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Il settore terziario: serviti e contenti.

Creato il 01 settembre 2015 da Lostilelibero
In Italia, e più genericamente in tutti i paesi “civili” occidentali, il settore terziario (quello che si riferisce ai servizi) vale oltre il 75% del Pil. Si viaggia quindi, seppur con qualche battuta d’arresto provocata dalla crisi economica incalzante, verso un mondo dominato in qualsiasi ambito dell’esistenza da nuove e professionali baby-sitter. C’è da chiedersi, a tal proposito, se quest’ipertrofia di servizi sia davvero una conquista sociale, di civiltà, etica (“autonomo” e “morale” sono due termini che si escludono a vicenda), o se sia invece una nuova rivisitazione di Blade Runner che serve forse altri interessi più nascosti e pericolosi. C’è però un’altra implicazione, meno concreta e più morale se si vuole, ma che sta piano piano formando le coscienze di persone sempre meno consapevoli della propria individualità e persino bendisposte a sbarazzarsi gratuitamente di quel singolare “peso”. Disporre di più servizi e prestazioni, a ben vedere, significa anche accettare che loStato, e il mondo del terziario più in generale, divenga il mio tutore in tutto e per tutto, la mia badante a tempo pieno. servizi La certezza che alla fin fine ci pensi sempre un altro è certo rassicurante, ma ci deresponsabilizza in quanto persone, singoli (è pur vero che spesso questi stessi individui non vogliono alcuna responsabilità. Meglio il disimpegno, meglio pascere nel consolante giaciglio di una comune e grigia appartenenza, meglio occultarsi nell’anonimato del “noi”, anziché riscoprirsi autonomi attori del proprio volere). E così l’aumento dei servizi si risolve spesso in una minore autonomia individuale, quella peraltro fortemente bramata da tutti coloro che non hanno mai voluto, o si sono stancati, di ogni qualsivoglia indipendenza. Da questo punto di vista si potrebbe addirittura sospettare che l’aumento dei servizi sia solo venuto incontro ad un bisogno spesso connaturato alla stessa natura umana, ovvero quello di rendersi dipendenti per paura di riscoprirsi poi autonomi, singoli, soli  (in realtà, almeno psicologicamente, si cerca sempre e solo la beltà dell'alibi, così da poter dar la colpa sempre ad altri, anziché rivolgere il proprio rimprovero verso sé stessi): la solita millenaria necessità di sollevarsi dalle proprie responsabilità, come un carcerato ammette di essersi scelto la propria suadente prigione solo perché ama una quiete che solo la sicurezza coatta può dargli. E così, democraticamente, abbiamo preferito delegare agli altri responsabilità ed impegni che sarebbero invece i nostri. Abbiamo preferito essere un nulla consapevole della propria stessa nullità e farci servire, passivamente, solo per non dover ammettere che l’unica cosa che ci siamo scelti è proprio il nostro carceriere.


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