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Il sequestro Moro visto dalle spie di Budapest

Creato il 17 marzo 2012 da Casarrubea

In occasione della ricorrenza della strage di via Fani e del sequestro Moro, pubblichiamo un documento  che ho rintracciato presso gli archivi segreti ungheresi e conservato, in copia dell’originale, presso l’Archivio Casarrubea. Il documento proviene dal Ministero dell’Interno, ufficio BM III/2-8/B, sottosezione presso la quale operava Imre Gabor Kalocsai, tenente di Polizia tra il 1973 e il 1980. Questo ufficio, nel 1978, l’anno del sequestro Moro, dipende da Ferenc Zsigmond (o Zsiga) alias “Késmarki”, tenente colonnello di Polizia dal 1975 al 1981, e figura autorevole presso la sezione BM III/I-4, nonchè, per qualche periodo, presso l’Ambasciata di Roma. 

Kalocsai, poco meno di due settimane prima dell’uccisione di Aldo Moro, e proprio per essere informato sulla situazione italiana dopo il sequestro del Presidente della Dc, chiede ed ottiene un incontro con Benny Lai, vaticanista della “Nazione” di Firenze e de “Il Resto del Carlino” di Bologna. A quella data Lai aveva pubblicato, tra l’altro, “Vaticano aperto. Il diario vaticano di Benny Lai” (Longanesi, 1968), e “Montini” (Milano 1969). Nel 1965 aveva vinto il premio “Palazzi” per le sue cronache sul Concilio Vaticano II. Era, quindi, una figura molto in vista. L’intelligence ungherese lo adocchia e lo avvicina, a insaputa dello stesso interessato che così entra in contatto con i capi dei Servizi magiari. I primi approcci risalgono al 1976 quando Lai e Gyorgy Kosa diventano amici.

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Il sequestro Moro visto dalle spie di Budapest

Nei mesi del sequestro Moro, Kalocsai incontra Lai due volte. La prima, a un cocktail, la seconda a cena, la sera del 26 aprile 1978. In occasione del primo approccio l’argomento è il sequestro dello statista democristiano e l’attacco alla libertà e alla democrazia in Italia. Un argomento che sembra interessare molto gli ungheresi tanto da far nascere il sospetto che la politica dei comunisti italiani, la cosiddetta via italiana al socialismo, fosse in qualche modo presente come campo di interessi anche presso i capi ungheresi dei Servizi per la Sicurezza dello Stato (ABTL). Non si spiegherebbe altrimenti l’attenzione per Lai che rappresentava per loro una possibilità di comprensione dei rapporti tra mondo cattolico e regime di Kadar, nel quadro della Ostpolitik di Paolo VI. Ecco perchè, nel documento, Lai sottolinea l’importanza che avrebbe avuto per il papato di Montini il successo di una concreta apertura verso le questioni religiose da parte dei governi della Cecoslovacchia o della Polonia.

Durante la cena Lai dà in omaggio al suo interlocutore il suo ultimo libro “La seconda conciliazione” (Firenze, 1978) che affronta la corrispondenza tra Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea ed Enrico Berlinguer, segretario politico del Partito comunista italiano. Anche il tema del libro è il rapporto tra i comunisti e la Chiesa sullo sfondo del compromesso storico. Appare chiaro, dunque, un certo fascino che Lai esercita su Kalocsai, a tal punto che questi propone addirittura al “Centro” lo studio del suo libro, come era avvenuto nell’anno precedente con un analogo volume dello stesso autore. Da dove deriva questo interesse? Non abbiamo risposte certe. E’ sicuro, però, che Lai non ha nulla di nuovo da svelare che non abbia già detto e che il modello italiano del compromesso storico (cioè la grande intesa tra cattolici e comunisti) esercita un notevole interesse negli ambienti alti dell’Intelligence ungherese. Fatto non poco significativo se si pensa che in quegli anni l’influenza dell’Urss sull’Europa orientale e la politica di Breznev erano decisamente orientate verso il controllo imperialista di Mosca. Tanto che nel 1979 avviene l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Ma la seconda metà degli anni ’70 vede anche l’Ungheria sprofondare in una grave crisi economica cui fa riscontro la messa in discussione del modello di sviluppo sotto Kadar e la necessità di aprire questo Paese verso modelli più dinamici. Cosa che di fatto avverrà nel 1988 con l’avvento al potere di Karoly Grosz.

Anche sull’dentità di Kalocsai non vi sono elementi di assoluta certezza. Potrebbe trattarsi di un nome di copertura. Sta di fatto, però, che un Kalocsai esiste agli atti degli Archivi ungheresi per la Sicurezza dello Stato e che lo stesso ABTL ne rende nota l’immagine. In altri documenti si riferisce di rapporti tra Lai e alcuni membri dell’Intelligence magiara. Ad esempio un certo Gyorgy Kosa. Ma nulla esclude che possa trattarsi della stessa persona in quanto tempi e argomenti di discussione tra i due sembrano essere simili.

Appaiono, in ultimo, rilevanti le ipotesi che Lai fa sui motivi del sequestro Moro.

Giuseppe Casarrubea

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REPUBBLICA UNGHERESE

ARCHIVIO STORICO DEI SERVIZI DI SICUREZZA DELLO STATO

BUDAPEST

Traduzione di Regina Kerékgyártó

ABTL 3.2.4. K-3359, pp. 68-73 Rapporto n. 5/14/4/78

Segretissimo Importantissimo

Oggetto: Incontro con Benny Lai

Mittente: Kalocsai, ufficiale dei Servizi segreti ungheresi

Roma, 3 maggio 1978

 

Il sequestro Moro visto dalle spie di Budapest

Il 26 aprile 1978, in occasione di una cena, mi sono incontrato con Benny Lai. L’incontro è durato per due ore e mezza. Prima lo avevo invitato al cocktail party organizzato dall’Ambasciata il 3 aprile (l’invito non l’ho mandato via posta). Al cocktail party, abbiamo parlato principalmente del sequestro di Moro e, in particolar modo, di un argomento che potrebbe essere importante: Lai, senza entrare nei particolari dell’accaduto, ha manifestato le sue preoccupazioni per il probabile attacco ai diritti di libertà e democratici [del popolo italiano]. Si è riferito al regolamento secondo il quale, nel caso di sospetto, possono essere intercettate le telefonate di chiunque, ed è significativo anche il fatto che è stato chiesto ai cittadini di collaborare con la polizia.

“Noi parliamo al telefono, così è possibile che un giorno mi chiedano della nostra conoscenza e del motivo della nostra amicizia” [dice Lai a Kalocsai]. Vedendo il mio stupore [continua Kalocsai] ha aggiunto che naturalmente lui non si sentiva turbato da questo fatto. L’aveva menzionato solo per dimostrare come era la situazione in Italia. L’ho tranquillizzato dicendo che io l’avevo sempre chiamato dalle cabine pubbliche (ero curioso come reagisse) perché tenevo in considerazione domande di questo tipo anche prima del sequestro di Moro. Gli ho detto di non chiamarmi mai al telefono anche nel caso che non potesse venire al nostro incontro stabilito. Era d’accordo e sperava che non sarebbero sorti problemi per alcune sue chiamate nel passato.

Lai non si è meravigliato del fatto che l’avevo sempre chiamato da cabine telefoniche e ho visto, al nostro incontro del 26, che non ha fatto caso neanche a questo primo commento sulla nostra “intesa”.

Al nostro incontro mi ha portato una copia del suo libro (nei rapporti precedenti l’ho già segnalato) intitolato: “La seconda conciliazione”. L’argomento principale è la corrispondenza tra Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea e il compagno Berlinguer sul rapporto tra i comunisti e la Chiesa, sulla loro collaborazione, sulla loro “convivenza” nel caso di un governo di cui facciano parte i comunisti o formato da loro. Il problema di base è il compromesso storico.

Il ruolo di Lai nel giornalismo ecclesiastico e vaticano, la sua levatura e la sua notorietà sono dimostrati anche dalle sue interviste fatte a segretari di partito, a personaggi importanti della Chiesa, a rappresentanti insigni della vita economica, culturale e sindacale. Propongo di studiare il suo ultimo libro (similmente a quello precedente) e chiedo al Centro di ricevere una breve valutazione. Lai mi ha chiesto se avessi mandato il suo libro in Ungheria e, in seguito alla mia risposta affermativa, ha detto che era molto curioso di sapere “che ne pensavano a Budapest”. La valutazione professionale del libro ci aiuta anche a meglio conoscere Benny Lai.

Nella maggior parte dell’incontro questi ha parlato del caso Moro e ha fatto presente, inizialmente, che il suo libro, purtroppo, ha perso di attualità perché a suo giudizio – e secondo quello di altri – è molto probabile che il caso Moro sia “un’azione contro i comunisti” che da molti punti di vista mette in pericolo il compromesso storico, la partecipazione dei comunisti alla maggioranza governativa. Non è a caso che hanno sequestrato proprio Moro, che appoggiava l’idea di fare entrare il Pci nella maggioranza governativa. E non per niente l’hanno sequestrato proprio il giorno in cui il Parlamento si riuniva per dare il voto di fiducia al nuovo governo.

Attualmente il Pci è in notevole difficoltà. Molti esponenti di sinistra hanno voltato le spalle al partito che, diventando “governativo”, invece di ostacolare il governo dei democristiani che hanno distrutto il Paese e di combattere per radicali cambiamenti sociali ed economici, li aiuta e li appoggia con la sua partecipazione. Fino a quel momento molti esponenti comunisti piuttosto critici votavano per il Pci. Secondo Lai queste persone non appoggeranno più il Pci in futuro a meno che il partito non passi immediatamente di nuovo all’opposizione.

Il sequestro Moro visto dalle spie di Budapest

Ho domandato a Lai per quale partito lui e gli intellettuali con opinioni simili alle sue, avrebbero votato in caso di elezioni. La sua risposta è stata interessante e illustra bene la situazione attuale in Italia. Ha affermato che avrebbero votato per il Partito Radicale perché è l’unico partito, tranne i fascisti, che nega e rifiuta tutto quello che concerne il sistema corrente. E’ vero che non ha un’ideologia e che non è chiaro cosa affermi. Ma è chiaro a cosa oppone un rifiuto.

- Chi c’è dietro le Brigate Rosse? gli ho chiesto. La sua risposta è importante perché ha aggiunto che molti – soprattutto giornalisti e ambienti intellettuali – pensano allo stesso modo e questo significa che le ipotesi fondate si mescolano con la propaganda di molti decenni contro i socialisti, e si è riusciti a far confondere le idee degli intellettuali democratici, non marxisti ma di sinistra (e purtroppo non solo di loro).

Riassumo la sua risposta. Non conosceremo mai la verità, si possono solo fare ipotesi, presumere fatti. Se ammazzano Moro, probabilmente si tratta di un gruppo di terroristi fanatici dietro ai quali non ci sono servizi segreti interni o stranieri e neanche altre forze politiche. Allora, in questo caso, dobbiamo parlare di una collaborazione internazionale di terroristi (della Germania dell’Est, italiani, palestinesi, giapponesi ecc). Se presupponiamo invece che i terroristi non abbiano lavorato per conto proprio, allora le domande da porsi sono due: contro chi è diretta l’eliminazione di Moro? Quali interessi rappresentano [i terroristi]?

E’ facile rispondere alla prima domanda: è diretta contro il Pci. Non è un caso che il sequestro sia accaduto quando il Pci stava per andare al potere. Chi si è interessato di ostacolare il Pci e di provare che il compromesso storico è impraticabile? Si possono dare molte risposte:

Prima di tutto la destra internazionale e italiana. E’ presumibile che, nell’affare, la Cia sia coinvolta dalla testa ai piedi. C’è un’altra ipotesi, anche se meno probabile. E’ ben conosciuta la posizione assunta dall’Unione Sovietica sull’eurocomunismo e sul compromesso storico. Basta pensare agli attacchi contro Carillo. I comunisti europei non ritengono praticabile la via Sovietica, criticano molte cose dell’Unione Sovietica. Se in un Paese dell’Europa occidentale cominciasse a prendere forma in modo pluralista e democratico tutto ciò che è propagato dagli eurocomunisti e rifiutato dal signor Breznev & Company, si chiamerebbero revisionisti, e avrebbero gravi conseguenze sul ruolo egemonico dell’Urss nel movimento comunista internazionale. Molti pensano, quindi, che l’Unione Sovietica non guardi di buon occhio l’ascesa al potere del Pci.

Quelli che parlano dei Servizi Segreti cecoslovacchi, quindi, pensano che ci sia una strategia sovietica dietro le quinte.

Non è necessario avanzare le mie obiezioni su quest’ultimo punto di vista assurdo.

Il sequestro Moro visto dalle spie di Budapest

Lai ha affermato che è una questione interessante anche il ruolo che svolgerà Moro nella vita politica nel caso della sua liberazione. Qualora non si ritiri dalla politica, si può ritenere per certo che, abbandonando i dirigenti attuali della Dc, rappresenterà una direzione diversa da quella attuale. La domanda è quanto questa direzione sarà diversa; verso quali obiettivi sarà rivolta, da che cosa divergerà e in che misura.

Lai ha richiamato l’attenzione su una caratteristica, secondo lui, molto importante, delle dichiarazioni del papa [Paolo VI]. Nei suoi inviti per la liberazione di Moro il papa non solo ha sottolineato i motivi umanitari ma ha difeso, in modo clamoroso, Moro come il più eccellente statista e un gran personaggio politico del Paese sebbene sia noto che molti, tra i dirigenti democristiani, sono in disaccordo con lui. Tutto questo accadeva quando molti cardinali, ed esponenti cattolici, nelle loro dichiarazioni, sostenevano la linea Zaccagnini – Andreotti in merito al loro appoggio e consenso.

A proposito del caso Moro, Lai ha avuto un’altra osservazione importante. Dicevo dell’ipotesi che le Brigate Rosse possano avere dei propri uomini anche all’interno della Polizia, dato che in uno dei loro covi è stata rinvenuta una lista, contenente nomi di testimoni, classificata dalla Polizia “segretissima”. Lai ha risposto che possono avere propri uomini anche nella Polizia, ma la scoperta della lista, non lo comprova affatto. Tutte le sfere del Paese sono talmente corrotte che si può supporre che le Brigate Rosse l’abbiano semplicemente comprata per cinque o dieci milioni di lire da un ufficiale di polizia con il quale non hanno relazioni di qualche natura. Questo non è un fatto raro in Italia.

Il sequestro Moro visto dalle spie di Budapest

Ho cercato di scrivere dettagliatamente tutte le cose dette sul caso Moro da un lato per dare un’idea della valutazione della situazione attuale italiana fatta non solo da Lai ma anche dall’ambiente che lui frequenta; dall’altro per far conoscere meglio Lai.

Facendo riferimento ai colloqui con molti cardinali e con altri personaggi del Vaticano (non nominati), Lai ha detto quanto segue:

- Il papa ha 81 anni, quanto al suo stato fisico è sempre più debole, fra poco si dovrà prendere in considerazione la fine dei suoi giorni. Probabilmente non ci saranno cose nuove nella politica ecclesiastica da parte di Paolo VI. I prossimi mesi o magari i prossimi anni, saranno il tempo dell’attesa per molti. E di raccolta delle forze da parte di quanti criticano il papa per l’Ostpolitik. Questi cardinali, che non sono pochi, si preparano a dimostrare al prossimo conclave che non c’è equilibrio tra le due parti. Cioè la Chiesa ha solo dato e ha guadagnato poco dalle sue relazioni con i Paesi socialisti.

Chi sarà il futuro papa? Dipende dall’esito di questa lotta. I conservatori probabilmente rimarranno in minoranza ma dobbiamo tener conto del fatto che negli ultimi tempi è aumentato il numero dei critici dell’Ostpolitik. Secondo un cardinale della Curia romana sceglieranno un papa “transitorio”, cioè una persona anziana che guiderà la Chiesa solo per pochi anni. Secondo altri, però, sia i conservatori sia anche i seguaci dell’Ostpolitik, vorranno prendere una decisione conclusiva. Ora si fanno i nomi di molti papabili perchè si vede che non ci sono al momento due o tre cardinali favoriti.

I sostenitori dell’Ostpolitik sotto la direzione di Paolo VI avrebbero ancora bisogno di ottenere un successo eccezionale. Alla mia domanda quale avrebbe potuto essere questo successo, mi ha risposto che sarebbe stato bene ottenere dei vantaggi [per la Chiesa] in Cecoslovacchia o in Polonia. Ha voluto sapere anche dei rapporti diplomatici tra l’Ungheria e il Vaticano. Infine, ha concluso dicendo che la cosa migliore sarebbe poter fare un passo avanti nell’Unione sovietica sulla questione religiosa. Cioè intraprendere trattative anche se personalmente egli non ne vede la possibilità. Quest’ultimo argomento è sorto a proposito dei colloqui che Lai ha menzionato.

Mi sono informato del viaggio di Pignedoli in Egitto, e dello scopo di questa missione. Per quanto ne sapeva, Pignedoli non aveva ricevuto un mandato segreto. L’unico scopo del suo viaggio era curare e migliorare il rapporto tra la Chiesa cattolica e quella musulmana.

Dato che l’organizzazione denominata Civiltà Cristiana (sede: Corso Vittorio Emanuele 21, Roma) ha lanciato un invito (scritto da Carlo Fabrizio Carli) per rivendicare la beatificazione di Mindszenty, e per questo raccolgono firme, mi sono informato su quest’organizzazione e sui suoi capi.

La Civiltà Cristiana è un’insignificante organizzazione di estrema destra, e all’antica. Non ha nessun rapporto col Vaticano e con la Chiesa italiana. Neanche i giornalisti vaticanisti sono in relazione con quest’organizzazione. Il capo è un civile, si chiama Franco Antico. L’organizzazione segue la linea di Lefebvre che con i suoi sostenitori le dà l’aiuto economico.

Alla fine del nostro incontro si è venuto a parlare del viaggio di Lai a Budapest in autunno. Egli lo aspetta molto e spera di acquisire molte esperienze. Prego i compagni di preparare il viaggio, come abbiamo detto durante il mio soggiorno in Ungheria ad aprile, e di mandarmi l’invito di Lai al più presto di modo che io glielo possa consegnare al massimo a luglio.

Kalocsai

[appunto manoscritto]

L’incontro da un punto di vista politico è stato utile e anche da un punto di vista operativo significa un passo avanti. Del resto, Santini ha descritto Benny Lai come un giornalista noto, progressista e di talento che è riconosciuto un’autorità vaticanista.


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