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Il principio del voto-diga (eppure bussano alla porta)

Creato il 09 febbraio 2013 da Spaceoddity
Il principio del voto-diga (eppure bussano alla porta)Ho provato di tutto. Ho anche domandato in giro tramite Twitter e su FB se ci fossero delle ragioni valide per votare il PD. Niente. Dai rancorosi e perplessi elettori di sinistra ho avuto sempre sguardi superbi e sarcastici: Perché, vuoi votare Berlusconi? No, che non lo voglio votare, non ho mai votato e non voterò Berlusconi, ma mi irrita e mi sfianca quest'incapacità di condividere - e forse persino di trovare - il buono proprio nel partito al quale si accorderà la preferenza in cabina elettorale. Prevale semmai il principio del voto-diga: un voto per arginare la piena, la marea montante, un voto che non è un plauso, bensì uno sbarramento.
Il che sarebbe ancora poco male, se ci fosse un PD da votare. E invece il maggiore partito di centrosinistra sembra abbia la vocazione a essere perdente. E voglio dire, se si limitasse a perdere sarebbe un vantaggio per i suoi avversari, e va bene così, vinca il migliore (qualunque cosa ciò significhi), ma è un problema di chi è stato sconfitto. L'essere perdente è invece qualcosa che ci riguarda tutti e che non può non provocare danni a tutti noi, se è vero che il PD è tuttora in vantaggio nei sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani. D'altra parte, mi trovo a mia volta nell'impossibilità di smontare le critiche al PDL e al suo vero leader in particolare. Quello che non accetto è, semmai, che un polo sistematicamente indifendibile sia, agli occhi di molti, una ragione valida per promuovere l'altro, non troppo più accettabile. Tuttavia, credo ci sia di più nell'acritica, retorica, oltranzista difesa del PD: forse, infatti, c'è la convinzione che chiunque vada ora al governo sarà peggio di ciò che c'è ora e che dunque non ci resti niente di meglio che contenere i danni che la storia dell'uomo ci riserva.
Se prendo il mio campo d'azione, la scuola, osservo con sconforto l'incapacità di pensare a soluzioni strutturali valide e accettabili; soprattutto, soffro l'inadeguatezza nel porsi le giuste domande non di ordine didattico (che pure sarebbe legittimo aspettarsi da un governo tecnico di professori), ma di senso in merito al valore dell'istruzione. Spesso, e lo dico per esperienza, sono gli istituti paritari, quelli non statali (con tutti i loro limiti), ad affrontare con più vigore gli aspetti profondi e veri dell'educazione. Abbiamo assistito a richieste e considerazioni che è anche offensivo prendere sul serio da parte della destra e di questo cosiddetto centro; e, non meno, da parte della sinistra: pagare in maniera diversa l'identico lavoro pomeridiano dei docenti a seconda che sia svolto a casa o nell'edificio scolastico è un'idiozia faraonica (e parlo di galline). Ma al PDL - lo stesso partito che propone la restituzione dell'ingiustissima IMU senza, al fianco, uno straccio di piano di risanamento strutturale e sostenibilità del progetto e del paese - al PDL, dicevo, credo che spetti il capolavoro in termini di ruffianeria propagandistica: la stretta relazione tra scuola e aziende.
In parole povere, subordiniamo l'intero apparato dell'istruzione ad aziende che forse puntano alla ricchezza, ma intanto licenziano in massa, chiudono, non dimostrano spesso nessuna progettualità o inventiva, anzi non soffrono neanche nel veder disperdersi per il mondo giovani intelligenti e (grazie al cielo!) abbastanza choosy da non mettersi da soli le catene. Non mi stupisce che la destra di oggi squalifichi o ripensi in questi termini la scuola, ma che abbia una visione così poco lungimirante dell'industria e delle strategie produttive mi lascia senza parole. Il cosiddetto "rilancio dei consumi" è lo slogan con il quale si mostra l'intento di saturare rapidamente il mercato (e di trovarne di vergini) con un commercio seriale, quasi sempre privo di reali ricadute pubbliche in termini di benefici. Tale procedura è preparata e seguita da attente campagne di induzione del bisogno. È appunto il commercio che interessa, non il prodotto (e meno che mai gli interessi del consumatore, figuriamoci la società, concetto astratto e incolore, niente più che vessillo ideologico).
Il principio del voto-diga (eppure bussano alla porta)Un simile tracollo di un'idea nobile come quella di scambio di beni e servizi è comune a tutte le forze politiche (e la sinistra vanta un curriculum sanguinario in termini di massificazione), ma viene sbandierato dai partiti più vicini alla destra. Il PD, per parte sua, si è guardato bene dall'essere finora un partito di opposizione, limitandosi a essere quello dell'indignazione; ora, poi, si bea nel non avere progetti, con quel linguaggio al negativo che Maurizio Crozza mette in luce benissimo (ma non siam mica qui a...). Gli uni enfatizzano favole, gli altri invitano a non crederci. E noi siam qui a cercare un punto dove mettere la diga e a ipotizzare sfiati e sistemi di sicurezza contro un futuro che si configura sempre più catastrofico (anestetizzati da millenarismi non meno seriali). Ci tappiamo gli occhi, turiamo il naso e individuiamo un punto dove collocare una diga e provare a bonificare il territorio antistante, nella speranza che sia salubre a sufficienza da non costringerci a una fuga precipitosa.
Oppure, come accade in un racconto esemplare di Dino Buzzati (Eppure bussano alla porta), ce ne stiamo tranquilli e pigramente indaffarati in casa, ignorando la piena che ci segnalano a gran voce.

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