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Il vocione del signor F.

Creato il 18 giugno 2014 da Scribacchina

Stamattina, tra un pezzo sulla Tasi e un rimando alla prossima apertura della Brebemi (ma, francamente, prima di sera mi aspetto anche un commento del direttore sul caso Yara…), mi è capitato sottomano un piccolo scritto dedicato ad un signore che se n’è andato a fine marzo: il signor F.
Aveva quasi novant’anni.
Era un partigiano nell’anima, ma anche un bersagliere, a giudicare dal sonoro «E’ permesso? Ohé, c’è nessuno qui?» che si sentiva fin dal mio ufficio quando entrava in redazione.
Quel suo inconfondibile vocione tonante, che era al tempo stesso terrificante e rassicurante. Perché se urlava voleva dire che stava benone e che lo spirito battagliero era sempre lì a guidarlo.

Non era mai entrato nel mio ufficio.
Poi un giorno – come succede a tanti partigiani – decise di scrivere un libro sulla guerra e si trovò nella necessità di scansire diverse foto e documenti d’epoca. Gli dissero di venire da me, «in quell’ufficio, dritto in fondo al corridoio: c’è una ragazza, vedrai che ti fa volentieri questo piacere».
(«volentieri», come no… :-) )
Entrò, si guardo in giro e mi vide.
Immediatamente, la voce calò di volume.
Forse l’avevo intimidito, forse era abituato a parlare soltanto con dei bersaglieri inside.
O forse si chiedeva se ero davvero in grado di aiutarlo, lui che un computer non sapeva nemmeno com’era fatto.
Si sedette vicino a me, cercando di darsi un contegno. Si presentò come un vero gentiluomo e mi chiese se per favore potevo «scansire – si dice così, vero? – tutte queste cose; vede, è questo pacchetto…».
Erano immagini di guerra, normali eppure splendide, cariche di ricordi, di vita vissuta a mille; sembrava di toccare la storia prendendole in mano. Nelle foto c’erano lui e i suoi compagni: erano ancora ragazzi, ma avevano nello sguardo quel non so che di «vecchio», di serio, che mi incantava. E mentre le foto passavano sotto lo scanner, lui raccontava: «Ecco, vede? Qui ero sul monte XX… e questa è stata fatta il giorno della Liberazione: io sono qui, in basso, mi vede? Sono ancora io, vero? E… la vede quella ragazza, lì a destra? Quanto era bella…».

Scribacchina: «Certo che ha una memoria di ferro, signor F., si ricorda proprio tutto… E’ bello che abbia deciso di scrivere un libro, sa?».
F.: «E ce ne sono tanti, di partigiani come me, che potrebbero raccontare e non lo fanno. Come R., il tabaccaio dell’angolo: l’ha mai sentito parlare, lei?»
S: «Non mi pare. Perché?»
F: «Perché è muto. Non parla più da tanti anni; è successo quando una sera i tedeschi l’hanno prelevato da casa. Non si sa dove l’abbiano portato o cosa gli abbiano fatto vedere, ma il giorno seguente quando l’hanno rilasciato non parlava più. Sa quanta gente c’è che si difende così dalla violenza? Scelgono di tacere, pensano che sia più facile dimenticare. E via. Qualcuno riprende a parlare a distanza di anni; ma lui, ormai… è passato talmente tanto tempo…».
(R. nel frattempo è morto. Da quel che ho saputo, neppure sul letto di morte ha parlato).

Più parlava, più si animava. E più si animava, più la sua voce tornava quella del partigiano disposto a dare la vita per un ideale.
A trovarne, oggi, di gente disposta a fare tanto.

***

Il signor F. si dilettava di poesia.
Nel piccolo scritto di cui parlavo in apertura, i suoi amici si dicono convinti che – dovunque ora sia – il signor F. abbia già scritto una buona quantità di sonetti.
Conoscendolo, non fatico a crederlo. :-)

partigiani

Questo è uno dei documenti che mi aveva fatto scansire. Non ricordo esattamente cosa sia, ma credo possa essere un elenco criptato dei partigiani della zona.
Cose degli anni Quaranta.

Au revoir, signor F. dal vocione tonante.


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