Siamo al sesto capitolo della nostra breve storia della politica repubblicana. Il consiglio per chi non ne abbia ancora avuta occasione è quello di trombare finché è in tempo, il più possibile. Chi arrivasse qui dopo aver letto il testo fin dal primo capitolo ha tutta la mia comprensione ma farebbe bene a prendere esempio da chi non ha perso tempo ed in questo momento sta già trombando.
Dopo il breve accenno dedicato al riassetto del potere in ambito internazionale, torniamo a dedicarci allo stivale. Il panorama dell’elettorato italiano era cambiato dal 1948 al 1983. Gli analfabeti totali ormai erano una minoranza, gli operai erano sulla via di diventarlo.
La piccola borghesia aveva preso il sopravvento. I contadini non esistevano più, ora c’erano gli “imprenditori del settore primario” con la mercedes 250 grigia alimentata a gasolio agricolo e quattro trattori che facevano il lavoro di cinquecento contadini. La classe povera (almeno il 50% della popolazione nel 1948) stava sparendo e s’assiepava alle periferie delle metropoli. Nei quartieri ‘popolari’ vivevano i “piccoli borghesi”, sposati in genere con donne bruttine (la regola era ancora: il marito in ufficio e la donna a casa), aggrappati con tutta l’anima al destino del primogenito che era stato assunto alle Poste e del secondogenito che avrebbe partecipato al concorso del ministero appena uscito da ragioneria.
Chi aveva investito nel trentennio del boom (1950–1980) aveva messo tanti soldi da parte. Non molta gente, in verità, poiché le prime ad abbeverarsi al fiume di denaro che scorreva furono le aziende statali e le compartecipate dallo Stato con relativi Mandarini. Un buon mezzo milione di imprenditori e professionisti onesti riuscì in quegli anni a mettere una seria ipoteca sull’avvenire dei suoi figli. Un gruppo più ristretto di individui, qualche migliaio di pezzi grossi, aveva già partecipato al gioco negli anni del pentapattuito ed approfittato della collusione col sistema della Trimurti per arricchirsi oltre la soglia della decenza. Questa élite economica trasversale, dalla dubbia tempra morale, sarebbe divenuta nel decennio successivo l’interprete più calzante per il nuovo format della politica italiana.
Per quasi quarant’anni tutto era filato liscio oltre ogni più ottimistica previsione. La formula era semplice: la Trimurti controllava il pentapartito ed il pentapartito controllava il Paese. I movimenti del ‘68 avevano prodotto tanto fumo e nessun arrosto. A conti fatti, per il Partito Comunista, si rivelarono controproducenti. La deriva a sinistra aveva coinvolto solo una ristretta cerchia di intellettuali moderati mentre taluni intellettuali di sinistra avevano percorso la corsia opposta. Si incontrarono a metà strada in un luogo ameno che avrebbe assunto mille nomi nel futuro e che possiamo geometricamente definire centro-sinistra. Passata l’iniziale sfuriata giovanile, il pueblo si rieducò docilmente alla moderazione e tornò ad affollare il centro. Non era accaduto nulla di trascendentale, il sistema non aveva subito traumi. Al ‘68 seguì un decennio tragico durante il quale centinaia di giovani ignari – armati e fomentati dalla dirigenza – si tolsero reciprocamente la vita in una guerra tra vittime che è passata alla storia sotto il nome di “strategia della tensione”. Furono gli anni di piombo, quelli delle Brigate Rosse, Ordine Nuovo, Potere Operaio, Ordine Nero, Autonomia Operaia, Fronte della Gioventù, Avanguardia Operaia. Furono anni di attentati e talvolta persino di stragi. Divide et impera, come sempre i padroni ne trassero beneficio. Nelle pagine di cronaca, i resoconti degli atti di violenza ideologica delle bande armate si mescolavano alle gesta dei picciotti mafiosi mossi da intenti di gran lunga più pragmatici, divenendo un tutt’uno agli occhi dei più. L’interpretazione dei distinguo fra lotta di classe e criminalità comune era una pratica alla portata di pochi. Frattanto, dietro le quinte del potere, gli affari della Trimurti si ingigantivano.Verso la fine degli anni ‘70, Stati Uniti, mafie e Vaticano si convinsero che era necessario riscrivere la favola della destra e della sinistra per renderla credibile ad un pueblo elettorale che aveva cambiato volto facendosi turbolento oltre il sostenibile. Urgevano aggiornamenti. Non c’è alcun dubbio che del progetto si occuparono principalmente gli analisti anglosassoni e vaticani. Sull’asse orizzontale, l’opzione ideologico-antropologica ‘comunisti vs anti-comunisti’ fu scalzata (o per meglio dire arricchita) da quella socio-economica che opponeva l’assistenzialismo socialista del “più Stato e più tasse” a sinistra al liberismo del “meno Stato e meno tasse” a destra. Questa versione evoluta della favola permise alla gente comune di far propria una nuova terminologia nelle discussioni al circolino. Conservatori e progressisti erano i nuovi antagonisti. Ai richiami ideologici internazionali si aggiungeva ora preponderante un dibattito pratico sul vil denaro. L’attenzione malferma del pueblo si concentrò sulla condizione economica degli individui. I ricchi a destra ed i poveri a sinistra. Quello che ai più parve un progresso nella definizione delle parti provocò, alla prova dei fatti, l’esplosione del materialismo nelle scelte individuali e del razzismo sociale nelle relazioni interpersonali. L’americanizzazione della società stava dando i suoi frutti.Fino alla fine degli anni ‘70 gli Stati Uniti si erano accontentati dei benefici finanziari e bellici che la loro quota di proprietà consentiva. L’Italia era divenuta la principale base militare americana in Europa ed il settentrione una fiorente colonia commerciale. Solo quando l’influenza statunitense in ambito internazionale divenne una realtà consolidata in tutti i settori, ossia quando l’americanizzazione dei costumi – e dei consumi – cominciò ad essere definita globale, gli analisti d’oltre oceano decisero di promuovere il restyling della competizione politica nelle colonie e di intervenire con decisione anche in campo amministrativo. Lo fecero in Sud America, in Oriente e nella vecchia Europa. Ovviamente intervennero con decisione anche in Italia.I protagonisti in parlamento rimasero gli stessi, ma il 4 agosto 1983 – i più lo vennero a sapere dal bagnino – le redini del governo passarono ai socialisti, al rappresentante degli Stati Uniti in consiglio d’amministrazione: Bettino Craxi. Sappiamo come andò a finire.