Magazine Cultura

Il post Salone del Libro di Torino

Creato il 14 maggio 2014 da Temperamente

salone1Lunedì si è conclusa l’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino. Stampa e organizzatori hanno esultato dicendo che quest’anno si è registrato un aumento delle visite del 3%, eppure il numero degli espositori si è ridotto rispetto al passato. Ma quanto fare reale affidamento sulle statistiche? E quanto poco ci interessano i freddi numeri – altrimenti, saremmo andati al Festival di Matematica, no? Impressioni e riflessioni sono quelle che vi propongo, sicuramente vere e affidabili, perché verificate e scritte dalla persona che le ha provate.
Il Salone era dedicato al tema del “Bene in vista”, the next best thing, direbbero gli americani, tema che può sembrare un po’ naif o lontano, ma che io ho apprezzato, proprio per il suo essere così ideale eppure valido in tempi foschi come questi, in cui sembra che parlare di guerre sia quasi di moda… Quindi, perlomeno, sperare e cercare un bene nel futuro, recuperare una prospettiva ottimista, soprattutto se si analizzano (e qui ritornano i numeri) i dati del settore editoriale, in questo mercato che ancora non si capisce da che parte va e che sta appena scontando le forti modifiche imposte dall’arrivo dei libri digitali.

Moltissimi incontri erano dedicati a questo animale ancora da studiare, l’ebook (termine che alcuni usano pensando all’ereader) e ai modi per carpirne il segreto e renderlo meno spaventoso, magari fruibili anche in libreria, biblioteca, nelle scuole,… . Dalle librerie che permettono di acquistare ebook nel proprio punto vendita (Libreria Rinascita, Ascoli Piceno) a quelle che danno in prestito dispositivi, sperimentando doppie vie (Open, Milano), a quelle case editrici che pensano ad andare ancor più in là, immaginando piattaforme di streaming di libri (grandi novità presto in casa Laterza) e quelle che invece si inventano un nuovo formato cartaceo – la Mondadori col suo nuovo Flipboard –, la situazione in questo ambito è ancora decisamente molto fluida e forse cercare soluzioni alternative  è la sfida più interessante per i professionisti del settore.

E mentre i tanti volti sono sfilati in questi giorni – basta guardare il settore Grandi Ospiti per avere un’idea – il programma fittissimo di eventi si è svolto con fisiologici ritardi e code agli ingressi delle sale, tutto sommato sostenibili e non troppo fastidiose per i lettori attenti. Ho capito subito che la zona più interessante per me sarebbe stata quella delle case editrici indipendenti, riunite in un locus amenus nel Padiglione 2, ed ho apprezzato molto il fatto che lo stand degli editori pugliesi fosse vicino alla sala Book to the future*, occupata di solito da incontri interessanti sul futuro dei libri (appunto); una vasta zona dedicata al food, chiamata Cookbook (e mentre scrivo mi rendo conto che molti spazi avevano nomi inglesi, chiedersi il perché è ormai un atteggiamento, più che una domanda, retorico) ove si sono avvicendate presentazioni di libri insieme a vere prove culinarie, dimostra che la curva di questo tipo di letteratura non accenna a diminuire (anzi, dimagrire).

salone.torino.beneinvista
In uno dei tanti appuntamenti cui ho partecipato, l’ospite protagonista** ha detto qualcosa circa il fatto che i libri rappresentano le storie che siamo, quelle che ci costituiscono, perciò quando perdiamo dei libri, perdiamo parte della nostra identità; così quando in varie parti del mondo si sono bruciati dei libri, è come se si avesse ammazzato due volte quelli che li avevano scritti e le culture (uomini, donne, animali, bambini, cibi, usi) a loro connessi; chi brucia e distrugge libri lo fa quasi sempre con cognizione di causa, ricordava giustamente Pierluigi Battista, perché sa che il loro contenuto può essere molto pericoloso. E se vi chiedete perché stia parlando di questi orrori è sia perché ho ascoltato menti molto più edotte della mia parlarne e scriverne nei loro libri sia perché quest’azione rappresenta il male assoluto, antagonista priprio di quel bene principe e oggetto del Salone.
Carlo Ossola ha ricordato il perché filosofico delle tragedie, perché vengono scritte e perché spesso sono così truculente: perché scrivere di questi orrori è un modo per evitare che accadano, rappresentarle in teatro è un modo per scioccare il pubblico e evitare che ripetano a casa certi scempi. Se questo era il pensiero filosofico di Aristotele, possiamo chiaramente estenderlo a varie altre categorie di libri (gialli, thriller, noir o horror, genericamente, anche alla pura fiction) il cui argomento scabroso può lasciare interdetti; secoli dopo il grande maestro greco dobbiamo purtroppo constatare che però la funzione terapeutica della scrittura nei confronti dell’umanità non è così esaustiva, visto che crimini e delitti continuano a commettersi senza remore… Ma le domande filosofiche le rimettiamo ai filosofi e ad altre sedi: non per nulla, nel Salone un grande e bello spazio era riservato al Vaticano, cui era dedicato un percorso ad hoc, con ospiti, conferenze e interventi.

Perciò riprendiamo col Salone. Dove, mentre si salta da un appuntamento all’altro, o da uno stand all’altro, si ha la magnifica sensazione di essere confusi e in-felici. Mi spiego. La confusione è dovuta a vari motivi: ho sentito varie persone lamentarsi dell’incomprensibilità della mappa, della difficoltà di capire dove si è e dove si vuole andare, di trovarsi sulla mappa e poi correre, che la scaletta degli eventi è fitta e scadenzata. Allo spaesamento iniziale si lega la gioia seguente (dell’aver capito come leggere la mappa) e l’in-felicità che consta nella sensazione sublime di essere attorniati da libri, da case editrici, da scrittori, da libri nuovi e libri scontati, da chicche e perle editoriali – tutte cose che fanno “sbavare” i lettori e gli amanti dei libri. Quindi, il Salone, assomiglia all’Eden: ecco perché si è in-felici”, cioè felici dentro, all’interno del Salone.

Ma da questa inebriante sensazione subito scaturisce una riflessione, che causa sia confusione che infelicità (stavolta intesa come nell’uso parlato comune), che scatena il dubbio e l’incertezza: ma se il Salone è un luogo così bello e se ci sono così tante e così tanto belle persone all’interno del mondo dell’editoria (mai visti tanti volti sorridenti e voci accomodanti) e all’esterno pure, che sono tutti quelli che leggono i libri e fanno il live twitting agli eventi del salone sotto l’hashtag giusto e si fanno la fila per farsi autografare il libro, ecc ecc.; ecco, se tutto ciò è vero, allora perché le librerie sono così vuote? perché si vendono sempre meno libri? Tantissimi (sono persino aumentati gli ingressi quest’anno!) partecipano a questi meravigliosi, bellissimi eventi e festival dedicati al mondo del libro, ma poi, che fine fanno questi “

app-salone
tantissimi”? Cos’è, uno scherzo? O un bel sogno? Ecco, il Salone rende confusi e infelici.

Anche perché quest’edizione ormai è andata e non si può neanche più aprire la App (veramente utilissima, dava la possibilità di crearsi il proprio programma personale e ti avvisava 10 minuti prima del suo inizio), e quindi, si è inevitabilmente un po’ infelici e un po’ fusi – specie se avete tirato tardi alle feste post salone alla sala degli ex Canottieri…

*probabilmente una coincidenza, ma vogliamo leggere segni nel caso.
**Lauren Groff, il cui romanzo Arcadia sembra molto bello.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :