Magazine

Il totem di palascia

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Se vi capita un giorno di andare a Palascia osservate, bene quello spicchio di terra brulla tra cielo e acqua, annusate l’aria e la macchia mediterranea, sedetevi nel vento della collina e guardate il grande totem, e guardate il mare, in silenzio.
Qualcosa intorno comincerà a parlarvi, è la voce del guardiano del faro seduto accanto a voi: insieme state scrutando un mondo che non c’è più.


Immaginate un uomo libero, selvaggiamente libero, felicemente innamorato della sua libertà, del suo rapporto istintivo con la natura, della simbiosi con gli elementi di terra, di cielo e di mare.
Nasce nella culla il destino di Luigi Tarantino, “l’ultimo guardiano del faro di Palascia”, da lui custodito fino al 1970.
Per quasi tutti gli abitanti del Salento quel faro a sud di Otranto, costruito nel 1867, è più di un simbolo: è un totem. È il confine tra l’Adriatico e lo Jonio, è l’oriente più oriente d’Italia, è il primo sole di ogni nuovo giorno e la prima alba di ogni nuovo anno, è la lotta alla cementificazione, è la sopravvivenza di un mondo antico di essere Puglia.
Ma prima di questo per le generazioni di oggi, il faro di Palascia è stato il mondo esclusivo di Luigi, un soldato provato dalla guerra che all’ombra di quel cilindrico santuario civile ha trovato la sua catarsi morale e la spiegazione della sua esistenza. Maresciallo della Marina Italiana, prigioniero in campo di concentramento in Grecia, a bordo del Caio Duilio durante il raid aereo inglese del 1940 nel porto di Taranto, salvatosi dalle schegge dell’esplosione grazie all’ immagine di Santa Barbara ricamata e incollata in petto su un cartone. Luigi vince poi finalmente il concorso per diventare guardiano del faro. Ed in quel momento inizia la sua vera vita.
Chi non s’è emozionato per “Balla coi Lupi” e per “Due Calzini” non può percepire il respiro cosmico di cui s’era circondato con una firma su un foglio di carta Luigi Tarantino, don Gino per tutti. “Papà ci ha fatto amare il faro ed il mare – racconta oggi ancora con l’emozione di allora la primogenita Rita, 64 anni – ci ‘obbligava’ tutti noi figli, ad ascoltare il silenzio per insegnarci a farci rapire dalla magia di quel rumore. Da piccola non capivo, ora so come tutto fosse meraviglioso. Papà era un selvaggio perché cercava nel silenzio la musica della natura. E noi da lui imparammo ad immergerci in acqua con i delfini, imparammo le erbe mediche e la caccia alle vipere, ad arrampicarci come caprette sugli scogli aguzzi tra fiori, garofanini e capperi, ad ascoltare il vento e la pioggia, a leggere il volo degli stormi, la calma che precedeva burrasche e furiose tempeste. Ci aveva trasformati insomma in metronomi di quella musica della natura”.
Sei figli aveva Luigi, in quell’eremo chiamato faro, a cui insegnare soprattutto a guardare il mare, le rotte delle navi, l’alfabeto morse ed i voli dei gabbiani. D’estate e d’inverno, d’inverno e d’estate, dove il cibo era soltanto pesce e l’unico filo col mondo era un telefono a manovella. Rita, Maria Rosaria, Damiano, Giuseppe, Florinda e Anna Maria vivevano isolati da tutto, in un luogo che aveva le finestre non su strade affollate di coetanei ma solo sul mare e sul cielo, dove il tempo scorreva impassibile e lento come nelle poesie di Vittorio Bodini. Dove la festa era una nave cisterna con l’acqua potabile ed il petrolio per le lanterne. Dove il cinema era una masseria 500 metri più su, dove la sera intorno al fuoco le spalle dei piccoli si stringevano assediate dalle storie feroci di turchi e di pirati.
È un tempo irripetibile quello di Luigi Tarantino, l’ultimo guardiano del faro di Palascia, custodito fino al 1970. Di lui, morto a 90 anni, c’è il ricordo nella voce e negli occhi dei figli. Ancora Rita esprime il pensiero che avvolge lei ed i suoi fratelli. “Quando vado a trovare il faro il cuore si cosparge di rimpianti. Trovo l’amore di papà per quel luogo, trovo le nostre corse a piedi scalzi, le sue lezioni sulla natura, ritrovo casa”.
Se vi capita perciò un giorno di andare a Palascia, osservate bene quello spicchio di terra brulla tra cielo e acqua, annusate l’aria e la macchia mediterranea, sedetevi nel vento della collina e guardate il grande totem, e guardate il mare, in silenzio. Qualcosa intorno comincerà a parlarvi, è la voce del guardiano del faro seduto accanto a voi: insieme state scrutando un mondo che non c’è più.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog