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Il processo a Galileo Galilei.

Creato il 11 agosto 2015 da Il Viaggiatore Ignorante

Convento di Santa Maria sopra Minerva.

Un uomo è abbandonato ai sui pensieri.

La fisicità dei presenti è annullata dalla mente dello scienziato, inginocchiato di fronte ai prelati della Santa Inquisizione.

E' stanco.
E' provato da una lunga battaglia con se stesso ed il suo libero pensiero.

Solitario uomo di fronte allo strumento repressivo più potente del tempo.

I minuti sembrano ore.

L'abito penitenziale stravolge i fatti: il genio diviene uomo e l'uomo, molto lontano dall'essere genio, diviene giudice.

La sentenza è dura.

"Io Galileo [....] dell'età mia d'anni settanta, costituito personalmente in giudizio, ed inginocchiato davanti a voi eminenti e reverendi cardinali [....] avendo davanti agli occhi i santi Vangeli, che tocco con le mie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che insegna e predica santa cattolica ed apostolica chiesa. Ma perché da questo Santo Uffizio, per aver io, dopo l'essermi stato, con precetto, intimato che dovessi lasciare la falsa opinione che il Sole sia il centro del mondo e che si muova [....] e dopo d'essermi notificato che detta falsa dottrina è contraria alle Sacre Scritture, ho scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto questa dottrina, già dannata, ed apporto ragioni con molta efficacia a favore di essa, senza apportare alcuna soluzione, sono stato giudicato verbalmente sospetto d'eresia per aver creduto che il sole sia il centro del mondo ed immobile e che la terra non sia il centro e che si muova. Pertanto [....] con cuore sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto suddetti errori ed eresie e generalmente ogni altra eresia contraria a Santa Chiesa".

Il secondo processo a Galileo si conclude.

L'uomo abiura, detestando, il frutto del lavoro di una vita.

Si allontana dal concetto per il quale ha vissuto, rinnega la propria esistenza.

La chiesa non accetta l'idea che il Sole sia al centro dell'Universo.

Trentatré anni prima l'Inquisizione si era scontrata con Giordano Bruno. Le idee del Nolano, incentrate verso un ardente slancio alla libera ricerca della verità, non erano in sintonia con un secolo che viveva il travaglio delle guerre di religione.

Bruno rifiuta l'abiura. Conosce le fiamme dell'Inquisizione. Conosce la morte sul rogo purificatore.

Galileo è un uomo libero ora.

Galileo vivrà gli ultimi anni della sua vita ad Arcetri, dove gli è stato consentito di ritirarsi, vicino al monastero della figlia.

Molto presto la cecità assoluta colpirà inesorabilmente il corpo del vecchio uomo.

Il buio non colpisce la mente.

Non potrà vedere, ora potrà solo guardare.

Negli ultimi anni di vita si dedicherà alla composizione di quello che viene riconosciuto come il suo capolavoro più grande. Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, attinenti alla meccanica e i movimenti locali.

Sarà pubblicato in Olanda nel 1638.

Nel 1642 Galileo muore, circondato da pochissime persone.

Con Galileo muore il Rinascimento.

Per comprendere il senso dei due processi, e dell'abiura finale, dobbiamo fare un passo indietro.

Dobbiamo risalire la linea della storia di quasi un secolo.

Nel 1543 viene pubblicato il De revolutionibus orbium celestium di Copernico.

La nuova strada è aperta.

La terra è mobile ed il Sole immobile al centro dell'universo.

Galileo nasce, a Pisa, nel 1564.

La sua vita sarà improntata al proseguimento dell'opera copernicana, in netta contrapposizione con la visione tolemaica, ancora dominante nell'ambito scientifico del tempo.

Inizialmente la chiesa cattolica non assume una posizione contraria alla visione copernicana, a differenza di Lutero, che disprezza Copernico e tutto il suo lavoro.

Galileo aderisce, in modo entusiastico, alla nuova visione astronomica, anche se non si schiera attraverso scritti ufficiali.

La svolta avviene nel 1609 con la scoperta, da parte d'artigiani olandesi, di un nuovo strumento ottico che ingrandisce gli oggetti lontani. Lo scienziato pisano prepara un nuovo cannocchiale, che permette di vedere gli oggetti circa 1000 volte più grandi e 30 volte più vicini.

Il colpo di genio avviene in quel momento: Galileo volge il nuovo strumento verso la volta celeste. Osserva il cielo!

Nel 1610 pubblica il Sidereus Nuncius, dove riporta le prime osservazioni avvenute con il cannocchiale. All'interno del libro parla della superficie della Luna e dei satelliti di Giove. Apre la strada all'idea di un movimento celeste che non ha la terra come fulcro, come centro della vita.

Nel 1613 pubblica Lettere sulle macchie solari. Nuovamente apporta tesi e concetti a supporto della visione copernicana e contro l'incorruttibilità dei cieli.

Il successo è immenso.

I suoi scritti arrivano, anche, nelle mani di un frate domenicano, Niccolò Larini, che attacca pubblicamente le idee copernicane e Galileo.

Sempre nel 1613 uno degli allievi più vicini al grande scienziato, padre Castelli, scrive a Galileo che, presso la corte medicea, sono sorti dei problemi riguardanti le nuove teorie astronomiche. Il dubbio risiede nella differenza tra quanto affermato dalle nuove concezioni, la terra è mobile ed il sole è il centro dell'universo, e le sacre scritture. Le due visioni sono in netta contrapposizione. La propiziatrice del dubbio riguardante le innovative visioni astronomiche è la madre del Granduca di Toscana, Madama Cristina.

Galileo decide di rispondere scrivendo una lettera all'indirizzo del Castelli.

La lettera al Castelli aprirà il caso Galileo.

Il 7 febbraio del 1615 il domenicano Niccolò Larini invia una lettera, all'indirizzo del prefetto del Sant'Uffizio, Paolo Emilio Sfrondati, in cui richiede l'intervento del Tribunale della santa inquisizione verso i Galileisti. La denuncia è accompagnata da una copia della lettera che Galileo inviò l'anno precedente al Castelli. Il Lorini non denuncia apertamente Galileo, mai nominato, ma afferma che i galileisti sono buoni cristiani ma un poco saccenti e duretti nelle loro opinioni.

Il 25 febbraio del 1615 la Congregazione del sant'Uffizio apre il caso Galileo.

Lo scienziato, appreso dell'inizio del procedimento, decide di scrivere una lettera a Madama Cristina di Lorena. Nello scritto difende con forza la divisione tra vero teologico e vero scientifico.

La macchina inquisitoriale non conosce soste ed, in un crescendo di forza e convinzione, chiama a deporre padre Caccini, Ximenes e l'Attavanti, persone coinvolte direttamente dalla lettura-denuncia di Niccolò Larini.

Il lungo dibattito che ne segue, all'interno dell'apparato inquisitoriale, ridimensiona la posizione di Galileo. I teologi tendono ad accusare alcune idee dello scienziato e non lui in prima persona.

Il 24 febbraio si conclude il dibattito con una ferma posizione accusatoria di alcune proposizioni di Galileo. Il Papa, Paolo V, chiede al cardinal Bellarmino di chiamare a se Galileo e: " di ammonirlo ad abbandonare le predette opinioni, e se rifiuterà di obbedire, il padre commissario, dinanzi ad un notaio e a dei testimoni, gli intimerà il precetto di astenersi del tutto e in ogni modo dall'insegnare o difendere questa dottrina e opinione, se invero non accetterà sia incarcerato".

Il 26 febbraio Bellarmino riceve Galileo, intimandogli "di abbandonare l'opinione che il sole sia il centro del mondo e immobile e la terra si muova".

Il Sant'Uffizio, negli stessi giorni, emette una dura condanna verso gli scritti di Copernico, Astunica ed Antonio Foscarini.

Galileo è uscito indenne dal processo, nessuna sua opera è stata condannata ed il suo nome non compare nel Decretum che definisce gli autori ed i libri messi all'indice.

Galileo torna al lavoro, alle sue ricerche di fisica ed astronomia.

Il suo obiettivo è di introdurre la ragione scientifica nella spiritualità della chiesa.

Nel 1623 è pubblicato il Saggiatore, uno dei massimi capolavori dello scienziato.

Tra il 1624 ed il 1629 lavora alla composizione dell'opera: i dialoghi sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano.

Nel 1631 l'opera riceve l'imprimatur ecclesiastico per la pubblicazione.

Nel 1632 l'opera di Galileo è stampata e distribuita, suscitando elevato interesse.

Nel luglio del 1632 all'inquisizione di Firenze giunge indicazione d'impedire la distribuzione del testo. Il papa in persona, Urbano VIII, ritiene non rispettato il precetto che il cardinal Bellarmino aveva intimato a Galileo.

La situazione precipita rapidamente.

23 settembre 1632, all'inquisitore di Firenze giunge l'ordine di convocare lo scienziato per comunicargli che, per tutto il mese di ottobre, dovrà risiedere a Roma e presenziare alle sedute del sant'Uffizio. Galileo inizialmente acconsente, ma nelle settimane seguenti sopraggiungono motivi di salute che gli impediscono di affrontare il viaggio. Dopo una lunga battaglia a suon di certificati medici, da una parte, e d'intimidazioni, dall'altra, Galileo, il 20 gennaio 1633, affronta il viaggio da Firenze a Roma. Giungerà a Roma solo il 13 febbraio.

Il 12 aprile avviene il primo interrogatorio. La mattina di quel giorno di primavera, lo scienziato, si reca presso l'edificio del Sant'Uffizio. Dovrà rimanere detenuto ed in isolamento per tutta la durata degli interrogatori.

I mesi seguenti sono una discesa all'inferno per il vecchio uomo, solo e malato.

Combatte, prima di tutto con se stesso, con le scarse energie rimaste.

In questo contesto di umana vergogna si giunge al 10 maggio. Quel giorno Galileo, che nel frattempo era rientrato nella casa dell'ambasciatore del Granduca di Toscana, presenta una memoria difensiva. In questo documento difende l'onestà delle proprie idee e le ragioni che lo hanno spinto all'errore. Sostiene che la buona fede è provata dal fatto di essersi sottoposto alle censure previste dal decreto sull'Indice, ricordando come il suo testo avesse ottenuto il benestare, o imprimatur ecclesiastico, nel 1631.

Ad Urbano VIII può bastare questa confessione?

Vuole un successo politico "pieno".

Il 21 giugno del 1633 avviene l'ultimo interrogatorio del vecchio scienziato.

Il 22 giugno del 1633 recita una completa abiura di fronte alla congregazione del sant'Uffizio.

La notte ha portato consiglio?

Il testo della sentenza lascia pochi dubbi: [...] e parendo a noi che non avessi detto interamente la verità circa la tua intenzione, giudichiamo esser necessario venir contro di te al rigoroso esame, nel quale [...] rispondesti cattolicamente.

Nel linguaggio dei manuali degli inquisitori il rigoroso esame ha un solo significato: tortura.

Galileo, all'età di settant'anni, subì tortura?

I manuali dell'inquisizione non prevedevano di assoggettare gli uomini anziani al tratto di corda oppure alla tortura dell'acqua, si limitavano alle scottature dei piedi con fiamme vive.....

- Il libro nero dell'Inquisizione. Natale Benazzi e Matte D'Amico.

- Storia dell'intolleranza in Europa. Mereu.


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