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Il ruolo della donna nel nostro Salento

Creato il 06 marzo 2014 da Cultura Salentina

6 marzo 2014 di Dino Licci

Il ruolo della donna  nel nostro Salento

Venere e Cupido, Allori, Montpellier, Musée Fabre

Taras (Taranto) e Kallipolis (Gallipoli), sono i nomi di due antiche città che ci riportano alle nostre origini di salentini impregnati da un coacervo  di culture che, sommandosi nel corso dei secoli, hanno determinato la nostra civiltà.

La cultura meridionale nasce  con la filosofia  della Magna Grecia, laddove per filosofia deve intendersi qualcosa di mezzo tra la teologia  e la scienza.  Dalla teologia essa infatti  eredita l’indagine su argomenti sui quali non si può avere una conoscenza definita, dalla scienza la volontà di avvalersi della ragione  piuttosto che della tradizione nella ricerca della verità. La tradizione, sommata alla rivelazione, attiene al campo della teologia che sfocia  nel dogma, la ricerca suffragata dalla sperimentazione e dalla falsificabilità, attiene al campo della scienza che sfocia nell’indagine sperimentale.

La filosofia  sorse in Grecia nel VI secolo a.C. e attecchì in tutta la Magna Grecia finché non fu nuovamente sommersa  dalla teologia quando nell’antica Roma germogliò il Cristianesimo che la travolse o la condizionò pesantemente. Ma, per quanto riguarda la nostra terra di salentini, dobbiamo ricordare che altre civiltà come l’araba e la longobarda contribuirono a forgiare una  cultura e una religiosità, che sono la sommatoria di molti diversi costumi.

Ma in questa breve disquisizione vorrei sottolineare quale sia stato il ruolo della donna nel corso dei secoli anche nel nostro Salento che era culla di civiltà.

La cultura precristiana assegnava alla donna un importante ruolo di donna –madre. Prendiamo per esempio il culto della Madonna che fu innalzata al rango di “Madre di Dio” col concilio di Efeso del 431, durante il quale si scontrarono due opposte fazioni:

1) quella ortodossa, capeggiata da Cirillo  che riteneva Maria madre di Dio (Theotokos) perché la Madonna avrebbe  dato alla luce non un uomo ma Dio come uomo;

2) quella nestoriana, capeggiata appunto da Nestorio, che riteneva la Madonna essere madre di Cristo (Christotokos) enfatizzando la natura umana di Cristo che poteva definirsi soltanto Theophoros, cioè “portatrice  di Dio”.

Si trattava di scegliere tra queste “controversie cristologiche” come furono definite e che  portarono Cirillo della scuola unitaria (alessandrina), a  spuntarla  sulla scuola divisiva (antiochena) di Nestorio.

Queste disquisizioni teologiche, che potrebbero apparire faziose e sterili, ebbero effetti enormi su tutta la cultura occidentale e, per sincerarsene, basti guardare alla diffusione del culto della Madonna come Madre di Dio estesasi a macchia d’olio  in tutto il mondo.

Se invece vogliamo osservare l’evento da un punto di vista storico e scientifico, ci accorgeremo che  in molte civiltà pre-cristiane furono venerate divinità femminili legate ai cicli stagionali (si festeggiavano in primavera) ritenendole foriere di fecondità con il mondo che si risvegliava dal lungo letargo invernale. Le religioni egizie e babilonesi erano infatti il culto della fertilità: la Terra era femmina, il  Sole maschio spesso simboleggiato da una figura taurina. In Babilonia Ishtar era la suprema divinità femminile, ma in tutta l’Asia la “Gran Madre” era venerata sotto molteplici nomi:

Nella religione induista prendeva il nome di Aditi, pura energia generatrice di ogni cosa, dea madre di  dodici figli quasi a significare i dodici mesi dell’anno,  l’alternarsi delle stagioni e l’ordine cosmico generato da lei stessa.

Nell’antica Persia veniva poi adorata la dea Anahita, madre guerriera, mentre in Grecia emergeva  la figure di  Demetra, anche lei vergine madre, caduta dal cielo sotto le spoglie di una pietra nera. Inanna appartiene invece alla  civiltà sumera e in Egitto troviamo  Iside, una divinità associata alla magia e all’oltretomba, ma anche capace di civilizzare il mondo perché avrebbe  introdotto  la pratica del matrimonio e insegnato alle donne le arti domestiche e agricole. Possiamo ancora citare la dea baltica Laima, che, raffigurata come un’orsa, era  la personificazione del fato  e della fortuna, oltre che protettrice delle donne incinte.  Una  deità celtica era invece   Sheila, simbolo di procreazione come pure Mami  che aveva il compito di sovrintendere alla formazione del feto e che i Sumeri consideravano la regina di tutte le cose. Tutti questi miti tendono, nella nostra cultura,   a unificarsi nell’immagine  della Madonna, madre e donna come si evince anche dalla parole che Gesù, secondo la tradizione cristiana, pronunciò dalla croce : “Donna, ecco il tuo figlio” o, rivolgendosi  al discepolo Giovanni “Ecco dunque  la   tua madre”.

Una figura materna era la dea  che  alcuni colonizzatori greci ravvisarono  in alcuni templi dedicati ad Artemide in Asia minore. Adottandone  il culto, la  trasformarono in Diana d’Efeso che il concilio omonimo, come abbiamo visto, gratificò col nome di “Madre di Dio”.

In realtà tutte queste divinità racchiudono lo stesso principio della creazione e rinascita  oltre che la definizione della donna come madre  protettrice della sua prole e delle messi  in generale.

Il mondo greco declassò la figura della donna come si evince da molti scritti di Platone ma anche l’arrivo della cultura araba e longobarda, apportarono alcuni significativi cambiamenti: Nel diritto longobardo infatti le donne non avevano libertà giuridica e spesso dovevano ricorrere al mundualdo per esercitare i propri diritti:Il   mundio (dal  latino mundium) era un istituto  consistente nel potere di protezione del capofamiglia, appunto mundualdo,  sugli altri membri del gruppo familiare (la fara), e tra questi in particolare sulle donne.

L’avvento poi della cultura islamica  con le incursioni  arabe che invasero oltre a gran parte della Sicilia, anche il  nostro Salento per restare nell’ambito dell’ Italia, declassò ancor più il ruolo femminile. Le limitazioni imposte alle donne deriverebbero dall’interpretazione del Corano che nella sura “della Luce” (v. 31) recita che “le credenti abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne, non mostrino troppo le loro parti belle ad altri che agli uomini della famiglia e non battano i piedi sì da mostrare le loro parti nascoste” Secondo un’ antica usanza che è precedente al Corano questo versetto proibirebbe alle donne perfino di mostrare il volto, mentre il divieto di battere i piedi deve essere interpretato con il divieto per  le  donne  di ballare.   Oggi, nel mondo multietnico e culturale che ci contraddistingue, la donna ha conquistato un posto rilevante nell’ economia e nella politica tanto da travalicare in molti casi il ruolo maschile, ma ciò non toglie che riaffiorino nell’ambito familiare di alcune etnie, fenomeni che ci riportano indietro come le pratiche barbariche dell’infibulazione che è un retaggio atavico e precedente l’introduzione dei testi sacri cui si è fatto cenno.

 


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