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Il Teatro Rossi di Pisa "aperto" vuole tornare un luogo di cultura per la città

Creato il 29 ottobre 2012 da Robertoerre

 

Teatro Rossi

 // Roberto Rinaldi

PISA- È di Ernesto Rossi, attore di Livorno molto in voga intorno alla seconda metà del 1800, il nome dato un teatro storico di Pisa, il primo ad essere costruito nel 1700, assurto alle cronache di questi giorni per la sua riapertura, voluta da un'assemblea di giovani, cittadini, lavoratori dello spettacolo, seguiti con attenzione anche da docenti universitari e personalità della cultura. Non si tratta di una sorta di occupazione simbolica quanto di una vera e propria riapertura, sostengono i promotori dell'iniziativa, che trova sempre più adesioni in tutta la città e negli artisti ospiti di dibattiti e manifestazioni come il regista Gabriele Vacis, ospite del Teatro Rossi "aperto" per spiegare l'importanza di mantenerlo aperto e funzionante, dopo decenni di totale incuria e abbandono. Ernesto Rossi si era esibito a Pisa nel lontano 1853, riscuotendo un successo clamoroso tanto da far decidere ai proprietari dell'epoca, di intitolare con il suo nome il Teatro. Correva l'anno 1870.

Siamo nel 2012 e Rossi precede il termine di “aperto”, una definizione spiegata dalla decisione di interrompere il lungo oblio in cui era finito. Uno strano destino se si pensa alla sua nascita, avvenuta nel 1770 e inaugurato il 18 maggio del 1771 alla presenza del Granduca di Lorena Pietro Leopoldo che lo aveva finanziato in parte.

 

Il video di Gabriele Vacis al Teatro Rossi aperto

Le parole di un certo Francesco Milizia si riveleranno profetiche anche a distanza di secoli: "Se non ci si scrivesse al di fuori Questo è un Teatro, nemmeno Edipo ne indovinerebbe l'uso cui è destinato". Fino a poche settimane fa non se ne sapeva quasi nulla e la sua storia era occultata da una porta di legno che ne sbarrava l'accesso. Nessun nome sulla facciata di un palazzo lungo una strada stretta. Siamo nella civilissima Pisa, città d'arte e di cultura, famosa non solo per la Torre pendente ma anche per possedere un teatro voluto dal Granduca, che nel 1770 concesse ad un capomastro l'autorizzazione a costruirlo, tale Maurizio Cecconi. L'autorizzazione comprendeva il pagamento delle spese per il proprio palco e i relativi annessi da parte del nobile, uomo illuminato e deciso di dotare Pisa di un teatro importante, voluto per rilanciare la città, residenza invernale della sua corte. Il primo ad essere costruito prima del Teatro Verdi. La decisione di occuparlo spiega come sia possibile che solo in Italia, un bene pubblico di notevole importanza storico artistico, abbia subito cosi tante vicissitudini nefaste nel corso dei secoli. Chiuso nel 1966 venne riaperto nel 1995 in occasione per ospitare un'installazione di Beatrice Meoni e Tobia Ercolino dedicata ad al compositore Arnold Schönberg.

 

Teatro 1

immagine di Roberto Rinaldi


Rimane attivo ad intervalli irregolari dal 7 novembre 1997 fino al 2005, quando viene dichiarato inagibile e chiuso definitivamente. Dai fasti del passato all'abbandono e al decadimento che lo ha ridotto alle attuali condizioni, documentate e testimoniate da un'assemblea di giovani pisani, decisi a recuperarlo come luogo di iniziative culturali al servizio della città e dei suoi abitanti. Lo stupore della gente che visita il Rossi è tale da chiedersi come sia stato possibile permettere l'incuria di un luogo, divenuto nel corso degli anni un cinema dopo la guerra, deposito di biciclette, seggio elettorale, ricovero per senza tetto, dove nei palchi si possono trovare ancora i giacigli di persone senza fissa dimora. Un teatro abitato dai piccioni che svolazzano liberamente sul palcoscenico.

 

Teatro 2

immagine di Roberto Rinaldi 

 

I muri dei vari ordini dei palchi segnati dalle tracce dei cavi elettrici, rilevatori di fumo applicati su travi pericolanti, un impianto per il riscaldamento che sale dalle fondamenta. C'è perfino nel foyer al piano terra restaurato, un bagno dotato di accessori per disabili, da sembrare fuori luogo, segno che la mano dell'uomo è recente, ma poi ci si accorge che dinnanzi a questi lavori di ristrutturazione, non c'è stato un seguito organico e completo. Esiste pure un progetto da dieci milioni di euro per il suo recupero ma le premesse di avviare i lavori per mancanza di fondi sono una triste realtà. Quello che però importa è la sua esistenza stessa nel farlo rivivere come spazio della memoria e di cultura attiva, partecipata. Come nel caso di Gabriele Vacis che ha voluto testimoniare di persona la sua esperienza personale a Schio con il progetto Schiera/Skiera” creato e gestito negli anni alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, al Palestinian National Theatre di Gerusalemme e durante cinque edizioni sperimentali presso il Teatro Regionale Alessandrino di Alessandria, il Centro Inteatro di Polverigi e il Teatro Valle Bene Comune di Roma. Il regista insieme ad Antonia Spaliviero e Andrea Ciommiento, ha spiegato durante il dibattito “Il Teatro Rossi Aperto: costruendo affinità”, pensando ad “un confronto pratico sul teatro e le città, sulla composizione del suo spazio architettonico e sulle relazioni che il teatro dovrebbe sempre generare. Una condivisione che partirà dall’ascolto di chi si sta prendendo cura quotidianamente del Teatro Rossi fin dai primi giorni di riapertura.” Il Teatro non deve per forza tornare ad essere considerato come semplice luogo di fruizione e spettacoli, bensì una casa dove ospitare la vita stessa della città. Un teatro che testimonia un tipico esempio di architettura teatrale all'italiana, sorto la dove esisteva "l'Orto della Dispensa Vecchia”, collocazione dell'edificio già esistente che condizionò la planimetria e imponendo l'irregolarità della pianta nella zona del palcoscenico, definita come “architettura introversa”. L'impressione che se ne ricava nel visitarlo è quello di un edificio all'esterno come tanti, una porta e finestre senza nessuna insegna di riconoscimento. La scelta della collocazione decentrata rispetto al centro risulta sfavorevole, probabilmente dovuta alla vicinanza delle proprietà della famiglia Prini. Una famiglia di nobili funzionari del Granducato divenuti proprietari del teatro e poi dell'intero edificio. Sull'angolo della facciata si può ancora notare lo stemma di famiglia. Il progetto definitivo porta la firma di Zanobi del Rosso, autore anche dei archi a sesto acuto che sovrastano la scena utilizzati per ovviare alla dissimmetria del palcoscenico.

 

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 immagine di Gianluca Paoletti


Dal 1798 al 1820 l'Accademia dei Costanti succede alla famiglia Prini nella proprietà e gestione del teatro. A questo periodo risale la decorazione dei palchi, del soffitto della platea e dell'ingresso ad opera di Antonio Niccolini. Oggi se si entra si può notare come il deterioramento della struttura abbia modificato gravemente la stessa fisionomia del Teatro Rossi. Nel 1956 il Genio civile sostituisce la volta in legno della sala (affrescata) con una armatura metallica che sostiene una rete di acciaio e cemento. La rimozione della pavimentazione in legno della sala dove viene sostituito con il cemento, compromettono seriamente l'acustica del teatro. Acustica che in una lettera la sorella di Giacomo Leopardi scrisse all'epoca di essere stata al Teatro Rossi e di aver notato come fosse eccellente per il canto e la lirica.

L'ingegno dei costruttori dell'epoca la si può ancora notare, guardando in alto verso le finestre sul muro di quinta del palcoscenico, dove sono poste delle vasche di pietra che contenevano acqua capace di assorbire il suono. Nel 1912 la gestione diventa privata ma le difficoltà economiche crescono col passare degli anni. Nel 1940 la Società del Teatro Rossi dichiara il fallimento e il teatro viene messo all'asta. La Cassa di Risparmio di Pisa acquista l'edificio per venderlo nel 1942 alla federazione fascista locale. Dopo la fine della guerra diventa di proprietà statale, dopo un breve passaggio tramite il CLN. Dal 1946 al 1955 il Comune di Pisa lo affitta e da in gestione la sala a Luigi Bellini: un periodo nefasto per il Rossi utilizzato per gare di pugilato, proiezioni cinematografiche, motivo per il quale viene realizzata una cabina di proiezione nelle sale granducali, procurando danni gravi agli affreschi che decorano le pareti e ancora visibili. Nel 966 il teatro viene chiuso per mancanza delle norme di sicurezza. Viene riaperto negli anni Duemila quando la platea diventa un set di una televisione locale e questo è il motivo per cui vengono approntati dei lavori di ristrutturazione fino ad arrivare al 2005 con la chiusura definitiva. Nella visita guidata diventa ancora più interessante ascoltare gli aneddoti che accompagnano la vita di questo teatro.

 

Teatro 6

 

L'affresco nella sala del Granduca Pietro Leopoldo 

 

Il Teatro era abitato anche dalla famiglia del custode che poteva accedere direttamente nel suo appartamento. In questo luogo è vissuta anche un'attrice, Ilaria Distante attrice della compagnia di Pippo Delbono. Lei stessa racconta della sua indimenticabile esperienza di testimone diretta di come si svolgeva la vita dentro il Teatro, alla scoperta dei segreti che conteneva. Lo stesso regista e attore lo ha visitato anni fa e qui è stato girato la scena di "Ecce Homo", il documentario della regista Mirjam Kubescha che racconta la storia della compagnia di Delbono. Ora l'assemblea dei giovani che lo sta “occupando” si propone di portare avanti la sperimentazione in corso e di sottoporre alla Soprintendenza alle Belle Arti di Pisa, un progetto culturale.

Tocca alle istituzioni cercare una soluzione la più plausibile ed efficace per non dismettere ancora una volta un patrimonio della collettività come chiesto da tutti gli abitanti di Pisa che stanno testimoniando ogni giorno con la loro presenza. Le decisioni future segneranno il destino del Teatro Rossi. Per ora l'interrogativo resta quello di pensare il Teatro Rossi e “aperto”, come un bene di tutti o la sua riapertura/apparizione sia destinata a scomparire di nuovo e per sempre?

 

 il sito del Teatro Rossi di Pisa aperto

 (l'immagine di copertina è di Gianluca Paoletti)


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