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IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica

Creato il 25 febbraio 2012 da Tnepd

Pubblico a puntate un breve saggio sulla storia italiana dal 1946 a Mani Pulite che scrissi un paio di anni or sono, quando ancora prendevo qualcosa sul serio. Purtroppo non è né sfacciato né sboccato quanto i post più recenti e le allegorie sessuali sono davvero rare, pertanto ne sconsiglio la lettura.

Premessa sulle premesse

Mi sono accorto, discutendo di politica italiana con un amico, che molte premesse all’analisi che io davo per scontate non lo erano affatto per lui. Ne deduco che probabilmente esse possono non essere nitide anche per molti altri. Mi prodigherò perciò a chiarire i concetti indispensabili mano a mano che se ne presenterà l’occasione, per evitare fraintendimenti.

Non possiamo esimerci, prima di parlare della politica italiana attuale, dalla redazione di un resoconto stringato delle sue origini. Sia chiaro fin d’ora un assunto metodologico: la ricostruzione che intraprendiamo non ha alcuna velleità di completezza nè d’indubitabilità. Ben inteso, da questa parte dello schermo siamo convinti che un fondo di verità sia celato in quasi ogni sillaba del testo ma anche che gli stessi concetti possano esser tradotti ed interpretati in modi diversi.

Saremo letti da chi già si occupa di analisi politica e di storia ma anche da chi, per esempio, non si è mai posto il problema del perché in un Paese che si presume repubblicano, democratico e sovrano, le leve del potere non siano mai state concesse alle mani del popolo. Invitiamo pertanto tutte le categorie umane che ne avranno occasione, ad approciarsi a questo breve saggio con spirito critico nei confronti della realtà prima che dei suoi interpreti. Le invitiamo a rimuovere temporaneamente ogni disegno precostituito nella memoria ed a colmare quel vuoto coi frutti dell’esercizio intellettuale. Ogni spunto di questo breve saggio sarà così propizio all’elaborazione curiosa di nuovi concetti, alla loro discussione e – nel migliore dei casi – alla loro condivisione.

IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica
Le origini

La Repubblica Italiana nacque nel 1946 e lo fece su fondamenta molto fragili. Colonna portante del neonato spirito nazionale fu da subito una favola, la favola della destra e della sinistra. Diffusa in Italia – al pari di tutta l’Europa – al termine della seconda guerra mondiale, essa riscosse in men che non si dica un successo strepitoso. Ben presto tutti si convinsero che essa non fosse altro che la pura verità e trasmisero questa convinzione ai propri figli e questi ai loro, tant’è che molti ancora oggi – alla terza generazione – sono convinti che non si tratti affatto di una favola.

L’Italia uscì dal secondo conflitto mondiale (1939-1945) con le ossa rotte ma soprattutto con gli americani, le mafie e la chiesa cattolica non solo a piede libero, ma padroni del territorio. Le tre forze in campo non si equivalevano ma si completavano reciprocamente: gli Stati Uniti col loro esercito di soldati, le mafie col loro esercito di picciotti, il Vaticano col suo esercito di preti.

Alla caduta del regime fascista, piaccia o meno, la penisola si presentava come un veliero appena scampato alla tempesta. Il capitano era affogato tra i flutti, l’equipaggio stremato osservava il timone privo di governo. l’Italia visse in quel frangente un drammatico vuoto di potere che necessitava d’essere colmato in fretta. Un’occasione che si sarebbe potuta sfruttare meglio? Probabile, ma in tutta evidenza i tempi non erano ancora maturi. Fu così che lo stivale si immerse a piè pari in una contraddizione di fondo da cui non sarebbe più stato capace di uscire. La Repubblica nacque serva di tre padroni.

I tre armatori recuperarono il relitto e fecero quello che qualsiasi socio di buon senso avrebbe fatto nella stessa situazione: si misero d’accordo e si spartirono ciò che restava del battello e dell’equipaggio. Il loro obiettivo era quello di qualsiasi imprenditore: realizzare un utile maggiore dell’investimento. Il capitale materiale a disposizione era una lingua di terra nel mar Mediterraneo, il capitale umano erano i milioni di superstiti che la abitavano.

Ci piace pensare che la Trimurti si riunì in una saletta riservata di un palazzo vaticano, davanti ad uno scotch e ad un vassoio di tartine al salmone norvegese. Porporati, picciotti e generali… dovette essere una riunione decisamente movimentata. Che cosa decisero?

Grazie al cielo optarono per la repubblica democratica, una soluzione moderna che accontentava tutti. Vedremo poi perché. Gli Stati Uniti, che a sentir loro erano venuti generosamente ad esportare la democrazia, fecero del nord una zona cuscinetto a livello politico-militare ed una loro colonia economica. Le mafie si tennero il sud. Il Vaticano prese in carico il ruolo di collante di tutta la nazione e di moderatore nelle relazioni fra i soci, in altre parole, la direzione generale. A quel punto fu annunciato agli italiani che erano diventati tutti cittadini elettori di una libera repubblica.

I novelli elettori in buona parte erano analfabeti. Gli italiani uscivano dal ventennio fascista e soprattutto da cinque anni di guerra, pochi avevano esperienza di democrazia partecipativa. Non per questo erano dei fessi. Di sicuro non si poteva raccontar loro la verità altrimenti nessuno sarebbe andato a votare. Ma qual era la verità, se mai ce n’è una?

IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica
Bisogna farsene una ragione, la verità era – ed è – che da che mondo è mondo ci sono dei padroni. In origine, forse, ciascuno era padrone di sè stesso e madre natura di tutti, ma durò poco. Presto vennero i capi-villaggio, poi i signori delle cittaà e i sacerdoti. Poi vennero i re, gli imperatori, i monarchi ed i dominii si fecero Stati. Insomma, di padroni se ne erano sempre avuti, gente che usava sedere su troni tempestati di pietre preziose, che s’agghindava d’ermellino, che montava a cavallo alla testa del suo esercito, gente che sfilava in carrozza nel tripudio delle folle. Il popolo, fino alla metà del diciassettesimo secolo, trovava la cosa del tutto normale.

Loro erano loro e tutti gli altri non erano un cazzo.” parafrasando la definizione di questa faccenda data dal magistrale marchese del Grillo. Era stato così da sempre, si badi, da sempre.

Vennero poi le rivoluzioni ‘popolari’ ed i padroni reagirono ciascuno a modo suo. Due esempi opposti: in Inghilterra avvenne una fusione quasi indolore delle esigenze di tutti. Ci volle oltre un secolo di tira e molla ma poi monarchi, grandi possidenti terrieri e popolo finirono per intendersi e trassero in seguito enormi benefici da questa chiarezza di rapporti. Aleksandr Sergeevic Puskin, sul tema, lasciò ai posteri questo motto: ’Giovanotto, se questi miei scritti dovessero cadere nelle tue mani, ricorda che i cambiamenti migliori e più solidi sono quelli che provengono dal miglioramento dei costumi senza nessuno sconvolgimento violento.’ In Francia le cose non andarono altrettanto bene, padroni e popolo non trovarono un accordo pacifico e la misero in rissa.

Tutto quanto detto per chiarire che, prima delle “rivoluzioni democratiche” intervenute nel diciottesimo secolo, i padroni ed il popolo si erano sempre accettati reciprocamente per quello che erano. Ed era stato così da sempre.

IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica
Saltiamo al 1943. L’Italia sta vivendo un momento storico simile alla Francia pre-rivoluzionaria. Dopo due decenni di convivenza, il proprietario (il Re), l’amministratore delegato (Mussolini) e la forza lavoro (il popolo) non vanno più d’accordo. L’amministratore delegato ha accentrato su di sè troppo potere e ne ha abusato. La guerra fa la sua parte nel rendere ancor più critica la congiuntura. Mentre gli operai appendono la dirigenza al ramo più alto, il proprietario (il Re) si scopre solo di fronte a vecchi e nuovi potentati. Preti, soldati e picciotti compongono un esercito che nemmeno Garibaldi… che dio lo fulmini.

La Trimurti, riprendiamo il filo del discorso, ebbe dunque carta bianca. Avrebbe potuto adottare una soluzione conservativa, mantenendo in vita una monarchia di facciata. In questo caso la proprietà sarebbe di fatto passata alla Trimurti ed il Re ne sarebbe divenuto il portavoce. Il Vaticano, interessato ad assumere quel ruolo, si oppose strenuamente all’ipotesi conservativa. Per questa ed altre ragioni prevalse infine l’opzione repubblicana coi suoi pregi ed i suoi difetti. Vediamone i principali.

Anzitutto la forma repubblicana era la nemesi pubblica di quella che in ambito privato si definisce ‘Società per Azioni’. A tal uopo prevedeva la costituzione di un’assemblea, il parlamento, rappresentativa delle ‘quote azionarie’. Nella teoria accademica e nell’immaginario collettivo la proprietà era distribuita all’azionariato diffuso (i cittadini) in quota di una azione a cranio ed il parlamento ne riassumeva gli umori. Nella pratica delle cose, come abbiamo visto, tre soci si dividevano gran parte della torta. La forma repubblicana era decisamente utile anche al fine di preservare la pace sociale. Era popolare, moderna, ‘alla moda’ tra gli intellettuali, un deterrente enorme alle rivoluzioni dal basso. Unico neo del meccanismo: i padroni dovevano lasciare il palcoscenico, bisognava evitare che la gente si accorgesse che “loro erano sempre loro e tutti gli altri, come sempre, non erano un cazzo.”

All’inesperto elettorato italiano del secondo dopoguerra fu fornita una versione alternativa alla realtà, ingenua se vista a posteriori, ma straordinariamente efficace nella pratica: la favola della destra e della sinistra.

IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica
La favola inizialmente era poco più che un canovaccio, naif ma ben congegnato. Raccontava che il mondo, dopo la guerra, si era diviso in due. Da una parte c’erano gli americani, quelli che erano venuti da lontano per liberare (a suon di bombe) l’Italia da Mussolini, dall’altra parte c’erano i comunisti. Gli americani stavano a sinistra sulla cartina ma a destra politicamente. Non una destra cattiva come quella fascista, ma comunque abbastanza a destra. Gli americani erano gente allegra e se uno voleva cercar fortuna l’America era a detta di tutti il posto giusto in cui trovarla. I comunisti mangiavano i bambini e sulla cartina stavano in alto a destra ma politicamente stavano in basso a sinistra. Sulle cartine americane invece i comunisti stavano proprio a sinistra. Gli operai più poveri votavano comunista. I comunisti erano associati al colore rosso ed erano amici dei russi. L’assonanza dei termini facilitò l’associazione d’idee. I russi erano acerrimi nemici degli Stati Uniti.

Da una parte gli azzurri, dall’altra i rossi. Bastava scegliere da che parte stare e votare da quella parte. Questa era la favola. Gli italiani se ne appassionarono.

La Trimurti era tranquilla sull’esito della scelta elettorale. I filo-americani erano numerosi in tutto lo stivale, gli indecisi – che erano la maggior parte – chiedevano consiglio al parroco, al sud la collaborazione delle mafie garantiva un controllo assoluto. Nonostante ciò, nello stupore generale, l’opzione ‘di sinistra’ piacque agli italiani ben oltre le previsioni ed il Partito Comunista Italiano divenne rapidamente il più forte tra i suoi omologhi dei Paesi sotto la sfera americana. Alcuni leaders comunisti di quell’epoca erano davvero convinti che un’economia collettivizzata fosse auspicabile. Che avessero ragione o torto, la Trimurti non l’avrebbe mai permesso. E non lo permise.

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Approfondimenti a IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica

Spronato dai commenti e dalle critiche di alcuni lettori, aggiungo gli approfondimenti relativi al capitolo sotto forma di domande e risposte.

IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica
1. Nella trattazione, a mio parere, il ruolo del Partito Comunista Italiano viene sminuito. Come la mettiamo col ruolo enorme che svolse il PCI nel Comitato di Liberazione Nazionale?

Il CLN fu un governo assembleare straordinario costituito dagli antifascisti nel 1943. Non parteciparono al CLN alcuni gruppi di sinistra che non accettavano il compromesso dell’unità nazionale su cui si basava e che prevedeva la “precedenza alla lotta contro il nemico esterno a fianco dell’alleato angloamericano, spostando a dopo la vittoria il problema dell’assetto Istituzionale dello Stato”. Il primo atto politico del CLN dopo il 25 aprile 1945 fu l’abrogazione delle leggi economiche sulla socializzazione delle imprese. Ora… con tutta la buona volontà, quelle del CLN non mi paiono davvero istanze comuniste. E non dovettero sembrar tali nemmeno ad altri, visto che non aderirono al CLN formazioni politico militari antifasciste di rilevante importanza come Bandiera Rossa Roma e formazioni anarchiche di pesante valenza. La stessa adesione al CLN di Stella Rossa fu complessa e problematica.

In ultimo va sottolineato come l’esperienza dei Comitati di Liberazione Nazionale fu un’esperienza breve (1943 – 1946 meno di tre anni di cui due bellici), contestualizzata in un momento critico e congenitamente disordinato. I reali equilibri del potere vennero alla luce in seguito, a bocce ferme come si suol dire. Con questo non s’intende sminuire il sacrificio dei tanti uomini coraggiosi che parteciparono alla resistenza, ma sottolineare come di quel sacrificio si fecero beffa coloro che assunsero le redini del potere in seguito.

IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica
2. La sinistra e la destra non possono essere una favola, il Fronte Popolare aveva milioni di iscritti in Italia. Non è che gli italiani scoprirono la sinistra. La sinistra c’era già ed era molto potente. Se dietro alla DC c’erano gli americani, dietro al PCI non c’era forse Stalin?

Urge un riassunto stringato delle origini del PCI. Il Partito Comunista Italiano (PCI) fu partorito il 21 gennaio 1921 a Livorno come Partito Comunista d’Italia (sezione italiana della III Internazionale). I suoi dirigenti vissero in clandestinità o in esilio nel corso di tutto il ventennio fascista. Assunse il suo nome definitivo (si fa per dire) il 15 maggio 1943, in seguito allo scioglimento della III Internazionale e mentre ancora operava in clandestinità tra Mosca, Parigi e l’Italia per la sua netta opposizione al regime fascista vigente in patria. Caduto il regime nel 1943, il PCI ricominciò a operare legalmente partecipando immediatamente alla costituzione di formazioni partigiane. I comunisti divennero presto la parte preponderante dei gruppi clandestini della resistenza italiana, organizzati nelle Brigate Garibaldi sulle montagne e nei GAP e nelle SAP nelle città. Oltre alla lotta armata, il PCI continuò il suo lavoro politico continuando nell’organizzazione degli operai e promuovendo scioperi ed agitazioni soprattutto nei primi mesi del 1944. La dichiarazione di guerra del Governo Badoglio ai danni della Germania pose il PCI dinnanzi ad un bivio: continuare nella linea, richiesta dalla base, di contrapposizione frontale a Badoglio e alla Monarchia o l’assunzione di responsabilità di governo. Nel marzo del 1944 Togliatti, dopo aver avuto un incontro con Stalin, tornò in Italia e praticò quella che rimase famosa come la svolta di Salerno con la quale il PCI, anteponendo la lotta antifascista alla deposizione della Monarchia, sancì il proprio ingresso nel Governo. Infatti il PCI partecipò agli esecutivi antifascisti successivi al governo Badoglio I. Nel mezzo secolo successivo non gli sarebbe più capitato.

In Italia, nel 1943 la “sinistra” non c’era. Se chiedevi alla gente se era di sinistra, rispondevano di sì solo i mancini. Non esisteva proprio la “sinistra”. Esistevano i comunisti italiani, ma fino al 1943 erano un manipolo di intellettuali sparsi per le capitali europee.
L’URSS sostenne in qualche modo la resistenza partigiana comunista? Probabile. Ciò avrebbe permesso in tempi brevi una grande diffusione del movimento comunista in Italia? Altrettanto probabile. Ma anche se fosse, la “sinistra” non c’era. Nel 1943, nel 1944, nel 1945 c’era l’URSS comunista, questo sì, nemica dei fascisti e dei nazisti. In un batter di ciglia tutto fu stravolto. Nel 1946 c’era sempre l’URSS comunista, la stessa, ma improvvisamente era diventata nemica degli americani, dei preti e dei bambini. E adesso, finalmente, stava a sinistra.

IN ITALIA [1]: Le origini della Repubblica
3. Secondo me il problema, anche allora (parlo degli anni cinquanta e sessanta) era che il sistema politico-elettorale in Italia non permetteva alternative, pur non avendo assolutamente nulla a che vedere con il maggioritario. La favola, come la chiami, ebbe il “merito” di dare una visione nitida, anche se intimamente distorta (è questo il paradosso, uno dei tanti paradossi di cui la storia dell’uomo è gravida), delle cose ad una massa enorme di gente atavicamente abituata a delegare ad altri il compito di pensare. Però mi chiedo – e ti chiedo – che alternative c’erano in un mondo diviso fra i due blocchi?

Nella fase finale della seconda guerra mondiale il quadro italiano era decisamente complicato. Sul territorio ci ritrovammo contemporaneamente le forze alleate angloamericane che risalivano lo stivale, i fascisti arroccati in settentrione che non mollavano ed altri che si erano redenti, i tedeschi che adesso ci sparavano addosso, la chiesa cattolica che predicava, assolveva e seppelliva, le mafie che tramacciavano nell’ombra, i comunisti che tornavano dall’esilio con tutta l’intenzione di fomentare i movimenti operai. Sappiamo chi prevalse, quella che abbiamo chiamato Trimurti. Perchè? Perchè erano i tre soggetti più forti del momento? In parte è così, ma non solo.

Abbiamo visto che il Partito Comunista Italiano, dal 1944 in poi, aveva preso rapidamente piede tra le masse più povere ma al suo interno le discussioni erano cominciate ben prima. Sebbene esiliati o clandestini, sebbene ancora privi di un seguito significativo, sebbene tutti vittime dello stesso sistema, Bordiga, Gramsci, Togliatti, Tasca e gli altri precursori del comunismo italiano non fecero che litigare per un decennio. Solo l’entrata in guerra del 1940 seppe coagulare le correnti interne in un unico fronte antifascista. Morto il fascismo, svanì anche la momentanea coesione.

Nel frattempo, come prevedibile, gli altri si misero d’accordo per spartirsi la torta e relegarono i rossi al ruolo di eterni secondi, di opposizione permanente, di antagonista inoffensivo in un dualismo artificioso. Nel 1944 Togliatti dovette scegliere se assumere il ruolo di opposizione al sistema o di opposizione nel sistema. Si fece un giro a Mosca e là gli dissero di accettare il gioco proposto dalla Trimurti.

Sarebbe stata preferibile una posizione moralmente intransigente? Era quello il momento di lottare? Probabilmente sì, ma le idee non erano chiare, mancavano le energie, mancava la volontà. Il PCI sarebbe dovuto nascere come alternativa al sistema della Trimurti ed invece accettò da subito il ruolo di comprimario all’interno del sistema. Avrebbe potuto essere un movimento popolare dal basso ed invece finì per essere un movimento di sinistra e questo, lo sappiamo, non significava nulla. Avrebbe potuto lottare per rendere l’Italia agli italiani ed invece finì per consegnare gli italiani alla Trimurti. Ne conseguì che il PCI non sedette mai in consiglio d’amministrazione, fu talvolta invitato ‘a latere’, divenne il sindacato degli operai nell’azienda dei padroni, il cuscinetto tra i tre potenti usurpatori e la massa di proprietari legittimi.


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