viene loro offerta. È fondamentale per far apprezzare i sapori del territorio. Molte di esse si sono attrezzate con il commercio elettronico e consegnano ovunque a prezzi competitivi. Un ottimo sistema per accorciare la filiera.
Le nostre aziende sono prevalentemente olivicole, molte di esse hanno introdotto in etichetta la tracciatura del prodotto che attesta la provenienza territoriale. Occorre un lavoro di aggregazione da parte dei produttori e delle organizzazioni agricole, insieme alle strutture economiche e cooperative, al fine di costruire un marchio che identifichi il territorio.
Le angurie salentine, quelle di Nardò per esempio, non le vuole nessuno, mentre nella grande distribuzione abbondano quelle greche che hanno costi molto più bassi: i trattamenti fitosanitari sono controllati? La qualità è la stessa dei nostri prodotti?
Le nostre aziende sono infatti obbligate all’osservanza di normative in cui ogni aspetto dell’attività è regolato al fine di garantire al consumatore la sicurezza alimentare attraverso la superiore qualità e tracciabilità delle produzioni.
Non siamo contro la grande distribuzione, ma le aziende che operano sul territorio dovrebbero utilizzare almeno un terzo dei prodotti agricoli locali. Condizione necessaria è la costituzione, meglio se unitaria, delle organizzazioni dei produttori del territorio stesso e per prodotto.
 


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COMMENTI (1)

Da michele
Inviato il 13 marzo a 18:08
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