Magazine Diario personale

Il Principe, il cavallo e il calice avvelenato.

Da Bibolotty

Riflessione sulla realtà e l'immaginazione.


Il Principe, il cavallo e il calice avvelenato. Speravo di sentirlo svanire nella foresta nera, e per sempre, il nitrire e il calciare festoso del suo cavallo bianco. Invece sta sempre lì che continua a dirmi: ci sono, esisto, sei tu che non mi vedi, tu che non mi hai incontrato. Parlo dell’idea del principe azzurro e del suo coraggio. Della definitiva salvezza dai bucati, dal disordine, dalla spesa e i tre per due, dalla ricerca di un lavoro e di un domani meno incerto, dalla minima e vitale realizzazione di un’idea che coviamo sin da bambine. Parlo di quello che mi fa dimenticare per un attimo la rata del mutuo e quella di Equitalia, della lavatrice e del condominio, le bollette e il dentista, e soprattutto di lui, il marito, fidanzato o amico che ogni volta, a tavola, al cinema o a letto, si aggrappa alle mie poche certezze per strapparmele di dosso. No, non ce la farò mai. Soprattutto non sono una donna forte, e se anche lo fossi, non vorrei mai che per questo m’infilassero tra le gambe certi attributi maschili antiestetici e notevolmente pelosi, come unico segno distintivo di coraggio e valore. Non so se sia mai esistito un tipo di uomo come quello che alla fine del film sale di corsa le scale anti incendio con in mano un mazzo di fiori, un grande sorriso sulle labbra e una vita miliardaria piena d’amore. Almeno io e le mie amiche non l’abbiamo mai incontrato. E mai abbiamo raccattato per strada o in un ristorante chic, quello che compra la casa editrice dove lavoro e solo per proteggermi e occuparsi di me, nonostante io voglia, o finga con tutta me stessa, di voler conquistare la mia sacrosanta autonomia e farmi un gran culo per fare carriera.
So benissimo che questo post farà sbottare anche i miei lettori -e lettrici- più gentili e dal giudizio pacato, ma sono abituata all’insulto e preferisco evitare di nascondermi dietro un dito e risolvere un problema che mi affligge sin dalla nascita. È che nonostante la storia, la mia e quella di intere generazioni, abbia affermato il contrario, continuo a essere perseguitata da un’idea di un uomo che non c’è. E non lo faccio apposta. Perché ancora oggi, nel 2012, l’editoria (e scusate se giro il coltello nella piaga), il cinema, e i giornali si ostinano a propormi, come un piatto di peperoni che va su e giù e proprio non posso digerire, l’idea di questo benedetto maschio forte, onesto, sincero, fedele e soprattutto, maledettamente ricco. E se in tante vogliono ancora concedersi un sogno, e i numeri delle vendite di certi best seller lo dimostrano, io vorrei invece delle storie oneste. Perché è terribile il contrasto tra la realtà, la mia e di tantissime care amiche, e quella di certe storie.
È inutile che le femministe più agguerrite tuonino –per il nostro bene- di abbandonare certe idee. Per quanto ci si provi e per quanto la realtà confermi ogni giorno che il nostro destino sarà quello di farci carico del doppio delle responsabilità, lavoro, famiglia ed equilibrio psico fisico del maschio in perenne crisi d’identità, o di mezza età, lo scapitare degli zoccoli del suo cavallo non si allontanerà mai. Oggi i Principi sono diversi da quelli in tutina azzurra delle fiabe. Li hanno costruiti meno belli di Richard Gere, non sono ufficiali che si fanno carico delle proprie responsabilità, sono magari più anziani, hanno il “culo moscio” e sono più che liftati, ma rappresentano comunque un’idea di generosità e romanticismo che fa sì che ci si ritrovi, senza aver fatto nulla di più di quanto già facciamo, ad avere un vitalizio e le prime pagine dei giornali. Sono magari intellettuali, direttori di famose testate giornalistiche o parlamentari, che potrebbero cambiare la nostra esistenza con un solo clic e la telefonata giusta.
Questo succede perché non siamo mai riuscite a ottenere pieni poteri, perché siamo ancora smembrate tra un’indole maledettamente servile (i numeri sul sadomaso lo confermano) e un sacrosanto desiderio di comando. Tra una falsa generosità verso le nostre simili e un’invidia che ci si mangia se solo sono più belle o creative o più sagaci di noi.
Perché non ho mai visto su FB uomini che si auto ritraggono ogni giorno e in mille atteggiamenti ammiccanti, pochissimi quelli che aspettano la nave di Ulisse per cantare ammalianti il proprio desiderio disatteso, la delusione di un sogno perennemente infranto, la stanchezza di dover preparare menù diversi ogni giorno e di inviare curriculum che non trovano risposta. Ho la sensazione nettissima, a giudicare da ciò che vedo, che siamo ancora tutte lì con la canna da pesca e la rete in mano a lanciare esche in cerca del pesce più grosso (scusate la metafora). È come se si trattasse di un dna immutabile, di un atteggiamento animalesco, di un comportamento spontaneo che disattende tutti i nostri migliori propositi, e che in un attimo distrugge le mille parole dette e scritte sulla nostra beneamata autonomia e sul nostro indiscutibile valore, e che mai e poi mai ammetteremo di avere anche tra le gambe e di usarlo al meglio e in ogni occasione possibile. Come la realtà, di fatto, conferma.
Ammettiamo pure che non ci siamo spostate un attimo da lì, che corriamo contro il tempo e le prime rughe, che siamo incazzate nere e che vorremmo qualcosa di più. Per farne uno buono ce ne vogliono tre; Il mio uomo si chiama Ansiolin; Pensavo mi risolvesse la vita e invece mi sono trovata a lavorare il doppio; Quando ti sembra il migliore nasconde sempre una sorpresa, eccetera eccetera. Ma allora chi è il responsabile di questo sfacelo. Noi che paghiamo un Gigolò mille e passa euro e che nemmeno abbiamo il coraggio di ordinargli di farsi trovare in bagno e con i calzoni alle caviglie o loro, che fanno finta di poterci regalare il mondo intero e che poi nascondono le proprie debolezze –tante, naturali e giuste per carità- nel cesto dei panni sporchi? Si finge. Continuiamo a recitare sempre la stessa fiaba.
Scendiamo in Piazza a gridare “se non ora quando” ma poi, se anche la matematica non è un’opinione, corriamo in libreria per versar lacrime su una storiella tra le più prevedibili e romantiche. Dirigiamo giornali, aziende, siamo in politica e pubblichiamo romanzi ma quasi sempre grazie a qualcuno, un uomo, quello che il potere ce l’ha. Che sia il padre, il fratello, il marito o l’amante non importa, è importante ammettere che non ci siamo mai spostate da lì. Sarebbe quindi onesto e di gran lunga più costruttivo respirare a fondo, allargare le braccia, riprendere i nostri pesantissimi pacchi della spesa e dirci che siamo incazzate più che un po’ per averci creduto, e per esserci lasciate convincere che l’intelligenza seduce più di un push up.


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