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Il porta a porta del Pd, “Rimbocchiamoci le maniche”, approda su Facebook e Twitter (o forse no)

Da Kobayashi @K0bayashi

pd_facebook_twitter_avatar_rimbocchiamoci_manicheIl segretario del Pd Pierluigi Bersani l’aveva anticipato durante la Festa nazionale del partito dello scorso settembre a Torino, presentandola come “la più grande mobilitazione porta a porta che un partito abbia mai promosso”: l’obiettivo  di “Rimbocchiamoci le maniche” è quello di raggiungere il più alto numero di italiani, casa per casa, per parlar loro faccia a faccia del governo Berlusconi e per lanciare le proposte del Partito Democratico. Nella mobilitazione, spiegano dal partito, saranno coinvolti gli oltre tre milioni di elettori delle primarie sparsi per la penisola oltre a tutti gli iscritti dei circoli democratici e, naturalmente, le migliaia di amministratori locali.

La campagna informativa coprirà tre fine settimana consecutivi, quelli del 13, 20 e 27 novembre, e lo sforzo organizzativo comporterà la stampa di milioni di pieghevoli e migliaia di manifesti per illustrare il piano del Pd per uscire dallo stallo economico e politico della nazione. Nei tre weekend di mobilitazione gli attivisti democratici contatteranno direttamente centinaia di migliaia di cittadini e le loro famiglie, andando direttamente casa per casa; in moltissimi comuni poi, nella giornata del 20 novembre (indicata dal direttivo nazionale come momento cruciale di incontro con i potenziali elettori) saranno allestiti appositi punti informativi e banchetti per il volantinaggio.

Ma nell’era del 2.0 spinto, quasi a tutti i costi, poteva questa mobilitazione escludere del tutto quella parte di paese che naviga su Internet e che ogni giorno si ritrova e si confronta – anche sui temi caldi della politica – sui social network? No, e infatti gli strateghi (?) della comunicazione del Pd hanno pensato di coinvolgere tutti i simpatizzanti attraverso la richiesta di sostituire al tradizionale avatar di Facebook e di Twitter, che solitamente identifica l’utente in modo univoco negli spazi virtuali sociali, un’immagine-simbolo dell’iniziativa: un cartoncino digitale appeso alla maniglia di una porta, molto simile a quei do not disturb tipici delle catene alberghiere, come a significare implicitamente l’impegno in quelle particolari giornate al servizio del partito e quindi, sottinteso, una temporanea indisponibilità (“per un fine più grande”, sembra quasi voler dire quel piccolo Bersani rappresentato al centro) a trascorrere il tempo in modo inerte sui social network.

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Al momento il counter ufficiale del sito mobilitanti.it segna poco più di 17mila iscritti alle azioni di protesta promosse dal Pd sul web: pochi? Tanti? L’idea della “chiamata alle armi” 2.0 non è male, denota se non altro un tentativo di avvicinarsi a forme di attivismo nuove e più moderne, ma va anche considerato come questo viene organizzato e portato avanti.

Se l’avatar verticale può andar bene per Facebook, infatti, e risulta per una volta ben leggibile e di buon impatto, le sue dimensioni non standard (250×450 pixel) non consentono invece di adattarlo al formato avatar di Twitter, storicamente quadrato, a meno di non doverlo ridimensionare: un’operazione ulteriore che non tutti sono disposti ad accollarsi, sia dal punto di vista dell’impegno necessario che – a volte – anche solo a causa della mancanza di adeguate competenze tecniche.

I grafici assoldati dal Partito Democratico, dunque, hanno messo a disposizione un solo formato e non si sono preoccupati che questo andasse bene per tutte le (tra altro limitate) situazioni proposte, e questo è un errore abbastanza da principianti. Non potendo offrire soluzioni personalizzate, per ovvi motivi, sarebbe però stato quanto meno opportuno predisporre elementi grafici delle dimensioni più comuni e analizzare, almeno a grandi linee, quali potessero essere i fattori “frenanti” della partecipazione per limitarne il loro insorgere.

Provaci ancora, Pd.


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