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IL RAGAZZO INVISIBILE di Gabriele Salvatores (2014)

Creato il 16 dicembre 2014 da Ifilms
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Scritto da Giuseppe Paternò di Raddusa
Categoria principale: Le nostre recensioni
Categoria: Recensioni film in sala
Pubblicato: 16 Dicembre 2014
Gabriele Salvatores  

il ragazzo invisibileChe il cinema italiano di serie A – quello dei venerati maestri, degli attori celebrati, degli sceneggiatori che si autoincensano costantemente sui social network – abbia bisogno, più o meno, di indagare campi d’indagine in grado di superare i limiti di commedie e drammi all star, è sacrosanto e innegabile. A Gabriele Salvatores, tra i figli più illustri di quella serie A, si deve riconoscere l’assenza di quella pigrizia burocratico-indolente che caratterizza ormai i lavori di molti colleghi della stessa fascia.

 

Le sue ultime opere, ben lungi dall’essere memorabili, presentavano perlomeno elementi interessanti: dalla derivazione combinatoria di Happy Family all’anomalo formalismo di Educazione siberiana, Salvatores è uno che, perlomeno, ci prova. Va da sé: i tempi dell’Oscar, delle strepitose commedie, dei gloriosi esperimenti alla Nirvana, sono finiti. Si potrebbe anche azzardare, e sostenere che la colpa non sia di Salvatores ma dei tempi che cambiano, dei mutamenti di sensibilità delle platee, della mediocrità ormai imperante. Potrebbe andare, forse.

Quando Salvatores però decide di omaggiare i grandi cinecomic DC, Marvel e compagnia felice – ma c’è bisogno di omaggio? Non parlano da sole le cifre che incassano in tutto il mondo? – senza rinunciare all’orpello del buon artigianato italiano, iniziano a gravitare attorno a tali ambizioni una serie di inevitabili considerazioni. Su tutte: perché farlo, se sappiamo di non esserne in grado, né dal punto di vista produttivo, né da quello filosofico? I tre autori della sceneggiatura dicono di essersi ispirati alla scuola e al pensiero di opere come Gremlins, o I Goonies. Benissimo. Del resto, a chi non piacciono? Ma reinventare non vuol dire ricalcare, con un budget di 8 milioni di euro, effettivamente molto alto per i nostri standard. Maurizio Nichetti è passato invano? Rielaborare un pensiero, una corrente, una teoria fa parte di un processo creativo che dev’essere generativo: con Il ragazzo invisibile, invece, si rischia da subito di incappare nel rischio-fotocopia.

Una miniatura in sordina e all’europea di qualcosa che respira meglio altrove. Nessuno nega a Salvatores il coraggio, a Indigo Films l’audacia, agli sceneggiatori Fabbri, Rampoldi e Fabbro la dedizione. Sarebbe crudele puntare il dito contro un lavoro onesto, non sempre sgradevole (Salvatores ci ricorda di essere un buon regista nella splendida sequenza del camerino femminile) e ben recitato da tutti i membri del cast, dai giovanissimi ai più rodati, come Golino, Jivkov e Bentivoglio. Il problema è che, nel processo evocativo, il film perde facilmente il controllo: e l’amalgama di riferimenti estetici, applicato a un contesto di originale ambientazione, Trieste, non funziona come dovrebbe.

Sopra si parlava di filosofia del cinecomic, ma forse sarebbe meglio considerarne i meccanismi: ci sono regole precise, discutibili o meno, che li rendono prodotti fruibili, evasivi, godibilmente superficiali, a voler essere riduttivi ma sintetici. Non si possono raccogliere qua e là manciate di cliché da blockbuster e confonderli con intense parentesi all’italiana solo per il piacere di strizzar l’occhio a entrambe le campane: il risultato che ne viene fuori, infatti, è confuso, claudicante e raffazzonato. Il suo eroe funziona, un po’ Tadzio au contraire, un po’ Peter Parker stridulo e puberale, spesso inquadrato nudo di terga e bene interpretato dal protagonista Ludovico Girardello; ma voragini in sede di sceneggiatura dilaniano la seconda parte del film, che moltiplica avvenimenti, situazioni e colpi di scena senza reale cognizione di causa. Con tanto di finale aperto sui titoli di coda, che presuppone un sequel in arrivo.

Magari, la prossima volta, un po’ di inventiva in più non guasterebbe.

Voto: 2/4


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