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Il trappeto ipogeo in Puglia e…… nel Torrione di Avetrana

Creato il 15 gennaio 2014 da Cultura Salentina

Il trappeto ipogeo in Puglia e…… nel Torrione di Avetrana

15 gennaio 2014 di Redazione

di Antonietta Trono

Il trappeto ipogeo in Puglia e…… nel Torrione di Avetrana
A. Trono: part. mostra archeologica torrione di Avetrana
Il trappeto ipogeo in Puglia e…… nel Torrione di Avetrana
A. Trono: part. pressa frantoio torrione di Avetrana
Il trappeto ipogeo in Puglia e…… nel Torrione di Avetrana
A. Trono: torre quadrata torrione di Avetrana
Il trappeto ipogeo in Puglia e…… nel Torrione di Avetrana
A. Trono: Torrione (Avetrana)

I trappeti ipogei, frantoi scavati nella roccia, parlano di un’economia fiorente di un lontano passato, testimoni nascosti di una civiltà millenaria difficile e pesante, di uomini e animali allo stesso modo asserviti alla macchina. La fatica derivante da un lavoro insopportabile e quasi debilitante era però necessaria per ottenere, dopo lunghi processi di lavorazione, l’oro liquido dell’economia pugliese nel 1500, l’olio di oliva. I frantoi ipogei, presenti ovunque nella nostra Puglia e ricavati a cinque-sei metri di profondità nella roccia, riflettono appunto l’economia contadina del millecinquecento e testimoniano la difficile realtà rurale di quell’epoca.

Il motivo più comunemente noto che faceva preferire il frantoio scavato nei sassi a quello costruito alla luce del sole era la necessità del calore. Si sapeva già a quei tempi che l’olio diventa solido intorno ai 6° C per cui, affinché la sua estrazione fosse facilitata, era indispensabile che la temperatura dell’ambiente in cui avveniva la spremitura delle olive fosse tiepida e costante. Tutte queste accortezze potevano essere assicurate solo in un sotterraneo, riscaldato da grandi lumi che ardevano notte e giorno, dalla fermentazione delle olive e, soprattutto, dal calore prodotto dalla fatica fisica degli uomini e degli animali. L’interno di queste strutture era formato da uno spazio abbastanza ampio che serviva per raccogliere le olive che poi sarebbero state macinate, e da una vasca alta e capiente dove venivano depositati i frutti degli alberi di ulivo e all’interno della quale giravano pesanti ruote di pietra alte da 170 a 180 cm, ruote o pale che roteavano grazie al tiro di animali bendati per evitare loro il capogiro dovuto al lento e incessante movimento circolare.

La mia origine avetranese da parte di padre, mi porta a parlare del trappeto ipogeo del Complesso Fortilizio di Avetrana, detto il Torrione, non solo per affettuoso campanilismo ma anche perché rappresenta una testimonianza della storia locale del nostro tardo medioevo. Il Torrione appunto, un bastione che attualmente come in passato domina l’intero abitato del paese e che sorge sopra uno dei punti più alti offrendo una visione panoramica dell’intero territorio comunale. Per quanto oggi è dato di sapere, successivamente alla torre quadrata che rappresenta il primo nucleo dell’abitato costruito da Pietro di Tocco nel 1350, fu edificata la torre a base tonda che fu innalzata probabilmente dal principe Galeotto Pagano, signore del paese durante il cinquecento. Le strutture già esistenti, a cui si aggiunsero nel tempo un’altra torre, una casamatta adibita oggi a mostra archeologica, una cinta muraria e vie di intercomunicazione compreso un ponte levatoio che oggi non esiste più ma la cui esistenza è documentata dal “Catasto Onciario torre universale”, furono sottoposte a interventi di restauro dal 1998. La mostra nella Casamatta è divisa in due settori: nel primo segmento si espone una selezione di reperti che datano dal neolitico al romano imperiale, rinvenuti a seguito di una campagna di scavi condotta in località “Masseria della Marina – Quarto Grande” nell’estate del 2002, la seconda parte dell’esposizione è costituita invece da fossili di fauna Pleistocenica. I primi lavori di recupero portarono alla luce ambienti ipogei che furono subito identificati come vasti frantoi oleari in cui i reperti corrispondevano a due specie di trappeti, il tipo detto alla “calabrese”, di fattura sicuramente più antica rispetto a quello alla “genovese” che prevedeva un sistema di torchiatura giunto nell’Italia del sud intorno alla metà del XVIII secolo.

Il trappeto alla calabrese era presente nell’ipogeo con un insieme di tre presse mentre quello alla genovese era costituito da cinque torchi. Inoltre si rinvennero all’interno due sciave corrispondenti ai depositi di raccolta delle olive, le mangiatoie per il bestiame e i ricoveri per gli operai, detti “marinari” e del capo dei frantoiani detto ‘naghiru’, cioè nocchiero, corrispondente al termine greco di capitano di barca. Nel periodo intercorrente la raccolta delle olive in autunno e la fine della molitura a metà primavera tra marzo e aprile, questi operai pare che godessero del riposo di un solo giorno, a dicembre, durante la festa dell’Immacolata rivedendo così la luce del sole e i propri cari per sole ventiquattr’ore.

Bibliografia

B. Leo, P. Scarciglia, P. Santo “Avetrana, Storia e Territorio”. Edizioni del Grifo, Lecce, 1998;

Adattamento da Il castello di Avetrana tra storia e restauro verso il riuso, a c. dell’Amministrazione Comunale di Avetrana, dell’Assessorato alla P. I. e Cultura della Regione Puglia, del CSPCR di Manduria, Avetrana 1987. Testi di Roberto Bozza, ricerca storica di Regina Poso, grafica e disegni di Alessandro Spalatin e Roberto Bozza.


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