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Il Signore degli Anelli – Dopo tanto tempo...

Creato il 28 luglio 2013 da Loredana Gasparri
Il Signore degli Anelli – Dopo tanto tempo... ...ed eccolo arrivato, finalmente. Il libro di cui ho parlato in lungo e in largo per tutta la Rete. Quello che ho letto per dodici estati consecutive, da giovanetta, e che ho deciso di riprendere, in questa, la tredicesima che cade nell’anno 2013. M’intendessi di numerologia, sarebbe interessante capire se c’è un significato dietro, o un simbolismo che al momento mi sfugge. Probabilmente potrebbe dirmi qualcosa di più colui che si è occupato di scrivere la prefazione all’edizione italiana della Rusconi, del 1980, ritratta in foto. Sto parlando di Elémire Zolla, un uomo rinascimentale nel pieno del XIX secolo. Torinese di nascita, origini cosmopolite da padre italiano, madre inglese, conoscitore esperto di tre lingue dalla più giovane età, e padrone di altrettante, vive e morte, da studente, studioso brillante, in molti campi. C’era forse qualcuno più adatto di lui per introdurre Il Signore degli Anelli? Non mi vengono nomi alternativi, in questo momento. Parlare di questo libro non è banale, senza scadere nella semplice adorazione cieca e acritica, o nel racconto entusiastico della sua trama, ormai molto nota. Fior di critici, a tutte le latitudini, hanno esaminato, rovesciato, sviscerato, compilato tonnellate di pagine sui significati nascosti, sui simboli, sulle lingue usate e inventate, sui personaggi, sui legami con la tradizione letteraria antica anglosassone o meglio, norrena.  E altrettanti fior di fans hanno fatto sentire la loro parola quando si è trattato di contribuire alla sceneggiatura del film di Peter Jackson. Un giro in Rete, o anche solo in Facebook, permette di scoprire blog interamente dedicati alle edizioni dei libri di Tolkien, oppure foto di Porte di Moria tatuate su gambe e braccia umane, fedelissime all’illustrazione originale. E io? Io mi accosto in silenzio a quest’opera, mi siedo ad ascoltare la voce da cantastorie di Tolkien che narra della guerra più antica e moderna di tutte, quella tra Bene e Male, e sorrido, piango, mi irrito, mi stupisco, mi spavento, mi annoio, mi agito ansiosa, protesto, sbuffo, rido, attendo, man mano che i personaggi vivono e agiscono. Come ho fatto ogni volta. No, qui la memoria labile non c’entra, e nemmeno l’ottusità: in fondo, le vicende narrate sono sempre quelle, da 58 anni a questa parte, e non abitando a Hogwarts, non posso aspettarmi che nottetempo cambi qualcosa in quelle pagine! Tolkien opera una bizzarra forma di magia. I suoi personaggi sono fuori dal tempo, sono completamente inventati, parlano lingue assurde, vivono una quantità spropositata di anni, compongono poesie ad ogni pié sospinto, indossano abiti dalle proprietà magiche, usano  asce, archi, spade, si destreggiano tra alberi parlanti, parlano tra sé e sé come matti, sono bamboline di carta, che si possono rivestire di corazze magiche, o di abiti da cerimonia, a seconda dell’occasione. Eppure sono nostri. Sotto quelle figurine di carta dai nomi così estranei, battono i nostri cuori, con le stesse esitazioni, grandezze e meschinerie che ci contraddistinguono nella nostra vita a tre dimensioni, nelle nostre case e nei nostri luoghi di lavoro, che non assomigliano fisicamente a lande desolate, fortezze arroccate o montagne senzienti, ma che talvolta possono rivelarsi isole di felicità come il reame di Lorien, o covi di Orchetti come le Miniere di Moria. Con tanto di Balrog che ci fa inciampare nell’abisso con lui.  Ho parlato prima di Elémire Zolla, andando apparentemente fuori tema, proprio perché, leggendo finalmente  la sua prefazione, bellamente ignorata per dodici volte, ho trovato una spiegazione accurata e molto più chiara dei miei vaneggiamenti da caldo, sul significato più sotterraneo dell’opera di Tolkien:
Qualcuno, a sentir parlare della creazione di una nuova epopea cavalleresca, ha scosso la mano dicendo che preferiva leggersi epopee antiche vere. Obiezione encomiabile, se Tolkien non avesse scritto appunto qualcosa di uguale alle epopee antiche, di altrettanto vero. Infatti ci vuol poco a sentire che egli sta parlando di ciò che tutti affrontiamo quotidianamente negli spazi immutevoli che dividono la decisione dal gesto, il dubbio dalla risoluzione, la tentazione dalla caduta o dalla salvezza. Spazi, paesaggi uguali nei millenni, ma da lui riscoperti in occasioni prossime a quelle che noi stessi abbiamo conosciuto. Sull’elsa delle spade immemoriali dura ancora il calore di un pugno, sull’erba immutevole è passata un’orma da poco, e quella presenza così prossima potrebbe essere la sua o la nostra. Non a caso The Lord of the Rings è diventato così popolare, i bambini vi si ambientano subito e i dotti godono tanto a decifrarlo quanto a restare giocati da certi suoi enigmi puramente esornativi. Si rimane stretti in una maglia ben tessuta, fatta  dei nostri stessi tremiti, inconfessati sospetti, sospiri più intimi a noi di noi stessi. Perché opera di così impalpabili forze, The Lord of the Rings si divulgò smisuratamente, senza bisogno di persuasioni o di avalli, perché parlava per simboli e figure di un mondo perenne oltre che arcaico, dunque più presente a noi del presente.” (J.R.R.Tolkien, Il Signore degli anelli, Rusconi, pag. 8)
Archetipi. E’ una parola chiave nell’opera di Zolla (che studiò e scrisse anche sui Tarocchi), e qui fa capolino, anche se non citata. Ci appartengono talmente, tuttavia, che quando qualcosa va a sfiorarli, immediatamente ne siamo catturati.

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