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Il penultimo paesaggio

Creato il 09 dicembre 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Il penultimo paesaggio

 

Anno: 2011

Distribuzione: Movimento Film

Durata: 114’ 

Genere: Drammatico

Nazionalità: Italia

Regia: Fabrizio Ferraro

 

Sulla quarta copertina dell’edizione Garzanti dell’Ulisse si legge: “ Non uno dei libri più belli, ma uno dei più importanti del Novecento”.

Di certo, la mia intenzione non è di paragonare Il penultimo paesaggio all’opera in questione – sono sicuro che il regista, Fabrizio Ferraro, non se la prenderà se non gli attribuisco lo stesso valore culturale di Joyce – ma credo di poter prendere spunto da quell’intestazione per criticare questo film, che non è bello (nel senso generalmente inteso, ed è comunque un’opinione personale), eppure ha una sua importanza da non sottovalutare.

Come ha detto lo stesso Ferraro, durante la conferenza stampa, spesso le recensioni cinematografiche finiscono per essere solo un riassunto di ciò che si è appena visto, svuotando così i lavori di quella filosofia che li rende arte.

Sarebbero in difficoltà, allora, tanti giornalisti, perché de Il penultimo paesaggio c’è molto poco da raccontare – la narrazione, intesa come rappresentazione, è portata quasi a zero per lasciare molto più spazio alle figure, alle visioni, alle sensazioni – e c’è invece molta filosofia da capire.

La storia è semplice: un uomo e una donna, entrambi italiani, si incontrano a Parigi e iniziano una relazione, vissuta unicamente nello spazio spoglio di un appartamento – ufficio che, per contrasto, come un contrappunto, entra in relazione con la città sullo sfondo, permettendoci così di scoprirne gli equilibri e le regole che il protagonista, Luciano Levrone, mette in continua discussione.

Tutto ciò non viene però mostrato, ma più che altro vissuto, compreso: il regista va volutamente contro quella corrente che spesso fa del cinema un foto romanzo visivo, e piega quindi la narratività alle sue esigenze, dando libertà alle forme e alle immagini di rincorrersi nello spazio, di intrecciarsi, di toccarsi, cosa che nei film italiani si vede raramente; così ci immergiamo in un vero e proprio discorso sull’estetica dei corpi e delle figure, espediente utile per affrontare poi anche altre tematiche più concrete, come l’esigenza, ormai sentita da tanti, di andare via dall’Italia – espressa, in modo molto bello, dal fatto che questi due italiani emigrati a Parigi preferiscono parlarsi in inglese – o la critica a una società (s)finita, come risulta evidente in questi ultimi anni.

C’è però da chiedersi come mai un film sull’estetica sia così esteticamente poco riuscito: se bisogna permettere alle immagini di riconquistare la loro capacità narrativa, ciò non può avvenire a discapito della parola, che anzi dovrebbe avere una funzione di amplificazione e di sostegno all’iconografica cinematografica

Per un film particolare, una distribuzione particolare: in accordo con la Movimento Film, si è deciso di non passare per i festival, ma di affidarsi a una distribuzione capillare, nei cinema italiani considerati più impegnati; auguro allora, al regista, agli attori, ai musicisti Daniele di Bonaventura, Paolo Fresu, Ludovico Takeshi Minasi, di trovare un pubblico altrettanto particolare, che non si aspetti il solito fotoromanzo e che sia in grado, e si sforzi, di cogliere la filosofia che c’è dietro questo lavoro.

Angelo Cavaliere


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