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Il successo dipende dal fattore C

Creato il 07 marzo 2015 da Astorbresciani

Il successo dipende dal fattore C

Da sempre, l'umanità s'interroga sui fattori critici del successo. Che cosa serve per avere successo nella vita? Da che cosa dipendono la riuscita e il fallimento? Fermo restando che ci sono delle costanti fisse, ogni epoca ha però suggerito logiche e comportamenti particolari, legati allo spirito del tempo. Che dire dei nostri tempi? Avere successo, oggi, è più facile e insieme più difficile di una volta. Sono cambiati molti parametri e i valori tradizionali - la bravura e la tenacia su tutti - sono meno determinanti di quanto non fossero in passato. Oggi non basta mostrare talento, acume e perseveranza, non basta avere ottime idee e capacità realizzative. Oggi, il successo dipende in gran parte dal fattore C.

Bella scoperta! - direte - si sa che la fortuna è indispensabile. Senza, anche l'impresa più facile può naufragare. Sgombro subito il campo dall'equivoco. La lettera C non indica la parte posteriore meno nobile del corpo. Non è la fortuna il fattore C cui mi riferisco nel titolo. In un mondo che ha alzato i toni e nel contempo i paletti, che ha imposto paradigmi nuovi, imposti dalla globalizzazione, dal relativismo e dall'istinto di prevaricazione, il successo dipende sempre più dalla Cazzimma. Che diavolo è? A saperlo sono di certo i napoletani perché la parola "cazzimma" è di origini partenopee. È un termine del gergo entrato nell'uso comune per indicare un certo modo di essere e di comportarsi. Il suo etimo è associato all'aggettivo "caimma", con cui anticamente s'indicava una persona astuta. Pur tuttavia, molti pensano che questo neologismo sia collegato al nome dell'organo sessuale maschile cui è stato aggiunto il suffisso napoletano "". La cazzimma è sostanzialmente un insieme di atteggiamenti all'insegna dell'egoismo e della scaltrezza, dell'avidità e della cattiveria gratuita, della determinazione e dell'opportunismo. Vale a dire una precisa forma mentis ispirata dal "cazzo" e non dal cuore, finalizzata a inchiappettare il prossimo in nome dell'antica ma eterna regola Cicero pro domo sua. Ma per quanto questa antologia risulti corretta, resta inspiegabilmente difficile capire e definire la cazzimma. Solo un napoletano ci riesce. Il comico Alessandro Siani ha spiegato il termine e il suo nesso con la vita di tutti i giorni, grazie a questa battuta: "Vuo' 'n'esempio 'e cazzimma? Nun t''o voglio dicere...". Ancora più chiarificante erail pensiero di Pino Daniele, che nella canzone "A me piace 'o blues" dichiarava con stizza provocatoria "tengo a cazzimma". A chi gli chiedeva cosa fosse questa strana prerogativa, rispondeva che questo vocabolo dialettale "designa la furbizia accentuata, la pratica costante di attingere acqua per il proprio mulino, in qualunque momento e situazione, magari anche sfruttando i propri amici più intimi, i propri parenti [...]. È l'attitudine a cercare e trovare, d'istinto, sempre e comunque, il proprio tornaconto."

Tenere la cazzimma è fondamentale per avere successo. Chi non possiede quest'arma segreta non può fare molta strada. Chi s'illude che i meriti e l'etica siano la conditio sine qua non per emergere in una società sempre più competitiva e implacabile, ha fatto male i suoi conti. Oggi, trionfa l'intraprendenza furba e canagliesca, l'atteggiamento cazzuto, la mancanza di scrupoli. Sono questi gli ingredienti giusti. Woody Allen diceva che l'ottanta per cento del successo è nel sapere apparire. Apparire, certo, e poco importa se non c'è sostanza. Basta guardarsi attorno per rendersi conto che non serve faticare per essere qualcuno, meglio sforzarsi per sembrare qualcuno. In ogni settore umano, assistiamo alla riuscita degli incapaci, all'apoteosi del disonesto, al trionfo dei mediocri. E noi restiamo lì, come fessi, in attesa del nostro momento, che non verrà mai perché non possediamo il fatidico fattore C. Siamo basiti, incapaci di comprendere perché la società sia complice dei cazzuti, invitante e collusiva con loro, mentre disprezza le persone capaci e oneste, quelle che meriterebbe maggiore successo e invece vedono sfrecciare sulle corsie d'emergenza dell'ascesa sociale i furfanti e i marpioni. In politica e nel mondo della cultura, del lavoro e nei rapporti interpersonali, vince chi ricorre sistematicamente alla cazzimma. Nel suo Diario, Jules Renard annotò questa domanda retorica: " Per arrivare, occorre fare bassezze o capolavori. Di cosa vi sentite più capace?". Eccolo, il problema, è una questione di aspettative e prospettive. Vivere con lo sguardo puntato verso l'alto, cercando il meglio per se e gli altri in maniera lecita, dignitosa e qualificante, è la via maestra per avere successo. Ma vivere con lo sguardo strisciante, approfittando di tutto e di tutti, in maniera subdola, immorale e cinica, è la via più sicura per imporsi e ottenere vantaggi e posizioni privilegiate. Purtroppo, questa è la realtà e ognuno di noi, salvo non sia fornito adeguatamente di cazzimma, ha sperimentato la feroce regola che centellina il successo, la fama, la popolarità e persino il potere. Va da sé che non tutte le persone che hanno successo sono ricorse alla cazzimma. Alcuni arrivano in alto solo in virtù delle proprie capacità. Ma quanti sono? Pochi, rispetto a quelli che ce la fanno senza merito, o meglio sfruttando al meglio l'innata cazzimma e, ovviamente, il prossimo.

Un'ultima nota. Per quanto il fattore C si sposi perfettamente con l'animo e la storia di Napoli, essendosi poi diffuso in tutta Italia e persino nel mondo, a chiarire in modo definitivo i suoi caratteri ci ha pensato un milanese, tale Enzo Jannacci. Avete presente la canzone in cui ricorre il tormentone "Vengo anch'io! / No, tu no / Vengo anch'io! / No, tu no / Vengo anch'io! / No, tu no / Ma perché? / Perché no!". Ebbene, trovo sia l'esempio più amaro e semplificativo di cazzimma. Tuti noi vorremmo che gli altri riconoscessero i nostri meriti, a supplicarlo è il nostro Ego. E gli altri che fanno? No, tu no. Ma perché? Perché no! Sicché restiamo trafitti dal loro rifiuto inspiegabile e doloroso, rimpiangendo il fatto che nessuno, quand'eravamo piccoli, ci abbia insegnato l'uso della cazzimma.


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