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Il silenzio della ghiaia

Creato il 03 novembre 2011 da Bruschidettaglil
Cimitero Monumentale di Pavia - foto Donato Albanesi
Cimitero Monumentale di Pavia – foto Donato Albanesi

 Andare al cimitero durante la commemorazione dei defunti significa vedere persone che si incontrano nei vialetti di ghiaia, si abbracciano, condividono. Ci sono famiglie con i bambini, ometti in miniatura che seri seri seguono mamma e papà. Sono andata nei tre cimiteri di Pavia come ospite. Per lavoro ho cercato di raccontare il dolore di chi porta un fiore sulla tomba di chi non c’è più. E il dolore di chi subisce un furto, di chi vede sparire la pianta appena lasciata sulla lapide. Vigili e carabinieri agli ingressi, perché nemmeno al cimitero si può essere sicuri. E il dolore di chi arriva da un altro paese, e passa tutta la giornata a pulire le tombe altrui, per mettere via qualche soldino: una coppia senza lavoro che in Romania ha un bimbo di 9 anni che aspetta per il compleanno un cellulare. Difficile da accontentare. Ci sono persone in piedi, le mani dietro la schiena, che in silenzio pregano. Ci sono persone che puliscono, spazzano, strappano l’erba secca. Ho visto questa signora seduta su una vecchia sedia da scuola. In mezzo al vialetto, davanti alla tomba di famiglia. Il cappotto e il cappello di lana, il mazzo di fiori ancora fasciato nella carta plastificata. Margherita gialle e crisantemi.  Sola e in silenzio.

Mi ricordo da piccolina quando si andava al cimitero di Gimigliano, Calabria, provincia di Catanzaro. Lì ci sono i miei morti. Non a Genova dove sono nata. Lì riposa da quasi un anno la nonna. Lo ricordo questo cimitero perché portare i fiori era un rito. Non nei giorni dei defunti, ma in estate. Si seguiva la mappa ormai impressa nella memoria per cercare i parenti, le lapidi in marmo, ciascuna con il suo colore, ciascuna con il suo angolo di pietra fredda. Da bambina curiosa guardavo le fotografie e le date di nascita e di morte. Mi colpiva vedere le donne anziane ritratte con l’abito da commare, tutto nero con il pizzo bianco sul petto. E mi colpiva ancora di più vedere i volti dei bambini. Ne avevo trovata una che si chiamava Marianna come me. La foto era in bianco e nero, morta tantissimi anni fa. Un vestitino con un grembiule bianco, capelli biondi con i boccoli. Era difficile da capire, difficile imparare che anche i bambini possono morire. E difficile vedere che nessuno metteva fiori freschi davanti a quel volto di bimba. Le ho sempre lasciato un fiore. Quando la zia va in Calabria lo porta al mio posto. La ghiaia dei viali fa lo stesso rumore sotto le scarpe, in ogni cimitero. Non sono mai stata in Veneto, a trovare il nonno. Ma prima o poi ci andrò.



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