Magazine Blog

Imperfetto sublime. Conversazione con Cristina Annino

Da Fabry2010

Imperfetto sublime. Conversazione con Cristina Annino
(La corrida)


Imperfetto sublime.
Conversazione con Cristina Annino.

Di Nadia Agustoni

La poesia e internet, la casualità e la simpatia hanno portato a un incontro con la personalità unica del poeta Cristina Annino, voce di una forza rara e di un originalità che non smette di stupirmi. Uno scambio intenso di e-mail e un parlare aperto, pur a distanza, hanno poi avuto l’esito di alcune conversazioni nella sua bella casa romana. La semplicità della persona mi ha doppiamente impressionato. Temo da sempre gli incontri viso a viso, con autori amati, perché di solito deludono. Non è stato questo il caso, perché Annino è quel che è, nella parola come nella vita. Diretta, semplice e mai banale, mai arresa a un cedere dei discorsi quando potrebbero inclinare a frasi fatte o a luoghi comuni. I pochi giorni romani hanno intensificato le mie precedenti impressioni e il nostro discorrere è proseguito. Questa intervista-conversazione è stata l’occasione per approfondire alcune tematiche di cui abbiamo più volte discusso. Una nota dedico ai suoi quadri, che abitano/sono la sua casa: segni di un’alterità speciale che è predilezione per le lezioni del bello; bellezza intesa come un aperto sul mondo e la vita vissuta e il segreto stesso che ogni cosa contiene. La pittura di Annino mi ha subito fatto pensare a Frida Kahlo, per la forza che sprigiona, per quello sconfinare nell’extra-umano che è cosmico, come sapeva un’altra presenza importante quale è stata Cristina Campo. In Annino il tragico si fa erranza sul confine tra il mondo dei vivi e dei morti. I suoi affetti rivivono, ma in verità non sono mai andati via, nelle sue parole e nelle sue tele. Il discorso che ha tessuto e su cui torna, con parole e colori, è la sua coerenza di autore importante. Importante per noi, di un’altra generazione, che ne cogliamo la profondità e impariamo nella solitudine dei nostri incerti anni – ormai decenni – il valore del lavoro sulla parola e la fiducia nel sacro che ogni suono contiene, se si è saputo attendere e ascoltare. Questo lavoro è nato prima che venisse assegnato all’autrice il premio Lorenzo Montano opera edita 2010 ( ex-equo con Alessandro Ghignoli) per “Magnificat”, ma dà ai lettori modo di cogliere alcuni aspetti del pensiero di Annino, la sua vitalità e il suo sguardo sul mondo.

1) In questi ultimi anni sei stata presente in vari blog e sei diventata un punto di riferimento per diversi autori. A parte questo, qual è il tuo giudizio su internet?

Per la prima parte della domanda: sono molto orgogliosa se, come dici tu, il mio lavoro può costituire un punto di riferimento per altri autori, magari giovani;del resto certi blog sono le uniche stanze che frequento con estremo interesse.
Pensando al binomio cartaceo-web, mentre il primo tende alla selettività (nei tempi lunghi), è ancora da vedere quanto il secondo sia interessato a farlo. Al di là di qualsiasi risposta scientificamente corretta, considero internet nel suo complesso come l’ultimo mito dell’uomo in senso laico. L’essere umano ha da sempre a disposizione due mondi: uno reale interpretabile a suo modo, l’altro, che per alcuni può esistere solo dopo la morte. Con internet si è realizzato, diciamo, il concetto di un secondo mondo terreno. Lo vedo come un concetto, appunto, che amplia a dismisura le capacità umane. E’ come una specie di astrazione che gira, grazie al meccanismo della mente collettiva, sopra l’altra astrazione ugualmente collettiva: intelligenza della memoria, alterandone il concetto di spazio- tempo. Ma è sempre la durata, la spina nel fianco dell’individuo. E non saprei se infinito valga la dimensione, estremamente diversa, di durata. Ho sentito che alcuni considerano internet come lo specchio della realtà stessa in cui viviamo, io non direi. A meno di non pensare alla schizofrenia. Ecco, la schizofrenia intellettualmente sconfigge l’individuo morale. Insomma la disgregazione del macrocosmo portata ai limiti estremi e ambigui di un work in progress. In questo, sì.

2) Puoi dirmi come vedi la poesia in internet? Che idea te ne sei fatta?

Internet, oltre ad essere per me ciò che ho detto, o forse per questo, permette a ogni tipo di creatività di essere più creativa. Mi spiego. Poniamo una poesia tramandata oralmente. Questa può possibilmente migliorare nei vari passaggi di memoria tra un individuo e l’altro, ognuno dei quali possiede un proprio dato di percezione o esperienza creativa.
La poesia in internet usufruisce di tale involontario arricchimento. Ciò che viene esposto nella bolla di questo concetto, si insinua nella mente adiacente dell’individuo, appagandola e costituendo, anche involontariamente, in alcuni casi , una correzione, un leggero calco, diciamo. Che ovviamente non significa miglioramento reale.

3) La tua poesia è conosciuta e letta, nonostante manchi ancora un’edizione delle opere completa – come hanno altri autori – e di questo si sente la mancanza, ma attualmente com’è il tuo rapporto con l’editoria, mi pare di capire che sei fuori dal coro di chi si lamenta e tendi a vedere le cose in modo più complesso, come poi sono.

Sì, non è stata pubblicata nella sua interezza, ma solo in una antologia e con molta cura da Puntoacapo Editore. E senz’altro è già molto, anche se certo resta il desiderio di vederla edita interamente. Del resto la mia produzione è visibile, per chi vuol vederla.

4) L’ambiente che frequentavi in Spagna mi sembra non fosse solo di artisti. Hai accennato a volte a gente molto povera, a lavori precari. Anni vissuti pericolosamente.

Penso che la poesia, di ognuno di noi, possa venir fuori solo da un contrasto, un’opposizione genericamente definibili come malessere. La necessità di scrivere è un sintomo o parte comunque da un sintomo. Non nasce dalla salute, né dalla gioia completa, le quali possono dar vita a ben altri prodotti anche culturali, ma non creativi. La poesia è una specie di intestino: ricicla ciò che la persona mangia. A mio avviso dunque avremo un certo tipo di poesia per chi si nutre di altra poesia, una differente che invece si nutre di persone e fatti. Per me è stimolante ogni situazione che si ritenga “imperfetta”, cioè l’incontro con difetti fisici, morali, ambienti sociali non proprio felici, ecc. A parte quest’aspetto tecnico che va senz’altro considerato nelle mie scelte amicali, io ho amato ad amo sinceramente persone sulle quali ho scritto in poesia e prosa dimostrando sempre il profondo legame di stima che permetteva la loro immissione dentro il mio mondo psicologico o di ricordo. Ho sempre amato ciò di cui ho scritto.

5) Scrivi una prosa durissima. In poesia non concedi nulla al sentimentalismo, in narrativa mi pare tu riesca ad essere ancora più affilata. O sbaglio?

Ho sempre affermato di essere ciò che mi accade, e da allora ho rifiutato di considerare come determinanti accadimenti che non rispondessero a un mio desiderio reattivo. Nel senso che tutto, può avvenire intorno a te, ma il cuore, il cervello o chissà cosa pone al centro della tua curiosità o commozione, solo certi fatti e non altri. Sono dunque quelli che accadono. Il fatto è che mentre la poesia ha la facoltà di “complicare”, poniamo, ogni avvenimento, la prosa ha il dovere di semplificarlo (per prosa non intendo quella poetica). Le stesse occasioni, gli stessi personaggi si trovano nei due spostamenti che faccio : dal reale al mio mitico. Solo che avvengono con strumenti o metodologie appunto diverse.
L’”affilato” cui alludi, non è altro che voglia di capire, la “durezza” è una forma di amare cose e persone e persino case e nazioni, con una indubbia fame di diversità. Quasi per assumerla, questa, dentro di me. Tutto ciò non può psicologicamente avvenire in maniera tranquilla. A meno – ripeto – che non si descriva restando fuori dalle nostre stesse parole.

6) Lo spunto per i tuoi racconti da dove viene?

Da ciò che mi accade. Come ho già detto.

7) Tu perché scrivi? Dici che la poesia non è importante: “una malattia” ; ma ci metti lavoro, cura, segui i post ad esempio ed entri anche in polemica se dicono qualcosa che non ti va bene. Scrivi recensioni… In cosa allora non è importante la poesia?

Quando ammetto che non sia importante lo dico in termini generali. Tutto ciò che può soddisfare solo il proprio ego, mi sembra socialmente inutile. Senza alcuna pretesa di originalità posso affermare che scrivo perché è stata la prima affermazione della mia coscienza del mondo. Non ho voluto scrivere, quindi non può essere una virtù, e se c’è stata costanza lo devo a mia madre. Per me, scrivere, poteva cadere per via come la scoperta personale dell’acqua.
Per ciò non saprei dire se l’ami o no, credo che comunque sia importante non innamorarsi del proprio lavoro, mantenendo una costante autocritica e una possibilmente chiara valutazione del mondo.

8) L’avanguardia – facevi parte del Gruppo 70 -, che hai costeggiato senza adesione, ma con grande amicizia per alcune persone, come la vedi a ritroso?

Eugenio Miccini, dopo aver letto alcune poesie mie cercò di coinvolgermi nel movimento artistico di quegli anni, il Gruppo 70. Insieme a Lamberto Pignotti, Antonio Bueno, Beppe Chiari ed altri egli rivendicava per la Poesia Visiva una sorta di “neovolgare” prodotto dai mass media e dall’industria culturale negli anni del boom economico. Dopo il paroliberismo futurista di cinquant’anni prima, la poesia italiana (e conseguente i movimenti paralleli o di filiazione sorti poi in molte parti di Europa), si apriva nuovamente alla dimensione visiva, sfruttando l’empatia tra parola e immagine, in un’inscindibile unità formale.
Ho pubblicato nel ‘69 con Tèchne, la “casa editrice” corsara di Eugenio Miccini il libretto Non me lo dire, non posso crederci, che allora si definiva tecnologico. Oltre a questo non ho mai accettato di far parte del Gruppo, né ho condiviso le loro idee, mi sono limitata a seguire, in varie località italiane ed estere, le loro performance viaggiando eventualmente con i vari membri della neoavanguardia oppure da sola in Spagna, Italia, Francia, leggendo poesie da essi definite “lineari”. A parte l’amicizia grandissima che da allora si stabilì con Eugenio, io avevo già la mia visione chiara sulla poesia. E cioè che neppure le avanguardie storiche avessero generato grande poesia ( se letta indipendentemente dalla sua novità concettuale ) per il semplice fatto che ogni possibile avanguardismo deve già essere nel “bagaglio” creativo del poeta, quando questi è autentico. La tecnica del Gruppo 70, apparentemente innovativa, riciclava, in effetti e da ultimo, semplicemente il feticcio del mercato che inizialmente combatteva. Quindi la novità, da ultimo, si esauriva nel metodo. Inoltre da sempre penso che il poeta abbia inevitabilmente un unico compito: scontrarsi costantemente, e soltanto con la parola.
Ciò non toglie che abbia apprezzato idee assolutamente distanti dalle mie, riconoscendo loro il nuovo respiro dato alla poesia sopratutto toscana, liberata così dal comandamento ermetico. Che poi il Gruppo 70 sia stato ben altro da quel che mi ha impedito di aderirvi, e abbia avuto e abbia tuttora l’importanza storica e artistica relativa a svariati ambiti artistici lo dimostrano studi altamente competenti.

9) Una delle ferite per chi scrive in questo presente, è il non avere punti di riferimento (anche se poi molti li hanno, fanno gruppo ecc.); è molto sentita la mancanza di maestri. Tu hai sempre affermato di non avere avuto maestri.

No, ed è stato inevitabile, dato il tipo di ambiente in cui sono nata, data l’età ecc. Su questo mi sembra inutile ripetermi. Non li ho avuti in seguito, perché non era più il momento; quando ho conosciuto un vero poeta, già io ero una “vecchia” poetessa.
La cartina di tornasole per verificare se si ha o no bisogno di “maestri”, è questa: se nessuno, in assoluto, per quanto grande sia, ti mette in soggezione, vuol dire che potresti anche combatterlo e vincerlo, in un paradossale incontro di boxe. E io non ho mai conosciuto nessuno che mi facesse sentire correggibile. Differente sì ma mai correggibile.

10) Hai detto che non leggi più. Il cinema, il teatro, la musica… Cosa ti interessa d’altro?

Ogni affermazione è sempre approssimativa, in questo caso per difetto e comunque mi riferivo a letture poetiche.
Tuttavia leggo e con attenzione testi di altri poeti allorché ne devo scrivere.
Mi aiuta invece ascoltare, vedere. Musica (classica soprattutto), cinema d’azione, persino gli spot televisivi, mi interessano o le partite di calcio. Ciò da cui tenermi distante o che possa suggerirmi qualcosa per analogia. Discorsi della gente, libri di matematica, scienza, geografia, documentari sugli animali. Penso che la selezione si faccia sull’abbondanza e non sulla qualità che deve essere affar tuo. Perciò ben venga tutto quel che non è ancora trasformato dalla cultura diciamo ufficiale, ma è ancora vita viva, l’unico continente del resto che ci appartenga per intero. Ma la poesia, no, sarebbe come cercare ostriche in un pozzo.

11) Un libro che ti ha fatto capire qualcosa di fondamentale c’è?

Sì, negli anni dell’adolescenza. I romanzi di Richard Wright sulla condizione dei negri in America. Mi hanno scombussolato, rivoltato le bucce fino a farmi approdare ad un gigantesco senso di antirazzismo. Quando un concetto si afferma nella mente di un giovanissimo vi resterà per sempre. Infatti non potrò più modificare questo benessere che provo al contatto della diversità di ogni tipo, giacché nel frattempo, non solo si sono moltiplicate le diversità, ma il concetto stesso di disuguaglianza. Posso dire dunque che Richard Wright, al di là del valore letterario dei suoi libri, ha per me un significato enorme.

12) In pittura come nella poesia la presenza degli animali, quasi magici su quelle tele, come dei totem; Ma quel che voglio chiederti è come vedi/senti il dolore animale? Gli animali sono innocenti,ma li facciamo soffrire tantissimo. Vuoi dire qualcosa su questo?

Credo che gli antenati dell’uomo siano le varie specie animali. Poi queste non si sono evolute quanto noi per restare nella sfera del sacro. Il sacro non ha evoluzione, infatti.
Le bestie – preferisco chiamarle così – mi popolano, mi rendono il mondo sopportabile, l’essere umano quasi compatibile. Se mi metto in sintonia con loro, esse mi trasmettono saggezza, sapienza, pazienza, bellezza. Mai ho trattato un animale come un essere “da compagnia”, ma col rispetto che si deve a chi più sa di me e, in molti casi, può proteggermi. Perciò ogni offesa in termine di dolore provocato dall’individuo alla bestia, mi sembra il più grande atto blasfemo che si possa commettere.

13) Come stanno insieme pittura e poesia?

Come due gambe di uno stesso corpo. Lo strano è che avendo cominciato a comporre poesia nella preadolescenza, ne vien fuori la mia parte diciamo maschile (e non certo o soltanto per l’io poetico), nella pittura che mi è arrivata tardivamente, si avverte invece l’ ego femminile.
Io credo che dopo tanta implosione che si porta dentro l’espressione poetica, è arrivata come una sanatoria, l’espressione estroflessa e più sociale della comunicazione pittorica. Ma sono due facce della stessa medaglia.

14) Cos’è per te il sacro?

Come la poesia. Sacro è tutto ciò che decidiamo essere sacro.

15) La dimensione della speranza nei nostri tempi specialmente… personalmente sono contraria perché trovo sia restrittiva e induca a un’attesa che non porta a nulla. Ma cosa potrebbe servirci al posto della speranza per affrontare i trabocchetti del mondo di oggi?

Fiducia in se stessi e nelle persone che amiamo. Tutto il resto può essere abbaglio.

Nota: Le poesie di Cristina Annino da “Magnificat” e da altre raccolte sono leggibili in diversi siti. Alcuni link Qui , Qui e Qui.
Inoltre sul suo sito sono disponibili biografia e notizie.
Altre note critiche e poesie al sito blanc de ta nuque.

Imperfetto sublime. Conversazione con Cristina Annino

Imperfetto sublime. Conversazione con Cristina Annino



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines