Magazine Cultura

Il trittico del dottor Babbarabbà e del suo Super-Io. Atto III

Creato il 10 maggio 2011 da Cultura Salentina
Il trittico del dottor Babbarabbà e del suo Super-Io. Atto III

Le melagrane di Rosalba (incisione di Pasquale Urso)

Alla luce magica di un magico tramonto salentino
E concludiamo finalmente (siamo alla terza parte di tre) la cronaca della giornata di piena estate che il nostro buon dottor Babbarabbà, salentino molto impegnato, molto importante e molto stressato, ha deciso di trascorrere con uno scomodo ospite stanziale, il suo Super-Io.

Siamo all’ora del tramonto, immersi in una magica cornice di colori pastellati, di odori intensi di campagna e di terra e di lontani suoni di luce. La strada scorre sonnolenta sotto i sandali del dottor Babbarabbà, che guarda distrattamente le insegne dei piccoli e radi negozi di Uggiano La Chiesa, ma da quegli sguardi distratti nasce lo spunto per la ripresa del dialogo metafisico e metaforico con il suo Super-Io.

Atto III: con il sole all’occaso

Della pubblicità. bizantina
Dicono che la pubblicità sia l’anima del commercio: voglio sperare che alla fine non diventi, però, il commercio dell’anima. Per il momento, viste (ed udite) le tante oscenità radiotelevisive (ma che aspettano a restaurarla, la censura?), ci rendiamo conto che ci si è già dl tutto giocato il buon gusto. Qui da noi, nel Salento, per fortuna, siamo rimasti ad un livello ancora accettabile: siamo bizantini, noi! Al massimo, i nostri peggiori slogan pubblicitari potrebbero esser usati con successo dai comici di “Zelig”; basti pensare, a titolo d’esempio, a: “La boutique del pane” o a “L’atelier della frutta e verdura”. ma il primato della fantasia (o un autentico elogio della follia?) spetta certamente a una tal: “Degustazione di infissi in alluminio anodizzato”. Capito che roba? Ma chi saranno mai i potenziali clienti? I nipotini di Eta Beta?… Ai posteri, come sempre, l’ardua sentenza.
Dov’è la dama d’atout?

Da qualche anno mi diletto a giocare a bridge: lo faccio perché mi tiene la mente in esercizio e mi ripara, forse, dalla demenza incipiente. Gioco a bridge dal vivo sui tavoli verdi del tanto piccolo quanto accogliente circolo di Maglie, ma spesso (nei fine settimana) anche sui tavoli virtuali di BBO (Bridge Base Online), dove mi trasformo nel truce “Goleccego” (Forza, Lecce, dai!) che, in coppia con il giovane “Deracco” (al secolo, Lucio Tramacere), talvolta si permette il lusso di sfidare persino autentiche stelle del bridge internazionale; in realtà, con alterne fortune. Ma se codeste grandi “stelle del bridge internazionale” continuano ad accettare al loro prestigioso tavolo la coppia “Goleccego-Deracco”, qualcosa vorrà pur dire, no?. Siamo diventati davvero bravini: giochiamo persino la “turbo”!… Purtroppo (devo ammetterlo), ho un autentico tallone d’Achille: la dama d’atout! Mentre tutti gli altri riescono a “beccarla”, a me sfugge sempre, persino quando mi addentro nei ragionamenti più intricati e profondi. E non importa che si tratti della dama di quadri, di cuori o di picche. Non cambia nulla: la dama d’atout non la becco mai! Sarà forse per la legge di Murphy o per la nemesi storica (ma non intendo, per prudenza, approfondire il concetto), ma la dama d’atout mi sfugge sempre. Ricordo, al proposito, il sorriso consolatorio, ma in realtà compiaciuto, di Antonella Caggese, non so dire se più brava o più bella, quando mi buggerò con la sua dama di cuori (il colore d’atout) in espasse (ovviamente io avevo tentato l’impasse): già, la bella Antonella e la sua perfida dama di cuori in espasse. Magari, se mi fosse successo con un’avversaria meno avvenente avrei provato meno dolore. Per farla breve, ho pensato persino di proporre di rimuovere la figura della dama dal gioco del bridge, ma avrei corso il rischio di essere radiato a vita come antisportivo misogino, anche se probabilmente un nugolo di brave persone si sarebbero pronunciate, in qualità di testimoni volontari, in favore delle mie comprovate attitudini eterosessuali; ma, intanto, la dama d’atout continuo a non beccarla mai!…
La percezione del rischio e l’eminattenzione
L’eminattenzione è un disturbo neuropsicologico (ricordo che era una delle domande preferite del prof. De Renzi), che consiste nella mancanza di consapevolezza per un lato del corpo o dello spazio o degli eventi che si verificano da quel lato, di solito a sinistra; in realtà, un analogo fenomeno si verifica anche nel campo dell’elaborazione logico-analitica dei contenuti psichici derivanti dalle senso-percezioni e da molteplici fattori di condizionamento del pensiero. Sto delirando? Non credo, ma è evidente che devo semplificare, e di molto, il discorso. Bene, parliamo allora della percezione del rischio di catastrofi e facciamo un esempio di evidente eminattenzione. La recente immane tragedia del Giappone ci ha rinnovato la paura primordiale dell’ignoto, un autentico terrore nei confronti di un terribile Fato antropomorfico, in grado di segnare, in senso negativo, le sorti dei singoli e delle collettività; tale spiacevole percezione, tipicamente reattiva e, in quanto tale, temporanea, si tramuta poi in angoscia esistenziale permanente quando subentrano talune variabili “ambientali” di condizionamento psicologico, come è successo per il “Millennium Bug”, come periodicamente succede per le innumerevoli profezie di Nostradamus ed, ancor più, come da qualche tempo si sta verificando nei confronti della profezia contenuta nel calendario dei Maya circa la fatidica data del 21 dicembre 2012. Nella storia dell’umanità la superstizione e la stupidità umana hanno mietuto molte più vittime delle epidemie. e continuano a mieterne tante, altro che!. E succede anche che, per una sorta di inestinguibile settarismo tribale (o di tribalismo settario che dir si voglia) continuano a sussistere, sebbene agonizzanti, sul territorio nazionale (e nel “mio” Sud, in particolare, purtroppo!), presidi ospedalieri con 50-60 posti letto, magari impreziositi da una splendida (e solitaria, come un’oasi nel deserto) Unità Operativa Complessa (ma sarebbe molto meglio chiamarla, per semplicità gnoseologica, reparto di degenza) di gastroenterologia, senza la doverosa “protezione” di un servizio di anestesia e rianimazione, con livelli di rischio inaccettabili per i degenti, motivo per il quale ci troviamo di fronte a decine e decine di esempi di “malasanità politicamente pianificata”, ma non percepita come tale o magari correlata ad un incomprensibile sacrificio della ragione umana, offerta al sacro totem del “Dio Campanile”. In conclusione, parafrasando un noto slogan della Cirio (che pure ha passato i suoi guai): “Ciò che natura crea, l’uomo distrugge!”.
Del sarcasmo e dell’ironia
Non ho alcun dubbio: tra l’ironia e il sarcasmo preferisco la prima. L’ironia è satira irriverente, ma senza spine: quand’anche utilizzata come sferza, non ti ferisce nel profondo, né dà piaghe.
Talvolta ne abuso, ma per fortuna non mi provoca gli orribili effetti collaterali delle pappardelle ai funghi porcini: senso di peso e modico (ho detto. modico?) soprappeso.
Ebbro d’ironia, torno dal mare ma non sto affatto pensando a te, cara la mia azienda sanitaria!.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine