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Ilaria e Graziella: due donne, due giornaliste

Creato il 02 novembre 2011 da Casarrubea

di Erminia Borzì 

Ilaria e Graziella: due donne, due giornaliste

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Il 20 settembre 1994, l’autista della Toyota bianca di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin percorre le strade impolverate di Mogadiscio senza accorgersi che un fuoristrada bianco, guidato da un gruppo di uomini armati, lo sta seguendo. “Certo che un
satellitare potevano darcelo”, dice Ilaria a Miran, “Pochi soldi, poca musica!”, risponde ironico Miran, alludendo al fatto che in quella situazione bisogna accontentarsi… . La Toyota bianca dei due reporters continua il suo percorso nelle strade della città con i muri dei palazzi trivellati dai kalashnikov. Il fuoristrada, sempre più vicino alla Toyota, è sempre più incalzante. “C’è una macchina che ci segue…”, dice l’unico addetto somalo alla scorta di Ilaria e Miran. Il fotoreporter si volta verso Ilaria e osserva la
jeep che avanza e accelera perché è arrivato il momento di uscire allo scoperto…. Anche Ilaria si gira verso la jeep, che, a gran velocità, supera la Toyota
e frena bruscamente. L’autista di Ilaria e Miran non fa in tempo ad inserire la
retromarcia che un primo colpo, sparato da un kalashnikov, comprime il torace
di Miran sul sedile anteriore, dove è seduto, e il suo sangue rimane impresso
sul parabrezza. Ilaria si accasciata sui sedili posteriori mentre uno dei
killer frantuma il vetro della Toyota come una belva inferocita. L’ultima cosa
che vede Ilaria sono gli occhi freddi del suo assassino… poi il silenzio;
chissà cosa ha pensato Ilaria negli ultimi istanti della sua vita, aveva 33
anni (a).

Morire per senso di giustizia 

Ilaria e Miran si conoscono a Spalato, durante un reportage sul conflitto civile nella
ex Jugoslavia. In quella città minata dalla guerra, Ilaria apprende di traffici
di rifiuti tossici, trasportati su navi, che dal nostro Paese giungono in
Africa. Questi traffici si intersecano con quelli delle armi che dall’Italia e
dai Balcani giungono in Somalia per fomentare la guerra civile. La notizia è
più che sicura e Ilaria, tornata nella sede RAI del TG3 a Saxa Rubra, ottiene
l’autorizzazione per recarsi in Somalia e indagare su questi traffici illeciti.
La giornalista italiana propone come suo operatore Miran Hrovatin, classe ’49,
profugo istriano, fotoreporter presso la Videoest
di Trieste. Ilaria è entusiasta della sua indagine, Miran è pensieroso perché
le scoperte fatte aprono scenari inquietanti che non coinvolgono solo
imprenditori senza scrupoli e ribelli privi di un concreto progetto politico.
Le informazioni che Ilaria e Miran raccolgono in Somalia muoiono con loro,
perché, come per Graziella De Palo e Italo Toni, nessun documento probante
relativo alla loro inchiesta viene trovato tra i loro effetti personali
ritrovati all’albergo Sahafi di Mogadiscio, dove alloggiavano.

9 dicembre 1992, Tg3, Conflitto fra clan in Somalia/Sbarco degli americani a Mogadiscio: “Il Presidente Bush è in
visita in un villaggio qui accanto”, dice Ilaria Alpi in diretta TV.

15 Gennaio 1993, Tg3, Movimenti somali firmano la tregua ma la conferenza di pace fallisce: “Grandi difficoltà a livello politico e diplomatico”, afferma Ilaria in un servizio da Mogadiscio.

3 Maggio 1993, Tg3, Il comando delle operazioni passa alle Nazioni Unite: “Ciò che importa veramente è aiutare i Somali a
trovare democrazia e sviluppo”, dice Ilaria ed aggiunge: “I militari italiani
hanno ricostruito Gioare, la
scuola e l’ospedale”.

Le immagini di Miran Hrovatin mostrano
Ilaria mentre saluta il Comandante di ITALFOR, dell’operazione UNISOM I, il
generale Bruno Loi (in seguito coinvolto nell’inchiesta su abusi e violenze
perpetuate ai danni di alcuni civili somali da parte di un gruppo di militari
del contingente da lui comandato).

20 luglio 1993, Dissensi tra Roma e Washington/Ritiro
del contingente italiano da Mogadiscio
: “Gli Italiani lasciano una città
divisa in due, disperata allo sbando”, Ilaria Alpi per Tg3.

20 settembre 1993, I Somali lanciano il tiro
contro gli Americani
:“Orrore e morte nelle immagini da Mogadiscio” (La
telecamera di Miran inquadra un cadavere di un giovane somalo, trascinato per
una strada impolverata della città somala).

28 settembre 1993, Possibile soluzione politica

16 novembre 1993, L’Onu cancella la soluzione anti Aidid: “Aidid vuole avere una parte nella ricostruzione del paese, una parte politica, da leader”. In diretta, per Tg3, Ilaria Alpi.

Marzo-Aprile 1994, L’Occidente lascia la Somalia e
Ilaria e Miran, il 12 Marzo 1994, raggiungono Mogadiscio per raccontare delle
macerie di un popolo macinato dal conflitto civile. Per Ilaria la televisione
era il mezzo per rendere visibili gli invisibili, il suo intento è stato quello
di voler capire una cultura diversa dalla sua e raccontare nel più totale
rispetto il dramma di un popolo piegato dalla guerra.

Giorgio Alpi, padre di Ilaria, racconta in un’intervista a La Storia siamo Noi, che
credeva sua figlia al sicuro a Mogadiscio, perché lì era conosciuta, rispettata
e amata. “Proprio per questo motivo”, aggiunge Giorgio Alpi, “sua madre ed io
non ascoltavamo i notiziari del Tg3… neanche quello che ha annunciato la sua
morte”.

L’esecuzione 

Tg3, 20 marzo 1994: “Buonasera, edizione straordinaria per una notizia tragica. Che
colpisce tutti noi della RAI, in particolar modo, noi del Tg3. Una nostra
collega, una nostra amica, Ilaria Alpi, è stata uccisa pochi minuti fa … a
Mogadiscio! Insieme a lei è stato ucciso un altro collega, un nostro caro
amico, Miran Hrovatin”. Dice lo speaker: “Avevo parlato con Ilaria un ora e
mezzo fa, non di più, al telefono satellitare. Ilaria era partita per
Mogadiscio cinque giorni fa e poi era rimasta bloccata in un paese a nord della
Somalia e da lì aveva impiegato due giorni per arrivare nella capitale somala
…”.

“A dare la notizia”, afferma uno dei telegiornalisti del Tg1, “sarebbe stato
Giancarlo Marocchino, italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni”.

“Io ero a casa di Giancarlo Marocchino”, afferma la giornalista di Studio Aperto,
Gabriella Simoni, “uno degli ultimi italiani rimasti a Mogadiscio e
improvvisamente ha cominciato a urlare dal baracchino Gabriella, Giovanni, aiuto, aiuto! Noi abbiamo sentito: Hanno arrestato due giornalisti italiani
e immediatamente ci siamo alzati subito in piedi; avvicinandoci alla radio, abbiamo
afferrato il microfono per cercare di capire meglio cosa fosse successo.
Giancarlo continuava a dire: Hanno ammazzato Ilaria! Hanno ammazzato
Ilaria!
Siamo montati sulla macchina (la casa di Giancarlo era molto vicina
dal luogo dove hanno ucciso Ilaria e Miran) e quando siamo arrivati è stato
terrificante perché stavano togliendo il corpo di Ilaria dalla macchina …”.

Tenendo in mano alcuni oggetti di Ilaria e Miran, Giancarlo Marocchino dichiara ad un
corrispondente RAI, giunto a Mogadiscio: “C’è stato un agguato e gli hanno
sparato”, “Li hanno proprio mitragliati. Hanno preso due della scorta e l’autista è stato ferito. Loro (Ilaria e Miran) hanno preso tre, quattro colpi nella testa … Non c’è stato più niente da fare …”.

Il 25 ottobre 2005, la Commissione Parlamentare d’Inchiesta Ilaria Alpi ha
definito il signor Marocchino il punto focale di questa operazione verità. Colui che, negli anni Novanta, ha permesso la realizzazione del porto di Eel Ma’aan. Il primo che è accorso sul luogo dell’attentato, pochi minuti dopo l’omicidio.

Giancarlo Marocchino non è mai stato indagato per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin, perché, secondo le Procure di Asti e La Spezia, è estraneo hai fatti
pur avendo allertato i soccorsi. Secondo Greenpeace, il signor Marocchino è
“colpevole” di aver realizzato il porto di Eel Ma’aan per creare un’alternativa alla chiusura del porto di Mogadiscio, dovuta
al conflitto tra i “signori della guerra somali” in lotta tra loro per
l’egemonia sul territorio.
Nelle dichiarazioni degli ambientalisti rese
alla Procura di Asti e La Spezia, si legge anche che il Giancarlo Marocchino,
ufficialmente autotrasportatore in Somalia, ha seppellito montagne di silos, di
cui non si conosce il contenuto, dentro la banchina del porto di Eel Ma’aan.
Queste dichiarazioni fanno ipotizzare un coinvolgimento diretto di Marocchino
nella fine della giornalista italiana e del suo cameraman. La Commissione
d’Inchiesta sul conto di Giancarlo Marocchino ha appurato che
l’autotrasportatore si è occupato in Somalia del trasporto di rifiuti tossici e
probabilmente di armi, com’è probabile che sia stato un informatore dei servizi
segreti italiani. Per Carlo Taormina, invece, Marocchino è colui il quale si è
prodigato per i giornalisti occidentali presenti in Somalia e ha estratto
Ilaria ancora sanguinante dalla Toyota bianca dove viaggiava. Probabilmente,
c’è da aggiungere inquinando le prove … .

Traffici di morte 

La Commissione Parlamentare d’Inchiesta Ilaria Alpi, tra il 2004 e il 2006, ha
accertato che i due giornalisti stessero indagando su qualcosa di molto
pericoloso e che avessero già in mano i nomi dei colpevoli. L’avvocato Carlo
Taormina, ex Presidente della Commissione Parlamentare per l’omicidio di Ilaria
e Miran ha parlato di “accertamenti fatti su questo caso con cronometrica
precisione, grazie ad atti, fino a quel momento sconosciuti, ritrovati in uno
degli uffici della RAI. Questi atti ci hanno permesso”, ha dichiarato l’on.
Taormina, “di ricostruire in maniera minuziosa, gli ultimi movimenti di Ilaria
Alpi e di Miran Hrovatin. Ufficialmente, Ilaria Alpi è arrivata a Mogadiscio
per seguire il nostro contingente italiano, ma in realtà non è andata così:
Ilaria Alpi è partita insieme a Miran Hrovatin alla volta di Bosaso… . Gli
elementi certi sulla fine dei due giornalisti italiani, secondo Noi,
Commissione Parlamentare d’Inchiesta, non ci possono essere, perché Ilaria Alpi
e Miran Hrovatin stavano a Bosaso …”.

Dopo queste dichiarazioni viene da chiedersi: Secondo il governo italiano, anche Ilaria
e Miran, come Graziella ed Italo, , sono andati “a cercarsi i guai, sono andati
incontro alla morte?!” Sembra quasi lo stesso copione per chiudere senza troppi
sforzi un’inchiesta che apre scenari vischiosi e labirinti.

Negli appunti trovati in un taccuino di Ilaria si legge: “1400 miliardi di lire:
dov’è finita questa impressionante mole di denaro?…” e ancora: “PESCA/STRADA
BOSASO- GAROE/COLERA MUGNE  MUNYE”.

Cosa vuole ricordare Ilaria con questi appunti?

Ilaria e Miran, il 16 Marzo 1994, ripartono da Mogadiscio per Bosaso sul Golfo di Aden
(Migiurtinia, regione storica della Somalia), distante dalla capitale 1200 Km a
nord del Paese. In questa città, i due giornalisti intervistano Abdullahy Mussa
Bogor, il Sultano di Bosaso, in seguito indagato per l’omicidio di Ilaria e
Miran e poi prosciolto da ogni accusa. La conversazione con Bogor si indirizza
su una Società, proprietaria di un grosso numero di pescherecci (donati dalla
Cooperazione Italiana), che si occuperebbe anche del traffico clandestino di
armi che dai Balcani e dall’Italia, raggiungerebbe la Somalia in cambio dello
smaltimento di rifiuti tossici su tutto il territorio africano.

Ilaria Alpi per Tg3 (pochi giorni prima della sua morte): “Il porto di Bosaso è il
centro più importante delle regioni nord orientali della Somalia. Qui approdano
le navi in arrivo dalla penisola arabica…. Parlano di questo scandalo… di
questo proprietario somalo con passaporto italiano, che si chiama Muye, che
avrebbe prese queste navi, di proprietà dello Stato e le avrebbe usate per un
uso privato”. “Lui? Lui solo?!”, dice ironico il Sultano Bogor. “Lui…”, insiste
Ilaria, “ lui con altre persone … io le chiedo di spiegarmi che cosa è successo
…”. “Lui (Muye) era a capo di questa Flotta, una Internazionale che si chiama
Shifco… . Durante il Collasso ha fatto scendere tutto l’equipaggio somalo in Tanzania ed è scappato in Italia.
Parte di questa Flotta apparteneva ad una Società italiana, collusa con Muye,
il quale non era nessuno, solo un prestanome …”, dice Abdullahy Mussa Bogor.
“Sa il nome della Società?”, chiede Ilaria. “Il nome?…”, ripete Bogor, “…lo
conosci…”, sorride il Sultano. “Io no!…”, sorride Ilaria. “..Lo trovi!…
Devi guadagnarti il pane…”, dice sorridendo Abdullahy Mussa Bogor. Fuori campo
si sente la risata di Miran. “Non posso farti il nome della Società italiana…”,
aggiunge il Sultano, “queste Società hanno ovunque dei lèche…”. “Dov’è la
nave?”, insiste Ilaria, “non la possiamo vedere?”. “Come potete vederla?!”,
torna serio Bogor, guardando Ilaria dritto negli occhi, “…accontentati di
prendere informazioni e basta! Venivano da Roma, da Brescia, da Torino… dal
Regno Sabaudo in maggioranza!…”

“Secondo lei come mai”, conclude Ilaria, “l’attenzione internazionale si è concentrata
su Mogadiscio e ha dimenticato il resto della Somalia, soprattutto questa
regione (Migiurtinia)?”. “Perché i mass-media mondiali hanno bisogno degli avvenimenti
brutali e a Mogadiscio succedono le cose brutali…”, risponde il Sultano Bogor.

Secondo l’on. Taormina sulla pista battuta da Ilaria e Miran non c’era niente da
scoprire, perché in Somalia il traffico di armi “lo facevano tutti, in modo
assolutamente libero sia per armi che provenivano dall’Estero, sia per armi che
Mohamed Siad Barre (dittatore della Somalia dal 1969 al 1991) aveva in grande
numero, provenienti anche dall’Italia in perfetta legalità e che costituivano
il bottino sistematico dei signori della guerra. La cattiva cooperazione c’è
sicuramente stata fino a quando c’è stato Siad Barre”.

Se, come dice l’on. Taormina, non c’era niente da scoprire, perché uccidere i due
giornalisti italiani in un agguato così feroce?

A smentire l’avvocato Taormina, l’ex vice-Presidente della Commissione
Parlamentare d’Inchiesta su Ilaria Alpi, Raffaello De Brasi, che ha dichiarato:
“E’ chiaro che il traffico di armi fosse alla luce del sole, ma chi faceva il
traffico sia di armi sia di rifiuti (per non parlare della mala cooperazione
che è una cosa appurata) certamente lo faceva in un contesto dove non c’erano
più regole dello Stato. Quindi, paradossalmente, nulla era lecito tutto era
illecito. Se vi era qualcuno che faceva traffico di armi da altri Paesi, per esempio,
dall’Italia, questo sarebbe stato un gravissimo illecito che non aveva niente a
che vedere con il conflitto somalo!”

Luciano Scalettari, giornalista e consulente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta
per l’omicidio dei due giornalisti, ha affermato che il Sultano Bogor, ultima
persona intervistata da Ilaria Alpi, fa delle dichiarazioni “assolutamente
rivoluzionarie”. Dichiarazioni che sarebbero state preziose anche per la
risoluzione del caso sull’omicidio dei due giornalisti italiani. “L’intervista”,
prosegue Scalettari, “è durata tre ore e, quindi, è certo che alcune cassette
sono state sottratte per epurare l’intervista. Ilaria Alpi ha chiesto
insistentemente a Abdullahy Mussa Bogor del traffico di armi e del traffico di
rifiuti e del loro collegamento nello scenario della guerra civile in Somalia.
Ilaria, inoltre, ha chiesto al Sultano, di poter salire e riprendere la nave,
insistendo nel chiedere quale fosse effettivamente il carico della nave”. Il
Sultano Bogor aveva timore di nominare la Società coinvolta con i traffici
illeciti, ma fa capire la provenienza quando nomina Torino e il Regno Sabaudo…
. Nel settembre 1994, al giornalista RAI, Maurizio Torrealta, il Sultano Bogor
(che, in seguito alla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ha ritrattato le
dichiarazioni rese durante l’intervista ad Ilaria Alpi) ha dichiarato che lui
sapeva che questa Società, che ufficialmente aveva investito sul commercio
della pesca a Bosaso, svolgeva attività collaterali.

L’on. Taormina, invece, ribadisce che nell’intervista di Ilaria Alpi al Sultano
Bogor, non ci sono state rivelazioni tali da far pensare ad illeciti da parte
di questa fantomatica Società italiana, altrimenti la giornalista italiana e il
suo cameraman non sarebbero usciti vivi da Bosaso. Ilaria e Miran sono morti
quattro giorni dopo a Mogadiscio e sul fatto che siano stati uccisi da un
commando e non da semplici rapinatori non vi è alcun dubbio. Come non vi è
alcun dubbio sul perché della presenza dei due giornalisti in Somalia, visto
che sul block notes che è stato trovato nel cassetto della scrivania di Ilaria
nella redazione del Tg3 a Saxa Rubra, ci sono accenni vari sul traffico di
armi, di rifiuti tossici e c’è una pista ben precisa su Muye, sulla Shifco, sui
soldi della Cooperazione e c’è anche un accenno alla strada Garoe – Bosaso. C’è
anche un altro fatto importante: da Bosaso, Ilaria e Miran, dopo l’intervista
al Sultano Bogor, impiegarono due giorni per tornare a Mogadiscio perché
l’aereo che sarebbe dovuto partire il 18 marzo, alle 17:00 (due giorni prima
della loro morte), decollò con largo anticipo, non permettendo ai due
giornalisti di giungere a Mogadiscio lo stesso giorno. Un caso o un complotto
studiato ad arte per consentire di armare i killers di Ilaria e Miran?

“Queste sono le innumerevoli serie di ricostruzioni fantastiche nelle quali, nel corso
degli anni, si è esercitato quello che io ho chiamato il centro giornalistico di depistaggio per cercare di ricostruire intorno ad Ilaria Alpi qualcosa che non è esistito!”, conclude secco Carlo Taormina. A contraddirlo ancora una volta c’è Raffaello De Brasi: “Taormina si
è dimostrato molto ondivago da questo punto di vista. Bosaso è invece un
importantissimo crocevia del fondamentalismo islamico, all’epoca dei fatti
ancora nascente; una realtà geo-politica ed economica internazionale
importantissima. Alla fine, per avvalorare la ricostruzione dei fatti che si è
voluta creare per il caso Alpi-Hrovatin, Bosaso è uscita dallo scenario delle
indagini della relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare di
Inchiesta Ilaria Alpi!”

Una parte di quell’ingente somma di denaro (probabilmente quei 1400 miliardi di
lire menzionati nel taccuino di Ilaria) potrebbe essere servita alla
costruzione della strada Garoe –Bosaso, ermetico coperchio di containers
contenenti rifiuti tossici e nucleari, provenienti dal nord Europa e in
particolare dall’Italia e dalla Francia. Queste sostanze altamente tossiche
sarebbero state inserite all’interno dei pozzi e nei cantieri aperti per
costruire la strada. Faduma Mohammed Mamud, figlia dell’ex sindaco di
Mogadiscio, nel 1999, ha dichiarato ai Giudici della II Corte d’Assise di Roma
che Ilaria Alpi aveva le prove del traffico di rifiuti ed armi in Somalia.

Le dichiarazioni della Mamud vengono confermate dal Colonnello Franco Carlini,
comandante delle forze dell’ordine dell’ambasciata italiana a Mogadiscio. Nel
2004, il Colonnello Carlini ha dichiarato alla Commissione Parlamentare
d’Inchiesta che Ilaria Alpi, durante un’intervista gli chiese esplicitamente se
fosse a conoscenza di un traffico di rifiuti ed armi nel territorio somalo.

In sostanza Ilaria Alpi, dopo il suo incontro con Abdullahy Mussa Bogor a Bosaso,
ha solo conferme da quanto scoperto precedentemente, ossia, che in Somalia vi
erano Società internazionali e Banche che coordinavano, attraverso la
Cooperazione, la partenza e l’arrivo dei rifiuti tossici e delle armi nei porti
del Corno d’Africa (l’Etiopia, l’Eritrea e soprattutto la Somalia). Queste
Società, con il benestare delle dittature locali, depositavano i rifiuti
tossici sui territori africani in cambio di soldi ed armi. Tutte le
testimonianze raccolte dagli organi inquirenti confermano questa inquietante
pista, anche se non vi è ancora “la traccia” che conduce questi traffici
illeciti all’omicidio della Alpi.

Nei rapporti dell’ONU e dell’UNEP (United Nations Environment Programme),
quest’ultima società internazionale si occupa delle questioni ambientali del
1998-1999, sono chiaramente menzionate malattie provocate da sostanze tossiche
e nucleari riscontrate in Somalia.

All’Italia tutto questo non risulta, secondo quanto dichiarato dalla maggioranza della
Commissione Parlamentare d’Inchiesta Ilaria Alpi, probabilmente perché il
nostro Paese sarebbe coinvolto direttamente in questo enorme scandalo e nel
delitto Alpi-Hrovatin mentre risulta alle Commissioni internazionali istituite
per risolvere questo enorme problema che si è abbattuto sul Terzo Mondo. L’ONU
e L’UNEP hanno appurato, attraverso “denunce circostanziate” da parte dei
medici volontari presenti in Africa, come alcuni Stati africani fossero
diventate delle vere e proprie discariche dell’aria OCSE (Organizzazione per la
Cooperazione e per lo Sviluppo Economico), in particolare Italia e Francia. In
particolare in Somalia, nel 1998, si registravano patologie del tutto
incompatibili con quelle già presenti in Africa: ulcerazioni anomale,
sanguinamenti di vario genere, malformazioni fetali, neo natali e aborti sono
malattie compatibili con l’inquinamento chimico e nucleare.

Nel 2003, un’ulteriore conferma alla pista seguita da Ilaria Alpi viene fornita
dall’ingegnere Vittorio Brofferio, il quale, per conto della società LOFEMON
(Lodigiani-Federici-Montedil) dirigeva una parte del cantiere per i lavori di
costruzione della Garoe- Bosaso. L’ingegnere ha dichiarato di essere stato
“agganciato” da Giancarlo Marocchino, il quale si presentò per conto di alcune
Società italiane per il trasporto di materiale che doveva servire alla
costruzione della strada. Marocchino chiese a Brofferio la disponibilità di
poter occultare nelle cave del cantiere dei conteiners, il cui contenuto era
sconosciuto.

Ilaria e Graziella: due donne, due giornaliste
A questo proposito, Luciano Scalettari, ha relazionato alla Commissione d’Inchiesta del
suo viaggio dalla citta` posta al confine occidentale del Puntland, Galcaio,
fino a Bosaso, per verificare quanto detto dal’ingegner Brofferio. “Durante il
tragitto”, dice Scalettari, “abbiamo raccolto alcune testimonianze Nella prima
parte del viaggio e` stata particolarmente utile la guida di commerciante
somalo e di un capocantiere che ci hanno indicato alcuni luoghi a loro avviso
sospetti. Luoghi che nascondevano latte di metallo (20 Kg circa di peso)
contenenti sostanze liquide scadute e quindi tossico nocive. Ci hanno portato
in quello che abbiamo definito campo base,
una località in cui era presente una fossa, vicina al campo base italiano del
consorzio LOFEMON, che aveva realizzato un tratto di strada di circa 260 Km da
Garoe a Bosaso. In questo luogo, con l’utilizzo di un magnetometro, abbiamo
riscontrato la presenza di materiale ferroso. Anche nella zona di Gardo, in due
frantoi, nei quali si macinavano pietre e pietrisco, utilizzati per il fondo
stradale, abbiamo rilevato una presenza rilevante di materiale ferromagnetico.
Infine, la terza e forse più importante testimonianza l’abbiamo raccolta a
Bosaso, dove abbiamo interrogato due autisti di camion della SACES (consorzio
che ha costruito gli ultimo 160 Km della strada da Bosaso verso Garoe), che ci
hanno raccontato di aver seppellito del materiale in diverse buche, situate in
due località. Giunti in quei luoghi, abbiamo costatato che si trattavano di due
torrenti secchi per gran parte dell’anno, che si riempiono di acqua solo nella
stagione delle piogge, tra novembre e dicembre. Entrambe le testimonianze ci
hanno parlato di diverse buche (cinque o sei) di notevole dimensione e
profondità, tanto che il camion ci entrava dentro; ci hanno detto anche che il
materiale tossico da trasportare proveniva dal porto di Bosaso, da una delle
navi che portava il materiale per la costruzione della strada. La nave incriminata, quindi, portava bitume, catrame, materiale per l’asfaltatura, insieme a questo carico di fusti,
che e` stato portato, sempre secondo il loro racconto, in un magazzino nei
pressi dell’aeroporto di Bosaso. Successivamente, altri camion, molto piu`
grandi, avrebbero prelevato il materiale e lo avrebbero trasportato nei due
siti indicati, che si trovano l’uno a 90 e l’altro a 140 chilometri da Bosaso.
In seguito, i grossi camion avrebbero portato il materiale vicino ai due
frantoi e a quel punto sarebbero stati utilizzati camion più piccoli.
Immaginiamo che l’uso di camion di diverse dimensioni sia dovuto al fatto che i
siti sorgano lungo un breve tratto di pista che scende negli guadi, che sono
cosa ben diversa dalla strada asfaltata, rendendo più complicato agli automezzi
la discesa. I camion più piccoli, secondo il racconto dei testimoni, avrebbero
portato il materiale a dimora e lo avrebbero scaricato, alzando il pianale. I
testimoni hanno indicato il periodo preciso dell’anno nel quale avrebbero
effettuato l’operazione: tra dicembre 1987 e gennaio 1988. Sappiamo che la
strada era in costruzione tra il 1986 e il 1989, dunque l’indicazione del
periodo e` attendibile.

“Questo e` lo scenario virulento”, dice la relazione della Commissione d’Inchiesta, “che ebbe dinanzi Ilaria Alpi quando si recò in Somalia, nel marzo 1994, all’epoca
dell’operazione Restor Hope”.

Durante i lavori della Commissione d’Inchiesta per accertare il movente e la dinamica
dell’omicidio Alpi- Hrovatin, Luciano Scalettari, insieme a Barbara Carazzolo,
si sono dimessi da consulenti della Commissione, perché incompatibili con
l’operato della Commissione stessa. L’onorevole Bulgarelli, invece, si è
autosospeso perché in contrasto con l’on. Taormina. “L’onorevole Taormina prese
una decisione arbitraria senza consultare il resto della Commissione
d’Inchiesta”, riferisce l’on. Bulgarelli, “Ordinò alle forze dell’ordine di
perquisire l’abitazione e il posto di lavoro del giornalista Maurizio
Torrealta, colui il quale intervistò Abdullahy Mussa Bogor, dopo l’omicidio di
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Torrealta era stato ascoltato diverse volte dalla
Commissione d’Inchiesta, dimostrandosi sempre molto disponibile. Ho ritenuto le
perquisizioni al giornalista Torrealta una prevaricazione, un episodio
inaccettabile, che va oltre i compiti della Commissione d’Inchiesta. Sono più
che convinto che se il Presidente Taormina avesse avuto bisogno di qualche
altra delucidazione da Torrealta, questi gli avrebbe fornito ogni informazione
senza bisogno di avere casa ed ufficio a soqquadro!”

Dopo quasi diciotto anni, sul perché della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si
possono solo fare ipotesi senza sapere chi sono i mandanti, chi sono gli
assassini materiali e del nesso tra la loro morte e il traffico di rifiuti e di
armi.

Ilaria e Graziella: due donne, due giornaliste

Graziella De Palo

Il destino di Graziella ed Italo è stato probabilmente segnato dalla mano di Nemer Hammad, ex rappresentante dell’Olp in Italia, prima ancora della loro partenza per Beirut. E’ stato Hammad, amico del Col. Giovannone ad occuparsi del viaggio senza ritorno dei due giornalisti italiani, garantendo loro la protezione dell’Olp a Beirut. Come ha ricordato Giancarlo De Palo, fratello della
giornalista scomparsa, dopo l’incontro con Nemer Hammad, Graziella, guardando il suo passaporto scritto in arabo e costatando come fosse incomprensibile disse: “per quanto mi riguarda potrebbe anche esserci scritto: Fateli fuori appena li vedete!…”. Giancarlo De Palo ha più volte ribadito che Graziella era conscia di andare
incontro alla morte e la frase: Fateli fuori appena li vedete era riferita proprio a questo rischio a cui lei ed Italo andavano incontro.

I due giornalisti italiani avevano le prove che, proprio nella capitale libanese,
partissero armi da destinarsi all’Italia e che questo traffico fosse diretto
dall’Olp, attraverso il canale della sede italiana.

Il 29 settembre 1980, la scomparsa della giornalista italiana e del suo collega
Italo Toni, diventò ufficiale. Alle famiglie non rimase che l’attesa.

Avvengono diversi incontri tra il Col. Giovannone e Giancarlo De Palo. Ad ogni colloquio il Colonnello ha ribadito il suo totale impegno per far rilasciare Graziella. In cambio della collaborazione del SISMI, Giovannone consigliò la famiglia De Palo di non rilasciare interviste ai giornalisti. La cosa sarebbe dovuta passare sotto silenzio, per evitare, a
detta del Colonnello, ripercussioni fatali per Graziella ed Italo. A che cosa
alludesse realmente il Col. Giovannone non è dato saperlo. Certo è che
l’impegno del SISMI per la liberazione dei due giornalisti italiani, risultò
essere una minaccia per la famiglia De Palo e un requiem per Graziella ed
Italo.

Ciò che disse il Col. Giovannone a Giancarlo De
Palo furono tutte menzogne provate con l’inchiesta Armati. Probabilmente fu lo
stesso Colonnello a “sensibilizzare” il Fronte popolare per
la liberazione palestinese affinché Graziella ed Italo fossero prelevati da due uomini a bordo di una jeep.

Ilaria e Graziella: due donne, due giornaliste

Graziella De Palo e Italo Toni

Il “gioco perverso” dei depistaggi, secondo la
famiglia De Palo era cominciato da tempo. Il primo è stato messo in atto pochi giorni dopo la sparizione di mia sorella ed Italo, ha dichiarato Giancarlo De Palo in un’intervista a Narcomafie nel 2010, quando il portiere
del Triumph, l’albergo dove alloggiavano Graziella ed Italo, dichiarò che erano
partiti per Baghdad per realizzare un reportage sulla guerra scoppiata in quei
giorni tra Iran ed Iraq. I primi giorni del mese di ottobre, si diffuse la voce che mia sorella ed Italo erano morti
… ma non si seppe come, non si seppe quando né perché Graziella ed Italo furono assassinati.

Anche Yasser Arafat (capo storico di Al-Fatah, Nobel per la Pace nel 1994 e Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel 1999) ebbe un ruolo determinante nella sparizione e probabilmente anche nell’uccisione dei due giornalisti italiani. L’ex capo dell’Olp confermò quanto detto dalla Farnesina alla famiglia De Palo. Incontrammo Arafat in Libano, nel febbraio 1981, ha ricordato Giancarlo De Palo in un’intervista, dopo
che il Ministero degli Esteri, ci disse che mia sorella era in mano ai
Falangisti cristiani a Beirut est. Immediatamente capì che Graziella era stata
uccisa dall’Olp lo stesso giorno in cui era stata rapita perché sapevo che
non avrebbe mai potuto varcare quel confine non avendo il visto libanese. Ancora oggi la versione rilasciata dal Governo Italiano e dall’Olp di Arafat è quella ufficiale ma a smentirla sono le contraddizioni e le menzogne di Nemer Hammad e del Colonnello Giovannone.

Dopo pochi mesi, Graziella, proveniente dal Cairo, era stata “avvistata” in Libano
per intervistare Bashir Gemayel, presidente della Repubblica Libanese. In
realtà si trattava della giornalista Edera Corrà, che si  mise spontaneamente in contatto con la famiglia De Palo per fornire presunte informazioni su Graziella. Ci ha detto di avere avuto notizie di mia sorella e Italo grazie all’aiuto dei massoni libanesi, ha dichiarato
Giancarlo De Palo, Graziella ed Italo, il 2 settembre 1980, hanno attraversato la “linea verde”, sono entrati all’Hotel Montemar di Beirut e sono scomparsi… . E’ da chiedersi: come possono essere sparite due persone in un albergo affollato?! La Corrà venne informata di due cadaveri non identificati all’obitorio dell’ospedale americano di Beirut ma il generale Santovito, ex capo del SISMI, ha smentito che si trattassero di
Graziella ed Italo. A distanza di 31 anni, Giancarlo De Palo è convinto che i
corpi dell’obitorio dell’ospedale americano di Beirut fossero proprio quelli di
Graziella ed Italo. Questi cadaveri, ha detto Giancarlo De Palo, avevano i
passaporti sull’addome e Santovito, che si recò a Beirut per fare
l’identificazione, escluse che fossero i corpi di mia sorella e di Italo Toni
per continuare i depistaggi. Da parte del governo italiano ci fu impedito il
riconoscimento dei corpi dell’obitorio e di partire per Beirut.

Nel 1982, ha dato la sua versione dei fatti anche l’ex terrorista neofascista, Elio
Ciolini, “depistatore professionista”, così lo definisce Giancarlo De Palo.
Ciolini, interrogato, ha raccontato una verità che, se non riguardasse la
scomparsa di due persone, sarebbe da considerarsi una barzelletta tragico
comica. La dichiarazione del Ciolini fu la seguente: Il giorno della scomparsa, Graziella De Palo ed Italo Toni hanno involontariamente aperto una porta della sede dell’Olp a Beirut, trovandovi un ministro italiano, un neofascista, un dirigente della OTO Melara (azienda attiva nel campo della difesa) e i leader palestinesi. Essendo diventati
testimoni scomodi, sono stati fatti sparire dai palestinesi.

Nel 1985, le forze dell’ordine dell’ambasciata italiana a Beirut hanno sequestrato
gli effetti personali dei due giornalisti italiani al Triumph.

Il Colonnello Giovannone, ex responsabile del SISMI in Libano è morto il 18 luglio 1985, portando con sé la Verità su Graziella ed Italo. Mancavano appunti e documenti, ha dichiarato sconcertato Giancarlo De Palo, l’agenda di Graziella era stato epurata
completamente! La pagina con i nomi di personaggi legati al traffico di armi di
cui si occupavano mia sorella ed Italo era in parte strappato. Il resto
dell’agenda di Graziella,
ha aggiunto Giancarlo De Palo, racconta di
dieci giorni di viaggi in campi palestinesi e visite in fabbriche di armi… .
Mancava anche la macchina fotografica di Italo e la camera, dove alloggiavano,
ci hanno detto gli inquirenti, era piena di scarpe da donna che non
appartenevano a Graziella!

Nel processo per accertare la verità sulle sorti
dei due giornalisti italiani è stato condannato l’ex maresciallo dei
carabinieri, Damiano Balestra, ufficialmente in servizio in uno degli uffici
dell’ambasciata a Beirut, probabilmente confidente del SISMI. Il capo d’accusa
su Balestra e di “rivelazione di segreto di Stato”, avendo passato al
Colonnello Giovannone i telegrammi con notizie riservate sulla sorte di
Graziella ed Italo inviati all’ambasciatore italiano Stafano d’Andrea. Il
maresciallo Balestra, insieme a Nemer Hammad, è rimasto l’unico depositario
della verità sulla scomparsa dei due giornalisti italiani.

Durante le indagini sulla scomparsa di Graziella
De Palo ed Italo Toni, i familiari dei due giornalisti perdono le tracce
dell’ambasciatore d’Andrea, il quale aveva dichiarato di avere i nomi dei
mandanti dell’uccisione di Graziella e di Italo e di avere anche quelli di chi
li ha prelevati dall’albergo Triumph. “L’ex ambasciatore italiano a Beirut
risiede in una località top secret e per i familiari è impossibile
comunicare con lui”, afferma Giancarlo De Palo, “Le dichiarazioni rese
dall’ambasciatore d’Andrea hanno lasciato noi familiari come sospesi nel vuoto
e sempre più convinti che l’ordine di sequestro sia partito da Roma, prima
ancora della partenza di Graziella ed Italo per Beirut” .

Durante il processo per la sparizione dei due giornalisti, oltre al Colonnello Giovannone, morirono il Generale Santovito e Edera Corrà ed Elio Ciolini. E’ morto anche il padre di Graziella De Palo, che all’Arma dei Carabinieri aveva dato gli anni più belli della sua vita, giurando su una Repubblica, quella italiana, che ha permesso che sua figlia fosse
inghiottita dentro un buco nero di intrighi e depistaggi creati ad arte proprio
da alcuni ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, che hanno leso e hanno offeso il
lavoro di tanti loro colleghi onesti.

Renata Capotorti, madre di Graziella e Giancarlo
De Palo, hanno recentemente vinto il ricorso al TAR per la desecretazione dei
documenti del DIS (ex SISMI) che riguardano la scomparsa dei due giornalisti
(unico caso incluso nella Legge Prodi del 2007). La richiesta presentata dalla
famiglia De Palo al Presidenza del Consiglio nel 2010 era stata rigettata,
confermando la decisione di Bettino Craxi (Presidente del Consiglio nel 1985)
che aveva “tutelato” gli organi investigativi per evitare “gravi incidenti
diplomatici”. Graziella non risulta nell’elenco dei giornalisti uccisi
all’estero
, ha denunciato Giancarlo De Palo, non risulta in Reporters Sans Frontiers né in
Memorial di Washington e Amnesty International perché ufficialmente non sono
mai stati riconosciuti come giornalisti rapiti!

In tutti questi anni, chi avrebbe dovuto riportare Graziella ed Italo a casa ha
voluto fare credere alle famiglie degli scomparsi che, il 2 settembre 1980, i
due giornalisti italiani si siano dissolti in una notte lunga 31 anni

P.S.: Ringrazio Giancarlo De Palo per la collaborazione e per le correzioni fattemi nel primo articolo che ho scritto su Graziella De Palo ed Italo Toni. Spero che anche questo mio scritto dia merito a Graziella e che sia l’inizio di una lunga serie per non dimenticare Graziella ed Italo.

 

 


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