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Il segno superato.

Da Bibolotty

-E con questo sembro proprio una battona di quart’ordine!-
Anna si sfilò il tubino nero che trattenendo il fiato era riuscita ad allacciare e lo lanciò sul letto ancora disfatto, guardò un’ultima volta il suo corpo che in quello specchio pareva voler esplodere e si accasciò sulla piccola poltrona ottocento al lato del letto.
La bocca impastata di amaro emetteva parole senza suono, la mano gonfia reggeva la fronte e lei continuava a fissare il buio nell’armadio e dentro di sé.
Erano anni ormai che tirava avanti con delle scuse che ogni volta rinnovava, che di anno in anno arricchiva, che di giorno in giorno inventava ma ormai si faceva schifo anche da sola, ora che non c’era neanche uno sguardo severo a farle pesare quella debolezza, quel vizio incontrollato.
E non era bastato un incidente grave, il ritiro della patente, l’abbandono del tetto coniugale o la richiesta di divorzio a farla smettere, a trovare una via d'uscita.
Nemmeno la sentenza negativa per l’affidamento dei bambini.
I suoi bambini che, ormai adolescenti, la guardavano con il disprezzo affatto velato di chi incide nella nostra vita solo a forza di sensi di colpa che, invece di aiutare, lacerano ancor di più un ego già fragile e sfilacciato.
Quando andava a fare la spesa, Anna si aggirava prendendo tempo davanti agli scaffali dei cibi dietetici mentre faceva la lista delle bottiglie da comprare. Arrivata alla cassa, ogni volta inventava una scusa, una giustificazione non richiesta per la cassiera che la guardava sorridendo per buona educazione e non capiva.
Ma Anna si vergognava, anche se nessuno sembrava farci caso, almeno al principio, perché in fondo l’alcol è una droga a buon mercato, un bene di consumo consentito, qualcosa che trovi in ogni angolo del mondo.
Nessuno ti guarda male se alle sei del pomeriggio ti fai un paio di bicchieri, se a mezzanotte te ne stai da sola in vineria davanti al quarto bicchiere della staffa, se barcolli un pochettino.
In fondo tutti si beve, in fondo è normale, e nessuno ti vede quando poi, da sola, in cucina, tiri l’arista e ti fai un paio di sorsi e, dopo una cena fra amici, quando anche tuo marito è andato a dormire, dai fondo a tutte le bottiglie e ai bicchieri finalmente a tua disposizione.
E non capisci che è quello il campanello d'allarme, quello l’inizio della fine, il segno superato, la via del non ritorno.
E quella foto che riluceva lì sullo scrittoio faceva sì la differenza, la foto dove sorrideva in un capodanno di alcuni anni prima, stretta in un abitino tutto spacchi e trasparenze, il viso lungo e magro, luminoso e senza rughe, i pensieri rivolti a un domani senza incognite, suo marito accanto, sereno.
Il suo corpo ancora sottile, nello sguardo una luce perduta.
Come fosse arrivata fin lì nemmeno lo ricordava. Sapeva solo che "la scimmia" le era salita sulla spalla senza che se ne accorgesse, in silenzio, lentamente, e che da allora non se l’era tolta più di dosso. Era lei che le suggeriva ogni volta la scusa più giusta, lei che appena si presentava l’occasione migliore trovava un buon motivo per suggerirle di bere.
Ed era con lei che Anna parlava quando anche le amiche più care si erano stancate di dirle le solite parole, di darle buoni consigli e di accompagnarla a casa quelle sere in cui non riusciva nemmeno a stare in piedi da sola.
E al mattino, schiacciata dalla cefalea e dai sensi di colpa, nello specchio il viso gonfio, gli occhi che si erano fatti piccoli e inespressivi, Anna piangeva, o almeno ci provava, e faceva mille promesse a quella Anna razionale e positiva, e tirava fuori ottimi propositi quella che ancora aveva voglia di vivere e cambiare, che non poteva più vedersi andare incontro all’autodistruzione.
E puntualmente, la sua buona coscienza veniva messa a tacere e senza tante moine. Bastava un attimo: l’aperitivo abituale con i colleghi, un compleanno in ufficio, una cattiva giornata, una buona notizia, l’ansia improvvisa, una bella giornata di sole, l’arrivo della primavera, la tristezza per un lutto improvviso, il gelo invernale, la paura di non venirne fuori, la promessa di farlo da domani.
Il telefono squillò una dozzina di volte ma Anna non rispose, cercava un buon motivo per alzarsi e fare qualcosa, un buon motivo per festeggiare il nuovo anno e per desiderare un futuro qualunque eppure il suo sguardo vagò fino al mattino nel vuoto che quell’unico desiderio aveva creato.
Il segno superato.(Foto Man Ray) Pubblicato da Elena Bibolotti a 19:20 Il segno superato. Il segno superato. Invia tramite email Postalo sul blog Condividi su Twitter Condividi su Facebook Condividi su Google Buzz Etichette: Bibolotty moments

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