Magazine Ecologia e Ambiente

Il web come luogo di “messa in discorso” delle nuove idee di ambiente

Creato il 16 dicembre 2013 da Greeno @greeno_com

estratto da “Effetti di senso della comunicazione ambientale in rete” di Filippo De Matteis

in H-ermes, Journal of Communication

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In altre occasioni abbiamo avuto modo di ricordare come, a partire dalla fine degli anni ’90 lo storytelling, l’arte di raccontare le storie, abbia incontrato un sensazionale successo in numerosi ambiti della vita sociale. Basti pensare a quale applicazione abbia trovato nel discorso politico e nelle retoriche del potere. In questo contesto, un numero sempre più elevato di imprese ha cominciato a fare ricorso a dei modelli narrativi per la costruzione e la condivisione della propria identità istituzionale, convogliando la propria vision e la propria mission nelle trame di un racconto, così da attenuare o sostituire la logica del business con le emozioni, i significati, i propositi. Lo storytelling si propone, quindi, come forma discorsiva dell’azienda post-moderna, un’impresa allo stato gassoso, liquida e plurale, in continuo cambiamento, che declina la propria comunicazione di corporate secondo i criteri dell’emotional branding (Traini).

La crisi della pubblicità tradizionale e l’ascesa dei nuovi media come ambienti di disseminazione dell’immagine d’impresa hanno portato due novità fondamentali: la prima è lo sviluppo narrativo a partire dal brand. Questa possibilità presuppone che la marca sia dotata di una sua propria personalità, che tuttavia può evolvere nel corso del tempo. La seconda è che gli artefatti diegetici dell’azienda vengono sempre più spesso collegati alla comunicazione istituzionale, per cui all’obiettivo di profitto si affianca decisamente quello di creare e gestire la propria reputazione. All’interno di questi fenomeni, si collocano per la prima volta in maniera strategica le virtù ambientali (vere o presunte) dell’impresa, non solo come parte integrante dei processi organizzativi e produttivi, ma spesso anche come capofila del sistema di simboli che le imprese allestiscono per raccontarsi. L’idea di costruire storie del sé diventa funzionale a rendere la comunicazione più appealing ed efficace. Con questo obiettivo, è via via aumentato l’interesse delle imprese verso tutto ciò che fosse in grado di includere al proprio interno una componente narrativa a tema ambientale, tramutabile in un costrutto simbolico in grado di interloquire con pubblici diversi. Queste espressioni possono talvolta veicolare all’interlocutore un elemento narrativo abbozzato, non necessariamente compiuto o sviluppato organicamente. Altre volte invece l’elemento narrativo risulta fortemente strutturato (es. la tendenza al racconto nelle campagne di ENEL di qualche anno fa).

Oltre a questa accezione “strumentale” della componente narrativa, accade anche che le imprese utilizzino le storie come espressione del nucleo più intimo della loro cultura organizzativa, dando risalto al vissuto reale delle persone che vi lavorano ed estrinsecando, attraverso le loro storie, la loro identità ambientale. (es. Pepsi Sustainable Living Contest)

 

Possiamo ben dire che gli anni duemila inaugurano l’epoca dello storytelling come ontologia. All’identità dell’organizzazione concepita come sostanza subentra un nuovo modello, nel quale l’identità è invece pensata come racconto: non più un apparato monolitico, ma un percorso di senso che continuamente si aggiusta e si costruisce nel tempo.

Il presupposto è uno slittamento dei termini e dei significati, per cui non si parla più di marchio (semplice “etichetta” applicata ad un prodotto), ma di marca, intesa come dispositivo che assicura la produzione e la messa in forma del senso, condensando un insieme di contenuti complessi in una Gestalt immediatamente riconoscibile e di facile accesso (Qualizza). Così ci è possibile riconoscere immediatamente, tanto per fare un esempio, il presidio di Alfa Romeo sull’area di senso della “sportività”, nucleo profondo da cui dipanare le possibilità narrative.

Il riferimento a questi fenomeni è tanto più opportuno quanto più rende conto dell’istituzionalizzazione della corporate communication, che fino a qualche tempo fa era completamente sbilanciata verso gli obiettivi commerciali. Le imprese, abbiamo detto, adesso comunicano con l’ulteriore obiettivo dichiarato di stimolare il consenso sociale. E mettere in discorso l’ambiente è uno strumento potentissimo di gestione del senso e del consenso. (es. Campagna Ecotricity, 2012)

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Per questo motivo la comunicazione ambientale contemporanea è ricca di storie, non solo dal mondo delle imprese. E questo non è un fatto di poco conto. Come detto precedentemente, nella storia della comunicazione ambientale le imprese commerciali entrano relativamente tardi. Fino ad allora i temi ambientali erano appannaggio ed interesse delle organizzazioni non governative e delle istituzioni, che li trattavano con linguaggi di genere. Ma soprattutto con i media tradizionali. La grande svolta per la messa in discorso di nuove e meravigliose storie ambientali arriva con la multimedialità e l’interattività.

Pensiamo, ad esempio, alle nature raccontate dal mondo dell’attivismo ambientale attraverso i nuovi media. Da un lato, innanzitutto, hanno potuto beneficiare di una ricchezza senza precedenti al livello della manifestazione. E, come auspicato, sono scaturite dalla reciproca fecondazione di sistemi semiotici eterogenei. Inoltre, portano in dote il frutto della sperimentazione fra discipline e contesti differenti, dove alle marche concettuali dell’attivismo si unisce la varietà degli innesti linguistici del mondo dell’arte. E, se consideriamo che le storie sono da sempre costruite per essere tramandate e condivise, queste nuove storie hanno potuto assecondare la loro missione lungo tutti i fronti dei media a loro disposizione (da YouTube ai social networks ai dispositivi smartphone) presidiandoli e prestandovisi.

 

Il web, dunque, ha agito da indubbio catalizzatore della tendenza a fare storytelling ambientale, concentrando nelle sue superfici e nelle sue forme di comunicazione tutto il potenziale discorsivo dell’argomento. Ha creato le condizioni per un allontanamento definitivo dagli standard dei media tradizionali (la televisione, su tutti, con le sue logiche di fruizione) e ha messo a disposizione dei racconti dell’ambiente nuove modalità di consumo.

La multimedialità, tanto per cominciare, ha garantito uno spettro di possibilità estetiche che prima mancava, per forza di cose. Pensiamo all’avvento delle infografiche e alla loro capacità di rendere le storie attrattive. Oppure agli enormi benefici che ha avuto la divulgazione scientifica a partire dai nuovi media. L’application interattiva Darwin for a Day, ad esempio, invita a visitare le Galapagos direttamente “dalla tua living room”, grazie al lavoro di mappatura digitale di Google Earth, in collaborazione con iNaturalist.org e la Charles Darwin Foundation.

La condizione di interdipendenza dei media consente di interpellare i gusti dei pubblici e di misurare lo spirito del tempo in maniera non più parziale, ma coordinata ed organica. Le storie della nuova comunicazione ambientale sono costruite secondo un criterio di coerenza testuale tale da mantenere la propria integrità diegetica anche a fronte della moltiplicazione dei supporti espressivi. Anzi, accade più spesso che sia pensata per prima la strategia di presidio dei nuovi media e poi che si trovino delle storie confacenti ad essa. La ricchezza sul piano dell’espressione è una condizione ineludibile nella progettazione di storie di successo. Inoltre, il presidio di diversi media, e quindi di diversi ambienti di comunicazione, consente alle storie di frequentare più pubblici contemporaneamente. Il target, che i media tradizionali non potevano che visitare indistintamente, adesso è esploso in segmenti eterogenei e volubili, che consumano informazione ed intrattenimento in più ambienti, con modalità completamente diverse dal passato, con tempi assolutamente privati.

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Questo obbliga i “produttori di senso” a disseminare i loro discorsi ovunque (storie intere, capitoli, paragrafi), facendo bene attenzione a non smarrire la coerenza del loro racconto per le stanze virtuali degli incontri coi loro destinatari. Il grandangolo della pubblicità generalista ha passato la mano ad una strategia fatta di ripetute messe a fuoco, su più strumenti e su tutti quei frammenti di pubblico autodeterminati che la rete ed i nuovi media in generale hanno riscattato alla pangea dell’audience. Le storie della comunicazione ambientale trovano così punti di ascolto che prima non potevano avere e quei punti di ascolto incontrano storie che prima non potevano esistere, così che lo storytelling sui nuovi media sia rafforzato e ampiamente corrisposto da uno storylistening diffuso. Dove l’ascolto è soprattutto partecipazione e condivisione, viralità in molti casi, rimodulazione del racconto e finali aperti. E qui c’è un’altra importante differenza con le modalità di fruizione dei media tradizionali, nei quali i lettori cooperano con il testo lavorando soltanto al livello del piano del contenuto, cioè costruendo ipotesi di significato sulle immagini e/o sulle parole, oltre che attualizzando gli impliciti del testo stesso. L’interattività abilita prima di tutto, invece, gli interventi del lettore/utente sul piano dell’espressione, secondo un meccanismo per cui il destinatario è in grado di lasciare sul testo delle tracce sensibili, essenziali persino alla sua fruizione.

Diceva Roland Barthes che «il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità; non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti». In maniera più o meno differente, lo stesso assunto è stato sostenuto da tanti altri grandi dell’epoca post-moderna, da Jacques Derrida a François Lyotard, da Jacques Lacan a Jerome Bruner. Oggi il luogo delle grandi conversazioni è la rete. È sulla rete che le storie organizzano il pensiero e conservano la memoria delle comunità, è sulla rete che si definisce il concetto stesso di comunità, legato alla possibilità che hanno i suoi membri di aggregarsi attorno a schemi interpretativi condivisi. È sulla rete che si raccontano le nuove idee di natura.


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