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IL RITORNO ALLA VITA (II parte)

Da Samilla

IL RITORNO ALLA VITA (II parte)………………..

I miei occhi verdi esprimevano tutta la loro paura, per non parlare della carnagione così diafana da sembrare già in degenza prima di vedere la porta dell’ospedale stesso.

«Tesoro come ti senti? Non ti muovere tanto il dottore ha detto che devi riposare, hai ancora l’anestesia da smaltire».

Mi madre mi guardava con gli occhi lucidi. Mi aveva fatto tenerezza. Il primo pensiero era stato quello che finalmente il peggio era passato. Ora mi avrebbe atteso il periodo di degenza.

«Andiamo bene questa mattina. La paziente sta reagendo alla perfezione. Tra una settimana potrai tornare a casa!».

Il giovane dottore di turno sorrideva a mia madre che nel frattempo si era lanciata in una sfilza interminabile di domande. Al quale il malcapitato rispondeva con una cortesia ammirabile.

«Mi chiamo Giacomo e sono appena arrivato qui a Lucca. Mi piace sempre presentarmi ai miei pazienti. Sono convinto che il rapporto umano sia più benefico di qualsiasi malattia».

Da quel giorno ogni volta che entrava ci scambiavamo ogni tipo di impressione che spaziava dal tempo agli studi seguiti. Era un ragazzo molto piacevole e  attraente. Occhi azzurri e capelli neri riccioluti. Avevo notato gli sguardi compiacenti di molte infermiere che facevano a gara per soddisfare le sue richieste di assistenza mentre visitava i degenti. Mi ero ritrovata ad attendere con ansia la sua visita quotidiana. Mi alzavo piano dal letto e andavo in bagno dove mi davo un po’ di rimmel e un filo di lucidalabbra per apparire meno sciatta. Insomma mi ero presa una bella cotta che aveva messo in secondo piano tutti i piccoli problemi postoperatori.

«Che cosa stai leggendo?».

Aveva appena finito di controllare la cicatrice e stava osservando il romanzo d’amore che avevo lasciato aperto sul comodino.

«Niente di importante! Una storia d’amore ambientata in secoli lontani e dimenticati ormai. Quello che solitamente gli uomini definiscono un tema noioso e da casalinghe disperate».

Aveva iniziato a ridere di gusto facendo segno alla ragazza che lo seguiva di attenderlo fuori dalla mia stanza.

«Sei una casalinga?».

«No. Sono una maestra e credo di non essere poi tanto disperata. A parte quando mia madre mi assilla con le sue domande. A proposito scusatela, è ansiosa e spesso non si rende conto di mancare di rispetto alle persone che lavorano».

«E’ una madre!».

Con quella risposta, tanto ovvia quanto veritiera, mi ero quasi sentita una sciocca. Ma sapevo che le mie argomentazioni erano sorrette da anni di lamentele sopportate a tal punto da diventare una donna insicura e indecisa. Non avevo aggiunto altro e lui si era avvicinato alla porta in silenzio poi si era voltato poco prima di aprirla.

«Ti confesso che anche io leggo romanzi storici. E se la storia è condita con un po’ d’amore non mi dispiace affatto! Ma non dirlo in giro altrimenti perderei di credibilità come dottore!».

Mi aveva fatto l’occhiolino e fortunatamente era uscito senza accorgersi del rossore che si era impossessato delle mie guance. Non potevo continuare a negare a me stessa che quell’uomo mi interessava e anche molto. Quando mi visitava il mio cuore sembrava sul punto di scoppiare. Inventavo mille espedienti per farlo rallentare, tipo pensare a cose orribili e disgustose per non farmi prendere dal panico. Era tutto inutile! La sua vicinanza mi metteva in imbarazzo e mi faceva sentire brutta e inadeguata. Maledivo il giorno in cui avevo deciso di tagliarmi i miei bei riccioli ribelli. Le visite delle mie amiche non facevano altro che gettarmi nello sconforto più nero. Tutte quelle frasi di convenienza. Odiose! Anche Sara non era stata da meno. La mia compagna di università, nonché confidente da sempre, non era riuscita ad esternare i suoi veri pensieri. Si nascondeva sotto parole incoraggianti quando sicuramente dentro di se pensava che l’avevo scampata bella e che forse non avrei visto la fine del tunnel per altro tempo ancora.

«Come ti senti? Hai un bel colorito stamani. E mi sembra che tu abbia acquistato anche un po’ di chili o mi sbaglio?».

«Oddio non è che mangi chissà cosa ma cerco di rimettermi in sesto. E tu, come stai? Il lavoro?».

Sara aveva da poco finito un dottorato che era durato un eternità e ambiva ad entrare nell’università. Ammiravo la sua tenacia nel voler realizzare il proprio sogno. Io lo avevo coltivato per anni quando studiavo poi, dopo le prime delusioni, mi ero tirata indietro. Amavo il mio lavoro ma quel progetto era rimasto nel mio cuore. Ora mi specchiavo nella realizzazione professionale di Sara e ogni volta che ci vedevamo le facevo mille domande.

«Rossi, il professore di storia antica, mi ha chiesto di fargli da assistente….».

«Oddio che bello! Hai finalmente realizzato il tuo sogno!».

«Si. Diciamo che ce l’ho fatta dopo tante fatiche…».

Si guardava le proprie mani con le quali stava giocando con il mio lenzuolo. Era imbarazzata, o meglio, aveva paura a dimostrare la sua felicità. Paura di ferirmi per qualcosa che io non ero riuscita a fare.

«Sara, ehi Sara, dico a te. Io sono felice del tuo lavoro. Non sono né invidiosa né gelosa. Te lo sei meritato!»

«Non volevo dirtelo. Volevo aspettare quando fossi uscita dall’ospedale».

«Per me sei come una sorella. Come potrei non essere contenta del risultato ottenuto? Io non ho continuato a lottare e quindi non posso incriminare altri della mia codardia. E in ogni caso amo il mio lavoro e non lo cambierei con nessun’altro al mondo».

Stavamo per abbracciarci quando la porta si era spalancata e aveva fatto il suo ingresso  Giacomo, seguito da due infermiere.

«Abbiamo visite?».

«Questo è il dottor Menotti e questa è la mia amica Sara, abbiamo fatto l’università insieme e da allora non ci siamo più divise».

Non sapevo il perché ma mi veniva naturale raccontargli tutto di me, come se lo avessi conosciuto da sempre.

«Le amicizie del tempo universitario sono le migliori. Dividiamo speranze e fatiche».

Dopo quel breve colloquio si era apprestato a controllare la mia cicatrice e a compilare gli stessi fogli di rito. Sara lo guardava come rapita poi spostava lo sguardo verso di me ammiccando. Ero più imbarazzata di sempre e, a malapena, ero riuscita a salutarlo.

«Ehi Clara, ma che bel dottorino! Quasi, quasi mi ammalo pure io! E come ti guardava… mi sa che gli piaci».

«Ma smettila! E’ il suo modo di fare. E poi ti immagini quante pazienti gli fanno gli occhi dolci? Figurati se si interessa proprio a me!».

«Ne riparliamo prossimamente».

Il giorno dopo avevo cercato qualcosa in valigia di carino ma mi ero dovuta accontentare dei mie soliti jeans e una felpa. Avrei lasciato l’ospedale entro un’ora e anche se ero contenta di farlo e ansiosa di rivedere la mia casa una parte di me si rammaricava di non vedere più Giacomo. Mi sarebbero mancate le nostre discussioni e i suoi sorrisi che mi infondevano un piacevole senso di sicurezza. Sin dal primo giorno la sua vicinanza non mi aveva dato modo di pensare alla mia malattia. Stavo riordinando la camera quando avevo notato un libro sconosciuto sul tavolino dove solitamente pranzavo. Era un romanzo d’amore.

«A me è piaciuto molto spero sia lo stesso anche per te!».

Giacomo era in piedi dietro di me. Sorridente e bello come sempre. Il camice bianco metteva in risalto la sua pelle olivastra.

«Grazie. Troppo gentile. Lo leggerò molto volentieri».

Avrei voluto dire qualcos’altro ma non ne avevo la forza. Alle sue spalle avevo intravisto mia madre che, accortasi della scena, si era limitata a farmi capire che mi avrebbe atteso in corsia.

«L’operazione è stata un successo e tu, per ora, sei fuori pericolo. Mi chiedo però se vorresti correre un altro tipo di pericolo ; ti va se proviamo a frequentarci un po’?».

Con un enorme sorriso gli avevo risposto all’istante:

«Si. Ho molte storie d’amore da raccontarti!».

SAMANTA

(Autore immagine zvaella www.deviantart.com)



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