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Il posto del soggetto nella logica strutturale: Jacques Lacan e la sovversione inaspettata

Creato il 05 luglio 2013 da Criticaimpura @CriticaImpura
Lacan e il soggetto

Lacan e il soggetto

Di ALESSANDRO SICILIANO

Esiste, all’interno degli studi lacaniani, uno snodo teorico molto importante. Dopo aver preso le mosse dall’ambiente culturale dello strutturalismo, Lacan deve compiere un ulteriore movimento per identificare la psicoanalisi come scienza del particolare il cui oggetto di studio sia la verità del soggetto. In effetti, le premesse teoriche dello strutturalismo portano da tutt’altra parte.

La struttura di Lévi-Strauss, la struttura del linguaggio (vale a dire il discorso umano sulle cose del mondo) ha due caratteristiche basilari: 1) il linguaggio ha una sorta di primato sul mondo che descrive; non possiamo conoscere la realtà, le cose del mondo, se non attraverso il linguaggio che permea le cose stesse [1];  2) il linguaggio è omogeneo al mondo che descrive; lo schermo che si interpone fra noi e le cose, attraverso cui conosciamo il mondo, ricalcherebbe più o meno esattamente la struttura del mondo sottostante [2].

Mentre il primo punto, il fatto che ci sia fra noi e il mondo uno schermo che ci consente di dare ordine al mondo stesso, è ben concepibile, la seconda caratteristica è più problematica. Nel corso del III capitolo del suo Seminario X [3], Lacan osserva come questo postulato iniziale di Lévi-Strauss, secondo cui la struttura linguistica sarebbe un calco della sottostante struttura del mondo e che quindi sarebbe un’immagine autentica ed integrale del mondo reale, sia in realtà un assunto abusivo, una sorta di petizione di principio. Questo è un punto debole di Lévi-Strauss: per quale motivo questa struttura, questo schermo, dovrebbe essere tale da rispecchiare fedelmente ed integralmente le connessioni della materia, del reale? Lo strutturalismo di Lévi-Strauss è uno strutturalismo serrato; uno strutturalismo, propriamente detto, che presuppone l’esistenza di questa struttura autosufficiente, al di sopra di tutto ciò che riguarda la dimensione soggettiva e in cui il soggetto altro non sarebbe che “uno zimbello di questa matrice retrostante che è preordinata nell’elaborazione della cultura di un popolo” [4].

È importante fare un passo indietro e notare che l’epoca saussuriana e post-saussuriana è il teatro di un fondamentale dibattito filosofico circa la questione del soggetto. Abbiamo detto che una delle basilari distinzioni che De Saussure mette in luce è quella tra langue e parole. Lo strutturalismo era anche noto come la filosofia della morte dell’uomo, nel senso che il linguaggio è dal lato della morte, perché noi possiamo pensare ad una lingua ed alla sua sopravvivenza anche senza nessun soggetto in vita; è ammissibile, si pensi al latino che è appunto una lingua morta, nel senso che nessuno la parla più ma esistono libri attraverso cui può essere trasmessa [5]. La parola, invece, intesa come atto di parola, è un concetto solidale con quello di soggetto, necessita dell’intervento di un soggetto per funzionare.

Il linguaggio umano, dice Lacan, è costituito da “una comunicazione in cui l’emittente riceve il proprio messaggio dal ricevente in forma invertita” [6]. Per poter dire “tu sei mio padre” devo ricevere una sorta di legittimazione, un messaggio invertito dal ricevente: “tu sei mio figlio”. In altre parole, la parola va verso l’altro, vuole essere riconosciuta dall’altro. “Ogni parola chiama risposta […] anche se non incontra che il silenzio, purché essa abbia un uditore” [7]. La funzione della parola è dialetticamente fondata sulla risposta che riceve dall’altro, ossia sul riconoscimento che l’altro opera sul messaggio del soggetto. “In breve, in nessun punto appare più chiaramente che il desiderio dell’uomo trova il suo senso nel desiderio dell’altro, non tanto perché l’altro detenga le chiavi dell’oggetto desiderato, quanto perché il suo primo oggetto è di essere riconosciuto dall’altro” [8].

Mentre dove c’è parola ci deve essere, per questa logica, un soggetto che la proferisca e che faccia atto, il linguaggio inteso come struttura e il soggetto sono due concetti incompatibili fra loro. La grande questione è dunque questa: se postuliamo che ci sia un linguaggio-struttura autosufficiente e che non necessita di un soggetto, che fine fa il soggetto? Le risposte degli ambienti culturali del secolo scorso erano due, così come due erano le correnti di pensiero che si scontravano durante questo periodo storico, riferibili a due autori in particolare: Jean-Paul Sartre e la sua Critica della ragion dialettica [9], rappresentante dell’esistenzialismo, Claude Lévi-Strauss con la sua opera Le strutture elementari della parentela, rappresentante dello strutturalismo [10].

Il punto essenziale della ragione dialettica sartriana è l’evaporazione, il totale disinteresse di quel substrato materiale posto dallo strutturalismo come sottostante al discorso. In altre parole, come spiega bene Carmelo Licitra Rosa, secondo la ragione dialettica “la potenza trasformante e l’efficacia realizzante delle scansioni dialettiche sono tali che tutta la realtà in gioco in questo processo finisce per ridursi interamente alla dialettica, ovvero alla stessa macchina simbolica che mette in moto e sostiene il processo. Non c’è altra realtà se non la realtà che viene provvisoriamente posta e incessantemente ripresa e modificata, nel ciclo ininterrotto dei rovesciamenti dialettici” [11].

La realtà nella ragione dialettica è interamente riassorbita dalla dialettica stessa, regno del soggetto. La posizione quindi è netta tra parola e linguaggio, tra ragione analitica e ragione dialettica; o si sta per il soggetto o per la morte del soggetto. Non è un problema solo filosofico, dice Lacan: “eluderlo col pretesto delle sue sembianze filosofiche, è semplicemente dar prova di inibizione. Perché la nozione di soggetto è indispensabile al maneggiamento di una scienza così come la strategia in senso moderno, i cui calcoli escludono ogni soggettivismo” [12].

Lacan è autore di una sovversione inaspettata da entrambe le parti: egli sostiene che l’opposizione tra struttura e soggetto è falsa ed elabora una struttura incompleta, che al suo interno ha un buco, una faglia, che sarebbe appunto il posto del soggetto. Lacan unisce struttura e soggetto, linguaggio e parola, dicendo che è pensabile una struttura che al suo interno accolga il soggetto, un’eresia per entrambe le scuole [13].

Ovviamente, la psicoanalisi non può essere per la morte del soggetto! Viene in aiuto Freud: “non sono, là dove sono il trastullo del mio pensiero; penso a ciò che sono, là dove non penso di pensare […] Questo, almeno, finché Freud non ne ha fatto la scoperta. Giacché se ciò che Freud ha scoperto non è questo, non ha scoperto nulla” [14]. Vale a dire che il cogito ergo sum cartesiano, la base per concepire la teoria del soggetto trascendentale puro, la finestra sulla coscienza, deve essere inteso, da Freud in poi, come l’avamposto dell’inconscio: “penso dove non sono, dunque sono dove non penso” [15]. Ciò che Lacan mette al centro della sua indagine è il soggetto dell’inconscio, che Freud ha indicato come agente nelle formazioni sintomatiche e ha descritto come parlante tanto nei sintomi quanto nei lapsus, negli atti mancati, nei sogni. Interrogarsi sull’essere del soggetto è una questione filosofica, ma Lacan non smette di puntare alla clinica psicoanalitica: “[…] la nevrosi è una questione che l’essere pone per il soggetto “da là dov’era prima che il soggetto venisse al mondo” (questa subordinata è la frase precisa di cui Freud si serve quando spiega al piccolo Hans il complesso di Edipo)” [16]. La questione di cui Lacan parla viene al posto del soggetto, cioè è posta con il soggetto stesso “così come si pone un problema con una penna” [17].

Si parla di soggetto quindi. Il soggetto lacaniano è un effetto del significante e della struttura: “Effetto del significante vuol dire che il soggetto, nella misura in cui come essere parlante deve servirsi del mondo simbolico (e l’uomo non può che essere un animale simbolico), non può mettersi che alla sequela di ciò che il significante dice. È il significante che parla con un altro significante e il soggetto non può che mettersi in coda, allineato e coperto” [18].

Per il Lacan strutturalista, come per Heidegger, non sarebbe tanto l’uomo a parlare, ma il linguaggio (almeno in un primo tempo del soggetto): “È il linguaggio che fa uomo l’uomo” [19]. Il soggetto è assoggettato al significante, alla struttura che viene sempre prima del soggetto e che lo accoglie, ma il significante non lo può mai fissare ad un significato, non può, in nessun modo, fissare in modo definitivo il suo destino. Se è vero che il soggetto è effetto del significante, fabbricato dal significante (strutturalismo), d’altra parte è però sempre irriducibile all’azione universale del significante (esistenzialismo): “Il soggetto ritagliato e fabbricato dal significante, è anche il resto inassimilabile, dunque intrinsecamente eccedente, di questa stessa operazione. Il soggetto sarebbe allora quel resto-eccedente che l’azione della struttura implica nel suo stesso funzionamento, ma che risulta, come tale, inassimilabile alla struttura che lo genera” [20].

La sintesi che Lacan fa dello strutturalismo e dell’esistenzialismo ha conseguenze, oltre che sulla concezione del soggetto, anche sul tema della simbolizzazione e della realtà: da una parte c’è la struttura, che sgretola la realtà preesistente per poi sovrapporsi ad essa e riassorbirla in sé sotto forma significante, sotto forma di discorso umano; dall’altra parte (e qui sta l’originalità di Lacan), qualcosa, un frammento di questa realtà sgretolata (evaporata per Sartre) ed elisa, si reintroduce. Ma questa realtà che ritorna non può più essere considerata una realtà a priori (come la voleva Lévi-Strauss, preesistente e strutturata a immagine della struttura linguistica) ma una realtà a posteriori, che dobbiamo logicamente porre al di là della struttura, consequenziale ad essa.

La ragione psicoanalitica che Lacan promuove come sintesi della ragione analitica di Lévi-Strauss e di quella dialettica di Sartre è giustificata da un oggetto che è specifico della psicoanalisi: l’esperienza dell’angoscia.

Il pezzo di reale che Lacan suppone essere a valle del dispositivo della struttura, resto o scarto della simbolizzazione della realtà, è il solo oggetto a cui possa essere ricondotta l’angoscia. L’angoscia è intrinseca, permea l’esperienza umana, dunque quando c’è angoscia c’è una crisi della normale capacità di simbolizzare, di dare senso alla realtà. L’angoscia fa essere l’esperienza umana “tutt’altro da quell’esperienza regolata e scandita quale la vorrebbe Lévi-Strauss nel suo orizzonte perfettamente strutturato, quasi ieratico e senza crepe” [21].

Questo è ciò che la psicoanalisi apporta di originale al discorso strutturale e che Lacan, nel Seminario X chiama ragione psicoanalitica, resa necessaria dal fatto che il rapporto dell’uomo col mondo è nel segno di un pathos insopprimibile, di un attrito, di un continuo inciampo della comprensione e della facoltà di mettere ordine, e non della imperturbabilità che un congegno combinatorio quale è la struttura simbolica, ancorché operante inconsciamente, potrebbe assicurare: “Il territorio abitato dall’uomo, il territorio della vita umana, non è il deserto pacificato segnato dagli intervalli regolati di una struttura, non è insomma il campo della ragione analitica, ma è il luogo incandescente di un pathos, di un dramma ove la vita umana vibra di un reale denaturato; è il campo dunque della ragione psicoanalitica, ove la potenza combinatoria della ragione analitica e la potenza nullificante della ragione dialettica si coniugano intorno ad una sorta di punto risultante: consistenza conseguente, che la ragione psicoanalitica non rinuncia a formalizzare e a logicizzare […]” [22].


[1] Lévi-Strauss C., Il totemismo oggi  (1962), Feltrinelli, Milano 1964. 

[2] Lévi-Strauss C., Il pensiero selvaggio (1962), Il Saggiatore, Milano 1964. 

[3] Lacan J., Il seminario. Libro X. L’angoscia. 1962-63, a cura di Di Ciaccia A.., Einaudi, Torino 2007.

[4] Licitra Rosa C., Parola e linguaggio, cit., p. 26.

[5] Ivi, pp. 13-16.

[6] Lacan J., Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, cit., p. 291.

[7] Ivi, p. 241.

[8] Ivi, p. 261.

[9] Sartre J. P., L’intelligibilità della storia. Critica della Ragion dialettica (1960), Marinotti, Milano 2006.

[10] Licitra Rosa C., Parola e linguaggio, cit., p.15, p.25.

[11] Licitra Rosa C., Da Lévi-Strauss a Lacan: dalla pace al pathos, dalla struttura alla topologia, psicoanalisilicitra.com, p. 3.

[12] Lacan J., L’istanza della lettera dell’inconscio o la ragione dopo Freud, cit.,  p. 511.

[13] Licitra Rosa C., Parola e linguaggio, cit., p. 15, p. 25.

[14] Lacan J., L’istanza della lettera dell’inconscio o la ragione dopo Freud, cit.,  p. 511.

[15] Ivi, p. 512.

[16] Ivi, p. 515.

[17] Ibidem.

[18] Licitra Rosa C., Parola e linguaggio, cit., p. 27.

[19] Heidegger M., In cammino verso il linguaggio (1959), Mursia, Milano 1973, p. 200.

[20] Recalcati M., Soggettivazione e separazione. Il soggetto come resto-eccedente, in Lezioni su Lacan, POL-it.org.

[21] Licitra Rosa C., Da Lévi-Strauss a Lacan: dalla pace al pathos, dalla struttura alla topologia, cit., p. 5.

[22] Ivi, p. 6.

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