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IL TERZO SGUARDO n.25: Emilio e Odoardo – il viaggio come scelta di vita. Paolo Ciampi, “I due viaggiatori. Alla scoperta del mondo con Odoardo Beccari ed Emilio Salgari”

Creato il 04 marzo 2011 da Fabry2010

IL TERZO SGUARDO n.25: Emilio e Odoardo – il viaggio come scelta di vita. Paolo Ciampi, “I due viaggiatori. Alla scoperta del mondo con Odoardo Beccari ed Emilio Salgari”Emilio e Odoardo – il viaggio come scelta di vita. Paolo Ciampi, I due viaggiatori. Alla scoperta del mondo con Odoardo Beccari ed Emilio Salgari, Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2010

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di Giuseppe Panella*

Già una volta Paolo Ciampi ci aveva provato (Gli occhi di Salgari. Avventure e scoperte di Odoardo Beccari, viaggiatore fiorentino, Firenze, Polistampa, 2003) a mettere insieme i due autori di romanzi di avventure di viaggio, ma mai lo aveva fatto con tanta passione, con tanta pertinacia, con tanta voluttà autobiografica. Se Emilio Salgari con i suoi romanzi di amore e di morte e di vendetta avevano allietato la sua infanzia di lettore accanito costituendo così un patrimonio culturale che non avrebbe mai potuto dissipare intieramente, la scoperta del botanico fiorentino Odoardo Beccari lo ha conquistato completamente spingendone ad approfondire in maniera accurata e coinvolgente la figura letteraria e umana. Se Salgari poteva essere considerato un autore classico per l’infanzia (ma mai una definizione tale fu mal utilizzata per definirlo!) e, quindi, una lettura quasi obbligata, l’opera principale di Beccari (Nelle foreste di Borneo. Viaggi e ricerche di un naturalista, Firenze, Landi, 1902) era stata una rivelazione più tarda. La racconta quasi in apertura di libro lo stesso autore, ricordandone lo stupore e la forza evocativa, il fascino che lo aveva attirato con la forza di una calamita:

«Qualche giorno più tardi entrai in un negozio di souvenir, non so nemmeno io per cercare cosa. Lo sguardo si posò su una pila di robusti volumi, titolo Nelle foreste del Borneo, autore tale Odoardo Beccari. Nato a Firenze, informava la quarta di copertina. Un mio concittadino, insomma. Uno dei più grandi scienziati viaggiatori dell’Ottocento. Sobbalzai per la sorpresa. Mai sentito, questo Beccari. Tornai dal Borneo sentendomi un po’ orfano di Salgari, ma con un libro in più. Un best-seller, anzi un long-seller, con buona pace degli italiani che da alcuni decenni lo avevano cancellato dalle loro librerie. Tornai con molta voglia di saperne di più. Qualcuno di voi sa come è andata a finire. Nel Borneo cercando Salgari mi ero imbattuto in Beccari. In Italia indagando su Beccari ritrovai Salgari. Ne venne fuori Gli occhi di Salgari, un libro che raccontava la storia del mio concittadino e che attaccava proprio così: Incominciò tutto per caso. Cioè con quel libro scovato dove meno me l’aspettavo. Però, a pensarci meglio, non è vero che incominciò tutto per casso. Incominciò con quel ragazzino con la febbre che divorava i libri di Salgari. Incominciò allora, ma continua ancora oggi, adulto che non intende smettere di fare il ragazzino. Sempre in compagnia di Emilio, naturalmente. E di quell’altro suo amico, Odoardo. Con gente con cui, senza vergogna, posso ancora proclamarlo: Noi non siamo uomini da condurre una vita tranquilla» (p. 9).

Chi pronuncia questa frase è Yanez, il “fratello di sangue” di Sandokan, la Tigre della Malesia (in La rivincita di Yanez, uscito postumo nel 1913) ma potrebbe essere stato chiunque degli innumerevoli eroi usciti dalla penna dello scrittore veronese. E’ ben noto che Salgari, che non riuscì mai a ottenere il brevetto di “capitano di lungo corso” per manifesta incapacità nelle materie tecniche (mentre, invece, sembra che brillasse in composizione italiana), non ha mai visto i luoghi che descrive mirabilmente nei suoi romanzi scanditi e sezionati nei diversi cicli che compongono la sua produzione letteraria. Tutto il suo immenso sapere sull’India, sul Borneo, su Sarawak, sulle frontiere del Far West, sui contrapposti del Riff, su Karthoum e il Mashdi, sulla Russia degli Zar è stato il frutto di sterminate letture forzate. I recenti repertori bio-bibliografici sullo scrittore (primi fra tutti Emilio Salgari e dintorni di Felice Pozzo, Napoli, Liguori, 2000 o la tesi accademica di Ann Lawson Lucas, La ricerca dell’ignoto. I romanzi d’avventura di Emilio Salgari, Firenze, Olschki, 2000 e soprattutto la biografia di Silvino Gonzato, Emilio Salgari. Demoni, amori e tragedie di un “Captano” che navigò solo con la fantasia, Vicenza, Neri Pozza, 1995) hanno mostrato come la documentazione delle sue opere fosse ineccepibile per l’epoca e che l’utilizzazione di opere di repertorio sulle diverse parti del mondo, la loro flora e la loro fauna fossero riprese con puntualità e precisione e integrate nel corso delle narrazioni condotte a ritmo incalzante in tutti i suoi romanzi. Salgari sapeva quel che scriveva e tutte le apparenti bizzarrie contenute nelle sue opere (riti religiosi, abitudini alimentari, credenze e superstizioni) erano tutte rintracciabili nelle grandi antologie di usi e costumi di tutto il mondo. Non solo – i suoi personaggi sono in gran parte basati su figure realmente esistite di avventurieri, viaggiatori e politici d’abord. Ne fa fede quel James Brooke, meglio noto come il rajah bianco di Sarawak, che indosserà le vesti del vilain nel ciclo dei pirati della Malesia (e in Italia, bella riduzione televisiva firmata da Sergio Sollima, avrà quasi naturalmente il volto dell’attore messinese Adolfo Celi) e che servirà da modello di vita per l’André Malraux giovane autore di La via dei re. Proprio James Brooke, coincidenza non tanto strana se ci si pensa bene, spingerà il giovane Beccari, da lui incontrato a Londra nel 1865 in concomitanza con l’analoga conoscenza di Charles Darwin, ad andare nel Borneo, a Sarawak per studiare la fauna locale. Nell’aprile dello stesso anno, il non ancora ventiduenne botanico fiorentino si imbarcherà verso l’avventura della sua vita. Tornerà a Firenze solo nel 1868 e solo perché gravemente prostrato da una crisi di malaria. Ritornerà ancora in Estremo Oriente e viaggerà indefessamente tra Africa, Indonesia e Giava fino al 1878. Apparentemente destinato a una fulminea carriera accademica, il suo compito di Direttore del Giardino dei Semplici si esaurirà nel giro di un anno costringendolo alle dimissioni per i contrasti sempre più duri che ebbe con l’Istituto di Studi Superiori della città gigliata (nel 1887 quest’ultimo sospese i finanziamenti alla sua rivista Malesia costringendolo a chiuderla). La sua esistenza fiorentina fu sempre più quella di un isolato. Incontrò mai Salari quando quest’ultimo era un cronista di belle speranze dell’”Arena di Verona”? Ciampi sa che non sarebbe stato possibile ma non rinuncia a credere ad un possibile rapporto tra i due:

«Ecco, l’introduzione di Mario Spagnol. Lo dice lui: tra i manoscritti di Emilio si è trovato anche questo, un appunto sul modo di estrarre l’upas identico alla descrizione che ne dà il Beccari. Figurarsi se ci avevo fatto caso. Però il nome di Odoardo ce l’avevo già dentro, molto prima di andare nel Sarawak, ce l’avevo perché con i libri funziona così, in qualche modo si portano con noi e prima o poi risaltano fuori. Dalle distese dell’amnesia salta fuori almeno una parola, un gesto, uno sguardo. Scoperta che, è inevitabile, qualche effetto me lo produce. Mi dà il coraggio per tentare un’affermazione come questa: Emilio ha raccontato – e così ha mostrato a tutti noi – il mondo che Odoardo ha visto con i suoi occhi. E se Emilio quel mondo ce l’ha raccontato come se lo avesse visto lo si deve proprio allo sguardo di Odoardo. Gli occhi di Salgari, appunto. Gli occhi senza i quali nemmeno io avrei il mio Borneo, quel paese fantastico eppure assolutamente vero nel quale si dipanano le vicende di Sandokan, di Yanez, di Marianna, di James Brooke e di quanti altri hanno un posto stabile nella mia personale galleria di personaggi di carta» (pp.140-141).

Forse è accaduto al congresso di Geografia di Venezia del 1881 quando nasce il primo vaporetto come mezzo di trasporto pubblico e a cui Beccari partecipa come esempio insigne di scienziato viaggiatore di vasta fama. Intorno a quel congresso gironzolò pure il giovane Salgari, che aveva diciannove anni ed era certamente attirato dalla possibilità di ascoltare le relazioni di tanti illustri viaggiatori e geografi. Forse si conobbero, forse si incontrarono, forse no. Per Ciampi l’incontro è certo – ma ognuno crede sempre quello che lo affascina maggiormente e gli sembra più coerente con la propria vita di sogno e di avventure. Comunque sia andata, i “due viaggiatori” di questo libro restano figure straordinarie di un’Italia ancora giovane e ancora nuova ad un ruolo possibile da assumere sullo scacchiere internazionale. Per essa, il mondo “altro” dell’Oriente e dell’Africa nera era ancora tutto da scoprire e tutto da raccontare con la penna a chi era avido di averne notizie.

Il merito di Beccari (come pure quello di Salgari) è stato quello di mostrarlo a chi aveva una voglia ardente di conoscerlo e di assaporarlo con la fantasia anche se sapeva che non ne sarebbe mai stato il diretto testimone.

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*Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)



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