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In famiglia – Hector Malot

Creato il 23 ottobre 2014 da Povna @povna

Per questo venerdì la ‘povna aveva, a dire il vero, altri programmi. Un post (lo consiglia) di Iome, le ha spinte tuttavia a fare una pubblicazione congiunta, e a parlare di due romanzi molto belli e (in Italia) immeritatamente poco celebri (almeno nella versione letteraria – altra cosa è l’adattamento anime all’interno del progetto World Masterpiece Theater), cioè, rispettivamente, Senza famiglia (1878) e In famiglia (1893) di Hector Malot. Se Iome parlerà (in parte lo ha già fatto) di Senza famiglia,, la ‘povna si è presa in carico di introdurre un po’ il secondo romanzo – anche se per la verità entrambi i titoli si adattano a entrambi i testi, così come l’attitudine a parlare della famiglia in maniera assai disinvolta e assai moderna di Malot. La storia, in sintesi, è questa: protagonista è una ragazzina, Perrine (in italiano: Pierina; la traduzione dell’anime in Peline Story in questo modo acquista un altro sapore e fa sorridere, con ciò ricordandoci che talvolta i luoghi comuni esistono per una ragione affidabile), che intraprende un lungo viaggio dall’India fino in Francia per ricongiungersi (appunto) a ciò che resta della famiglia del padre, ricco rampollo di Vulfran Pandavoine, proprietario di una ferriera tessile, che ha però rotto i rapporti col figlio (pur prediletto) nel momento in cui lui ha scelto (secondo tutti gli stereotipi del romanzo di formazione ottocentesco) tra l’amore e la consacrazione borghese della famiglia e ha sposato, contro la volontà paterna, la giovane Marie, di origine anglo-indiana. Tutto questo, come in ogni bildungsroman per giovani (se alla ricca borghesia industriale francese si sostituisce la nobiltà antica di Inghilterra, la storia è quella di Frances Hogdson Burnett e del suo Piccolo Lord, del resto, che fa qualche anno prima da prototipo), è confinato praticamente tutto nell’antefatto del romanzo. Che si apre, viceversa, con l’arrivo a Parigi di Perrine e della madre morente (il babbo ha già dato prima della prima pagina); poi la madre come da copione muore, e Perrine dovrà cavarsela da sola per, nell’ordine, arrivare nel paese del nonno, farsi benvolere con le sue sole forze e, così facendo, distruggere i suoi pregiudizi (costruiti rigorosamente in absentia) contro la nipote. Il percorso di ritorno “in famiglia” è dunque per Perrine assai più reale che metaforico, e passa attraverso la decisione (e qui la trama si discosta dal quella di Cedric Errol) di nascondere la sua vera identità, il suo nome, tutto quanto, per arrivare diretta al cuore del nonno (che, nel periodo trascorso senza figlio, è diventato cieco; quello di Cedric, il conte di Dorincourt, aveva la gotta: una cosa vale l’altra) attraverso i suoi soli meriti da piccola self made woman. Perrine si fa assumere nella fabbrica, diventa prima una brava operaia, e poi man mano inizia la sua scalata lavorativo-sociale che è anche affettivo-emotiva, parallelamente. In mezzo Malot (che già si era dilettato, in Sans Famille, di vita all’aria aperta) trova il modo di celebrare – mentre dall’altro lato riflette sulla rivoluzione industriale, e sui cambiamenti, non necessariamente solo positivi, imposti alla società dalla vita della fabbrica (lo aveva fatto con la vita in miniera in Senza famiglia – anticipando un tema, quello della miniera, che Zola renderà capolavoro, nello stesso periodo) – il ritorno a una vita di natura (quella pratica da Perrine per risparmiare, mentre è operaia in fabbrica) che si contrappone all’esistenza malsana degli slums intorno alla fabbrica. E poi arrivano, prevedibili (ma non scontati, e narrativamente densi), agnizioni e lieto fine.
Complessivamente, si tratta – così come il suo pendant di qualche anno prima – di un ottimo romanzo: consapevole, ben costruito, ben scritto. Come in tanta letteratura giovanile, l’intento è (anche) dichiaratamente didascalico (con Senza famiglia l’autore aveva vinto un premio nazionale per far conoscere la geografia agli studenti di Francia), ma condotto con grande piglio narrativo.
Per questo alla ‘povna fa piacere parlarne e consigliarlo (e peccato che l’unica edizione italiana, per fortuna integrale, sia ancora limitata alla quella, benemerita, della collana Corticelli della Mursia). Perché è una bella storia, soprattutto. E perché racconta un periodo (quella della transizione europea nella modernità industriale) di cui si è dimenticata la storia, ed è un peccato grosso. E anche l’autore, vale la pena di conoscerlo. Per tutte queste ragioni – insieme a Iome – Senza famiglia e In famiglia fanno il loro ingresso, oggi, al venerdì del libro.


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