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Immagine, abbigliamento e comunicazione non verbale

Da Susanna Murray

Immagine, abbigliamento e comunicazione non verbale

da Il diavolo veste Prada  (2006 ) di David Frankel


Tutti comunichiamo.
E' impossibile non comunicare.
Sì, avete capito bene: potreste stare in silenzio con aria dimessa e indossare abiti anonimi, eppure che lo vogliate o no, il vostro comportamento comunica qualcosa agli altri.
Lo diceva già Paul Watzlawick, psicologo, che nel suo libro "Pragmatica della comunicazione umana", sosteneva secondo il primo assioma della teoria della comunicazione umana, che è impossibile non comunicare o non assumere un comportamento di qualsiasi genere.
In sintesi nessuno può sottrarsi alla comunicazione con gli altri.
Se è vero, quindi, che quando parliamo, comunichiamo un messaggio attraverso parole e concetti, indubbiamente il nostro corpo accompagna e arricchisce il messaggio delle parole.
Il corpo può rafforzare un messaggio o potrebbe disconfermarlo.
Per esempio, ad un colloquio di lavoro potremmo assumere una postura e una gestione del nostro spazio corporeo ( la cinesfera), che indica sicurezza e controllo della situazione, per confermare che è proprio vero che saremmo adatti per quel posto e sappiamo il fatto nostro.
Oppure, nella stessa situazione, la paura e l'insicurezza potrebbero tirarci un brutto scherzo e portarci a dire di essere competenti ed avere esperienza, ma nel frattempo tradire il senso di autorevolezza, con comunicazioni corporee che trasmettono incertezza e paura di esporsi, di "farsi vedere".
La nostra immagine corporea quanto conta nella comunicazione di chi siamo e chi vorremmo essere?
Ed è possibile che queste due rappresentazioni ( cioè: ciò che siamo dentro e ciò che emerge fuori) possano combaciare e riuscire perciò a trasmettere all'esterno dei messaggi più coerenti riguardo la nostra identità agli altri? Ma soprattutto più autentica?
Certo, perché io non credo sia possibile "fingere" di essere sicuri di sé, indossando un abito di un certo tipo o imparando a tenere una postura che dovrebbe trasmettere sicurezza.
In entrambi i casi una certa artificiosità e l'atteggiamento di controllo, minerebbero l'autenticità del messaggio che si vuole comunicare.
L'abbigliamento comunica su vari livelli: da informazioni su chi siamo, sul genere di interessi che abbiamo; può comunicare le nostre intenzioni o parti di noi (per esempio presentarsi ad un primo appuntamento vestiti con una tuta da ginnastica piuttosto che con una minigonna cortissima, dice di noi molte cose sul valore che diamo a quell'incontro); interagisce con gli altri e attraverso il cambiamento dell'abbigliamento si può trasformare il messaggio e la reazione degli altri ( si pensi al colloquio di lavoro in cui indossiamo un elegante tailleur per comunicare: "io sono professionale").
Ma se è vero che possiamo controllare il nostro abbigliamento, per controllare il messaggio che vogliamo che gli altri ricevano dalla nostra immagine, è pur vero che l'unica strada per trasmettere sicurezza e autostima, è fare in modo che il messaggio sia autentico e non studiato a tavolino e artefatto.
Quindi torno alla mia domanda:  è possibile che queste due rappresentazioni ( cioè: ciò che siamo dentro e ciò che emerge fuori) possano combaciare e riuscire perciò a trasmettere all'esterno dei messaggi più coerenti riguardo la nostra identità agli altri?
Sì.
Basterebbe fare un passo indietro: osservare il nostro corpo, la nostra postura, come ci muoviamo nello spazio, come camminiamo, sbirciare nel nostro guardaroba, osservare l'abbigliamento che utilizziamo più frequentemente e chiedersi: mi rappresenta? Mi soddisfa? Sono io? E in caso negativo: allora chi sono io? Perché emerge di me un'immagine che non sento mia, che non mi piace?
Lavoro spesso su questo punto: scopriamo attraverso il movimento del nostro corpo, l'abbigliamento , i colori che scegliamo, quali parti di noi non ci piacciono e non conosciamo di noi e vediamo di trovare una mediazione.
Iniziamo a guardarci allo specchio, nelle foto, e chiediamoci cosa dice la nostra immagine  e come invece la percepiamo noi dall'interno.
E' un piccolo passo per cominciare a fare pace con il nostro corpo e la nostra immagine corporea.

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