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Il “pivot to Asia” della Russia: l’accordo energetico sino-russo

Creato il 19 giugno 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Il “pivot to Asia” della Russia: l’accordo energetico sino-russo

La firma dell’accordo sul gas naturale tra Russia e Cina, una fornitura trentennale da 400 miliardi di dollari, il più grande contratto nella storia dell’industria del gas della Russia, è stato interpretato da alcuni coma parte della strategia di Putin per mettere pressioni sui Paesi dell’Unione Europa al fine di ammorbidirli sulla crisi ucraina. Non vi è dubbio che l’accelerazione per la conclusione dell’accordo da parte di Putin abbia tenuto in debito conto le difficoltà della politica estera russa sul versante europeo ma sarebbe un malinteso non intravedere la scelta prettamente economica della Russia e gli interessi della Cina nelle risorse energetiche russe, fondamentali per sostenere la sua elevata crescita economica.

Cina e Russia hanno una lunga storia di collaborazione nel settore energetico che risale ai tempi dell’Unione Sovietica. Nel periodo post-sovietico il punto di partenza può essere considerato il 1993 quando la Cina è divenuta importatore netto di petrolio, essendone stata in passato anche esportatore, iniziando la trasformazione da importante produttore di idrocarburi a primo consumatore di energia. Da quell’anno il suo consumo di greggio cresce mediamente del 5,77% l’anno, mentre la produzione solo del 1,67%1. Nel 2003 è divenuta il secondo Paese per consumo di petrolio e il terzo per la sua importazione, «formando insieme agli USA, l’UE e il Giappone il fulcro del consumo mondiale di petrolio»2. Il consumo energetico cinese, oltre che sul petrolio, si basa anche sul carbone, di cui detiene il 13.3% delle riserve mondiali del carbone (è seconda soltanto alla Russia che ne detiene il 18.2%)3, che nel 2010 incideva per circa il 70% del fabbisogno energetico nazionale4, e sul gas naturale sebbene il suo consumo attuale incida ancora marginalmente sul consumo energetico totale.

Dato che la Cina è un importatore di idrocarburi, un’importanza centrale riveste la sicurezza energetica, soprattutto, quella che attiene all’approvvigionamento di petrolio. Il fabbisogno annuale di petrolio è soddisfatto per più del 50% dalle importazioni di cui il 52% proviene dai Paesi del Vicino Oriente5. Dunque la Cina deve diversificare il proprio approvvigionamento di questa fonte energetica. Si prevede, inoltre, che la dipendenza dall’importazione del petrolio entro il 2020 crescerà fino al 70%, e la cosa più preoccupante per i Cinesi è che l’accumulo di «riserve strategiche del petrolio in Cina è iniziato da poco e non vi sono ancora riserve strategiche di petrolio significative»6. Un altro problema per la sicurezza, legato all’importazione petrolifera, sta nel fatto che soltanto una percentuale minima di greggio viene importata dalle petroliere cinesi7. Nel tragitto dal Vicino Oriente alla Cina le petroliere devono passare per lo Stretto di Malacca, famoso per la sua pirateria e per la presenza delle forze militari statunitensi8. Dal punto di vista della sicurezza energetica, lo Stretto di Malacca preoccupa molto Pechino e quindi il Governo cinese negli anni 2000 ha creato un gruppo di lavoro, composto da esperti in diversi campi, il cui compito è di elaborare progetti alternativi e più sicuri per l’approvvigionamento petrolifero9. Quindi, per rispondere, almeno in parte, a questi problemi la Cina sta cercando di aumentare le importazioni via terra dai Paesi vicini, in particolare, dai Paesi dell’Asia Centrale e dalla Russia10.

La sicurezza energetica costituisce uno dei pilastri della politica estera sia della Cina che della Russia. Entrambe stanno cercando di condurre una politica energetica di diversificazione, ma, mentre per la Russia la diversificazione riguarda le esportazioni, per la Cina la diversificazione concerne le importazioni. La strategia cinese «viene perseguita con criteri ‘strategici’, e non ‘di mercato’, cioè con l’acquisizione diretta, da parte della Cina, dei diritti di esplorazione, estrazione e trasporto»11. La Cina persegue questa strategia anche per quanto riguarda i rapporti energetici con la Russia; però, in Russia tale strategia non viene accolta con favore, poiché il settore energetico rappresenta non solo la sua principale fonte di introiti valutari, ma anche la sua principale leva geopolitica nelle relazioni internazionali a cui difficilmente potrà rinunciare. Nella Siberia Orientale e nell’Estremo Oriente russo, Mosca tende a diversificare verso la Cina e verso il Giappone le risorse energetiche nazionali – oggi concentrate soprattutto verso l’Europa (l’85% sul totale). Da esse dipendono il 25% del PIL russo e il 50% del bilancio statale12. Lo scopo della diversificazione energetica russa è il conseguimento di un equilibrio tra Est ed Ovest; quindi l’Europa da una parte e la Cina, il Giappone e anche la Corea del Sud, dall’altra, in modo da aumentare la propria libertà d’azione e la propria forza negoziale13.

Putin e le relazioni energetiche con la Cina

È con il primo mandato della presidenza Putin che le relazioni con la Cina nel settore energetico entrano nel vivo. Il 2000 si apre con la partenza verso la Cina dei primi treni russi carichi di petrolio14. Durante la prima visita ufficiale di Putin a Pechino vengono firmati almeno tre documenti nel campo energetico: un accordo sul proseguimento della collaborazione energetica bilaterale; un memorandum per un’analisi di fattibilità per la realizzazione di un eventuale oleodotto tra la Cina e la Russia; e un contratto di compravendita per la fornitura da parte della Yukos di 300 mila tonnellate di petrolio proveniente dai giacimenti della Siberia Occidentale15. Nonostante il buon inizio delle relazioni sino-russe con la presidenza Putin, testimoniato anche dalla firma del Trattato di amicizia tra Mosca e Pechino, vi sono due episodi che evidenziano i contrasti tra le due potenze nel settore energetico. Il primo episodio è il fallito tentativo di acquisto da parte della cinese CNPC della Slavneft (compagnia petrolifera statale di cui, al momento della vendita, una parte delle azioni apparteneva alla Russia – 75% – e l’altra alla Bielorussia – 10,8%)16. La sola possibilità che una compagnia statale finisse in mani statali estere aveva generato un’ondata di critiche a tutti i livelli della società russa che spinse la Duma ad adottare un emendamento alla legge sulle privatizzazioni che vietava la vendita delle azioni delle compagnie statali russe a compagnie statali estere.

Il secondo episodio riguarda il fallimento lampo del progetto per la costruzione dell’oleodotto da Angarsk una piccola città nella parte sud del Lago di Bajkal al nord della Mongolia, fino a Daqing nella provincia Heilongjiang (Daqing Route17). Nei primi anni 2000, con le firme di vari accordi bilaterali, lo sviluppo del progetto sembra compiere importanti passi in avanti. Tuttavia, nel luglio del 2001, la compagnia petrolifera statale Transneft presenta un progetto alternativo al Daqing Route, che prevede la costruzione di un oleodotto da Angarsk a Nachodka sulla costa del Pacifico (Pacific Route). Sebbene questo progetto sia molto più costoso del Daqing Route, presenta un notevole vantaggio per la Russia: le permette di non essere dipendente da un solo acquirente ed avere sbocchi in più direzioni (Cina, Corea, Giappone e l’Asia Pacifico in generale). Il Giappone, preoccupato per i negoziati sino-russi per la costruzione dell’oleodotto, decide di far propria la proposta si Transneft e si propone come finanziatore del Pacific Route. Il governo russo, valutando i vantaggi del Pacific Route superiori a quelli del Daqing Route, decide di bloccare quest’ultimo progetto per iniziare la costruzione di quello che diverrà il sistema di oleodotti nell’Estremo Oriente russo conosciuto con il nome di ESPO (East Siberia – Pacific Ocean).

Negli anni 2000 il rafforzamento del legame politico e in particolare energetico tra i due Paesi è testimoniato dai finanziamenti della China Development Bank (CDB) alle maggiori compagnie petrolifere russe, spesso collegati alla fornitura di petrolio, dalle importanti scoperte di giacimenti petroliferi da parte di Vostok Energy, joint venture sino-russo tra CNPC e Rosneft, e dall’inaugurazione nel 2010 del primo oleodotto della storia sino-russa che mette in collegamento diretto i due Paesi, Skovorodino-Daqing, in sostituzione del Daqing Route per attenuare l’irritazione cinese.

Anche l’attuale accordo gasifero ha origine nei primi anni 2000 con i tentativi di Gazprom di costruire in joint venture con PetroChina il WEP I18 (West-East Pipeline) per poi collegarlo al proprio gasdotto proveniente dalla repubblica di Altai. Quest’ultimo progetto poi è entrato in una fase di stallo principalmente per due ragioni: primo, il disaccordo sul prezzo del gas naturale russo poco competitivo rispetto ad altri fornitori della Cina e, secondo, l’interesse primario cinese a rifornire di gas russo le sue regioni nordorientali, e in particolare Heilongjiang, Jilin e Liaoning, mentre il cd. Altai Route avrebbe portato il gas russo dalla Siberia prima alle regioni occidentali cinesi che tuttora ricoprono un ruolo marginale nello sviluppo della Cina. L’alternativa preferita dalla Cina, ossia la costruzione di un gasdotto per la fornitura delle sue regioni nordorientali, coinvolge anche gli interessi di Giappone e, soprattutto, Corea del Sud che è stata anche coinvolta nel progetto cinese di un gasdotto che avrebbe portato il gas russo in Corea del Sud da Weihai nello Shandong aggirando la Corea del Nord. Un decennio di trattative ha dunque trovato il proprio sbocco con l’accordo del maggio 2014 che prevede una fornitura di 38 miliardi di metri cubi l’anno a partire dal 2018 dal giacimento gasifero della Yukatia. Sono stati firmati anche accordi accessori per la costruzione di infrastrutture per il trasporto del gas fino in Cina per un totale di 55 miliardi di dollari da parte di Mosca e 20 miliardi da parte di Pechino. Le regioni nordorientali della Cina saranno rifornite dal gasdotto “Forza della Siberia”, in costruzione dal 2007, che mette in collegamento i giacimenti gasiferi dell’Irkutsk e Yakutia con l’Estremo Oriente russo e con la Cina19; mentre per le regioni occidentali saranno avviati negoziati per il gasdotto dell’Altai.

La bontà delle relazioni tra Russia e Cina recentemente è stata già affermata nel marzo 2013 durante la visita del presidente cinese Xi in Russia in cui ha dichiarato che i legami tra Cina e Russia erano tra i più importanti al mondo e anche i migliori tra i Paesi più grandi, e che, avendo simili o identiche posizioni su questioni internazionali o regionali20, era opportuno il rafforzamento della loro coordinazione. Dal canto suo il presidente Putin ha dichiarato che la visita del presidente cinese Xi contribuiva a rafforzare la natura strategica della loro cooperazione21. Per quanto riguarda le relazioni energetiche, il presidente cinese ha affermato che «alla vigilia della mia visita in Russia, le due parti hanno già essenzialmente raggiunto significativi accordi su forniture addizionali di greggio, sulla costruzione di oleodotti e sull’importazione di GNL russo»22. Nell’ottobre 2013 poi, alla presenza del vice premier cinese Zhang Gaoli, Rosneft e CNPC hanno firmato un memorandum per espandere la cooperazione in Siberia Orientale, che istituiva una futura joint-venture con Rosneft al 51% e CNPC al 49% per lo sfruttamento del bacino petrolifero e gasifero di Srednebotuobinsk. A chiusura del memorandum, il presidente di Rosfnet commentava che il memorandum era un altro passo per lo sviluppo della partnership strategica tra Rosfnet e CNPC e che lo sviluppo della Siberia Orientale avrebbe contribuito all’aumento delle esportazioni verso la Cina e la regione dell’Asia-Pacifico23.

La considerazione che l’accordo energetico concluso dalla Russia con la Cina sia uno strumento geopolitico diretto a nuocere gli interessi europei è una concezione eurocentrica errata di considerare le dinamiche geopolitiche in corso. Da tempo si parla di questo secolo come il secolo dell’Asia Pacifico, e se gli Stati Uniti stanno spostando il focus della loro azione dall’Atlantico al Pacifico, la Russia non è da meno. La nuova spinta della direttrice politica della Russia verso Oriente dura ormai da anni perché anche a Putin è chiaro il riassestamento degli equilibri geopolitici mondiali nell’Asia Pacifico e sta sfruttando le risorse energetiche per assicurare alla Russia un “posto in prima fila”. L’Europa e l’Unione Europea, avviluppata su tensioni e problemi interni, incapace di risolvere crisi ai propri confini, sembrano non percepire il cambiamento in corso, con Stati Uniti e Russia dirette verso il Pacifico, che rischia di ridurre ancor di più il peso politico europeo sulla scena internazionale.


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