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Abbiamo visto nei post precedenti come l’Italia, uscita stremata dalla seconda guerra mondiale, sia divenuta una repubblica democratica apparente nelle mani di tre padroni (o padrini se vogliamo): Vaticano, mafie e Stati Uniti. Abbiamo visto come i tre soci introdussero il sistema lineare destra-sinistra e come dovettero adattarlo alle idiosincrasie del panorama politico italiano. Abbiamo poi rapidamente ripercorso le vicende del sistema partitico nei sonnolenti decenni precedenti a tangentopoli.
Per poterci approciare con cognizione di causa al resoconto delle inchieste di Mani Pulite, urge un riepilogo delle ‘premesse’. Ripercorrere la storia della Prima Repubblica (1946 – 1992) e’ stato un esercizio utile a visualizzare una nostra interpretazione del gioco delle parti, ne faremo tesoro d’ora innanzi. Nella trattazione abbiamo utilizzato sovente la geometria per rendere piu’ comprensibile non tanto la favola della destra e della sinistra in se’ quanto la percezione deformata della realta’ che essa produce nella testa della gente. Per essere ancora piu’ esaustivi utilizzeremo anche una metafora.
Il problema italiano non e’ che Mussoloni racconta solo frottole. Il problema e’ che la gente crede a quelle e non alle poche cose vere che talvolta gli scappano di bocca. Quante volte ha infatti ripetuto agli italiani che dovevano imparare ad interpretare lo stato come se fosse un’impresa? Il famoso stato-azienda fu il suo cavallo di battaglia al momento della discesa in campo del 1994. Nessuno ha preso davvero in considerazione il suo ottimo consiglio. Lo faremo noi.
Dunque e’ cosi’, l’Italia della Prima Repubblica e’ un’azienda. Una SRL a mio modo di vedere. Una Societa’ a Responsabilita’ Limitata la cui proprieta’ e’ divisa fra tre soci, la Trimurti: il Vaticano (una Ditta Individuale), le mafie (in nero e a conduzione familiare), gli Stati Uniti (la piu’ grande Societa’ Per Azioni del pianeta). Ogni socio ha diritto alla nomina di un certo numero di delegati e dirigenti ai vari livelli aziendali, secondo le sue quote. Questi opereranno primariamente nel suo interesse ed in second’ordine nell’interesse dell’azienda. A conti fatti, nessuno dei soci e’ interessato a che l’impresa fallisca, ciascuno mira al proprio massimo profitto ed alla sopravvivenza della struttura che lo produce. I delegati compongono l’assemblea dei soci (il parlamento), i dirigenti il consiglio d’amministrazione (il governo). Tutti operano secondo le indicazioni dei proprietari per un’ottima ragione: sono loro che pagano lo stipendio. L’assemblea ed il consiglio svolgono un doppio compito. Il consiglio e’ preposto a raggiungere gli obiettivi indicati dalla Trimurti attenendosi allo statuto aziendale (la costituzione), l’assemblea deve gestire i rapporti con i dipendenti di fascia piu’ bassa: impiegati, operai e via dicendo. La mano d’opera poco qualificata e’ preponderante, a livello numerico, sulla categoria dei dirigenti. In questo frangente li chiameremo genericamente operai.
Non era sempre stato cosi’. Secoli e secoli orsono, i primi padroni avevano vita piu’ facile di quelli odierni. In origine, una qualsiasi azienda-stato era cosi’: i proprietari (spesso era uno solo, o meglio, una famiglia) decidevano, i dirigenti organizzavano, gli operai eseguivano. Anno dopo anno, rivoluzione dopo rivoluzione, gli operai ottennero il diritto di poter eleggere i propri rappresentanti in un’assemblea che intendeva essere un tavolo di discussione tra operai e proprietari. In seguito gli operai vollero ed ottennero sempre piu’ rappresentanti fino a che non pretesero di trasformare l’azienda in una cooperativa. I proprietari (monarchi, re, papi) erano molto ricchi, ma gli operai (il popolo) erano tanti. A quel punto taluni proprietari accondiscesero a generose mediazioni, altri non vollero sentir ragione e li affrontarono a muso duro. Vi abbiamo accennato nel primo capitolo.
Torniamo a noi. Dopo mille peripezie ed all’insaputa di tutti, nel 1943 l’azienda Italia fu rilevata sottobanco, sull’orlo del fallimento, da quella che oggi chiameremmo ‘una cordata di investitori’ (noi li abbiamo definiti armatori di un vascello scampato al naufragio). Vecchi proprietari (Avanti Savoia!) e dirigenti (il regime fascista) furono estromessi. A quel punto tutte le opzioni erano possibili. I tre nuovi titolari dell’impresa, la Trimurti, optarono per la SRL come forma societaria ma si videro costretti dalla congiuntura storica a registrarla, nel 1946, come cooperativa alla camera di commercio (l’ONU di freschissima costituzione). Per questa ragione, abbiamo detto fin dalle prime battute, la Repubblica Italiana nacque affetta da una contraddizione: era una SRL ma gli operai la credevano una cooperativa. La Trimurti chiese ai dirigenti di svolgere un doppio ruolo: amministrare per i proprietari e recitare per gli operai. Per quasi cinquant’anni i dirigenti assolsero egregiamente alla loro funzione sotto l’attenta regia di uomini come De Gasperi, Fanfani e - primus inter pares - Giulio Andreotti, distinguendosi soprattutto nel secondo obiettivo, recitare con gli operai. Sulla base di un format di grande successo internazionale ma inadatto al pubblico italiano, seppero infatti accattivarsi il sostegno deI settore ‘impiegatizio’ dell’azienda relegando il sindacato operaio (il Partito Comunista) al ruolo di antagonista e nemico del sistema. Seppero alimentare e gestire le lotte intestine tra le fila dei dipendenti. In altre parole convinsero gli impiegati a prendersela con gli operai e viceversa. Divide et impera. Nel frattempo, per salvare le apparenze e per comprendere quale dei tre soci avesse piu’ appeal sui dipendenti, che dovevano lavorare per arricchire proprietari ed azienda, indissero dieci consultazioni elettorali, le dieci legislature della Prima Repubblica.
Come la vedevano gli operai e gli impiegati? D’ora innanzi, quando vorremo parlare indistintamente di tutti coloro che non sono ne’ dirigenti ne’ proprietari, riuniremo tutte le sotto-categorie in una sola macro-categoria che chiameremo pueblo, termine che ci pare assonante alla condizione di totale subalternita’ della volonta’ che le accomuna. Insomma, come la vedeva il pueblo?
Il pueblo andava a votare certo che l’impresa fosse una cooperativa e dunque convinto di scegliere la composizione della dirigenza (quella che con un termine tipicamente italiano usiamo definire classe politica) ed in questo modo il suo avvenire. Si lascio’ cioe’ convincere di due premesse del tutto false: 1. che la dirigenza fosse il potere piu’ alto dell’azienda; 2. che la dirigenza lavorasse per il pueblo. La situazione reale, vista da fuori, era paradossale. Operai ed impiegati dovevano lavorare per arricchire l’azienda (perche’ cio’ fosse chiaro, i fondatori si affrettarono a specificarlo nell’articolo 1 dello statuto ) ma al contempo dovevano finanziarla con una parte dei loro salari (far loro credere che fosse una cooperativa dava grandi benefici ai proprietari). Ad aggravarne l’esistenza, operai ed impiegati soffrivano di una costante condizione psicologica di insoddisfazione senza averne coscienza. Provocata dall’incolmabile discrepanza tra le aspettative immaginabili ed i risultati ottenibili, questa insoddisfazione permanente li motivava al lavoro per scopi del tutto egoistici e li demotivava all’aggregazione ed al dialogo. Ciascuno avrebbe voluto essere qualcosa d’altro, ottenere una mansione meno faticosa, avere un ufficio piu’ spazioso, passare al piano superiore. A quelle menti tenute in uno stato di patologica insoddisfazione, la scarsezza delle risorse pareva la condizione naturale dell’esistenza ed il prossimo un pericoloso concorrente nella corsa ad accaparrarsi la briciola piu’ grossa. Ciascuno fini’ per vedere in ogni altro un nemico.
L’ ‘homo homini lupus’ hobbesiano si rivelo’ quindi la giusta interpretazione dell’umanita’? Forse, oppure a qualcuno molto potente e cinico fece comodo farlo credere agli altri.
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