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In punta di piedi

Creato il 13 giugno 2010 da Robydick
(foto: Giulio De Paolis 2003, testo: Roberto Rotunno)
(prima parte. la seconda parte la trovate QUA)
Mi immagino Giulio, in punta di piedi, quando entra nell’Abbazia di Chiaravalle.
Siamo amici e lo conosco abbastanza da sapere che egli, pur ammirandolo quando espresso da altri artisti, non ama riprodurre l' "ArteFatto". A lui il mondo sembra abbastanza vasto e irraggiungibile da non richiedere l'ulteriore "costruzione" di soggetti. E il soggetto è sempre l'Uomo. Anche quando la messa a fuoco è su una scarpa o una vetrina, l'immagine rappresenta sempre un uomo, la "Infinità Finita" di un uomo.
L'Uomo sia chiaro, e non Gli Uomini. Sia l'Abbazia che Napoli sono contesti "comunitari", collettivi e collettivizzanti, ma queste caratteristiche Giulio le coglie nel Singolo, nei riflessi che egli ne porta addosso.
L'azione che Giulio compie sul soggetto si chiama Inazione. Vuole chiamarsi fuori dal contesto, anela ad una invisibilità irrealizzabile perché ricerca sempre situazioni che non si spiano dal buco della serratura. La fotografia "realista" richiede presenza fisica, per ritrarre l'uomo e il suo ambiente nelle immagini, nei suoni, negli odori. Sono sensazioni che non si possono provare dietro una porta o un divisorio.
L'immagine deve essere nitida e chiara, magari rubata alla distrazione, ma quando anche trova la "posa", il soggetto è sempre in qualche modo protagonista, mai passivo. Se il soggetto è il movimento anche l'immagine è mossa, con tutti i limiti del mezzo fotografico e dell'occhio umano. Anche l'uomo non potrebbe fermarsi in quei frangenti e dovrebbe "muoversi" come la scena in cui si trova per poter vedere tutto con chiarezza.
In punta di piediGiulio desidera condividere temporaneamente coi monaci cistercensi il loro particolare stile di vita con due soli dettagli distinguibili: non indossa il saio e ha sempre davanti agli occhi l’implacabile strumento immortalante.
In punta di piediQualcuno all’inizio ne è comprensibilmente infastidito, ma poi la fiducia porta ad invitare Giulio persino nel “retrobottega”, dove qualche strappo alla regola come una sigaretta e un bicchierino sono solitamente consumati lontano da occhi indiscreti.
Sono gli occhi che Esigono da loro comportamenti irreprensibili e morigerati. Sono gli occhi che non cercano nel monaco l’Uomo ma un irrapresentabile Divino. Esigono senza compromessi che egli "personifichi", dia corpo al divino.
Giulio invece è proprio alla ricerca dell’Uomo, e lo trova. Una preghiera non taglia le cipolle e non stira un lenzuolo, però le stesse azioni possono essere compiute in tanti modi diversi, a seconda di quanto la fede pervade appunto anche la più piccola azione quotidiana.
Amo i monaci ritratti da Giulio,
Proprio perché sono Uomini,
con e senza fallo,
come Tutti gli uomini.
Non chiedono nulla agli altri; forse solo rispetto. Non giudicano nessuno perché sono coscienti di condividere coi laici debolezze e virtù. Non impartiscono direttive ma sobri consigli.
Non hanno l’arroganza
del Pastore
bensì l’umiltà,
la passione e la fatica
del Cane Pastore.
Esoterico ed Essoterico si alternano nelle foto senza proporre alcun finale pregiudiziale, ad eccezione della loro sensata commistione.
In punta di piediIl piede nudo si posa sulla stessa terra che il monaco lavora. L'umidità di quei campi, coltivati in una zona di marcite e fontanili, si mischia al sudore del lavoro, permettendo uno scambio umorale tra organismi.
In punta di piediE' lo stesso piede che sarà calzato, anche se solo da una scarpa ginnica, per svolgere le funzioni religiose: in quel momento lo scambio cessa e l'uomo si "dona" all'irraggiungibile mistero, senza ambizioni e con sottomissione. E' l'uomo che prega.
Pipa e telefono cellulare, abito incappucciato e sistemi di videoscrittura, incensiere e distributori del caffé. E' una miscela di antico e moderno facilmente riscontrabile nel mondo orientale, soprattutto in Giappone. In occidente però lascia non poche persone sbigottite. Troppo radicata e nitida tra noi la linea di demarcazione tra religione e vita quotidiana. Gli occhi Esigenti, di cui sopra, strabuzzano a queste visioni. "Il divino è solo antico e non ammette profanazioni!" sembrano voler dire i bigotti, come se il divino abbia una collocazione spazio-temporale definibile.
In punta di piediMa i monaci di Chiaravalle sono superiori a queste cose, come i Maestri coi bambini. E lo fanno senza arroganza e con la giusta discrezione. Sono uomini di compassione. Rispettano e amano il bigotto come chiunque altro.
Amo i monaci ritratti da Giulio,
Anche perché sono Maestri,
nei comportamenti prima che nelle parole,
come Pochi uomini.
In punta di piediQuando la pianificazione serrata della giornata lo consente, si dedicano allo studio e alla lettura. E' un'immagine bellissima e faccio fatica a staccarne gli occhi.
Il monaco ha una postura distesa, come di preghiera. Il suo rispetto verso il testo sacro è illimitato. Non è la prima lettura. Altre volte l'ha affrontata, comprendendo qualcosa e restando consapevole che ancora tutto non era compreso. Allora si toglie gli occhiali. Magari da vicino, focalizzando a lungo la singola parola e impedendosi di guardare altro nell'ambiente, la concentrazione può raggiungere un più alto livello.
Giulio non esiste in questa scena, e realizza il suo ideale di "reporter delle manifestazioni umane".
Lui, il monaco, ha ben diritto ad affrontare quel testo. Ha lavorato duro, quel giorno ed anche tutti i precedenti della sua già lunga vita. Le mani non sono filiformi come quelle dello studioso. Sono mani forti e callose, come quelle di un contadino, figlio di contadini. Anche il viso, bencurato per affrontare al meglio le liturgie, denuncia il tempo trascorso, all'aperto, nei campi.
La schiena curva raccoglie, in quel singolo istante, le fatiche di anni.
Il labbro inferiore sporge nell'ammettere stupore e sorpresa. La schiena è sì curva ma, all'altezza delle cervicali, ha un sussulto verso l'alto. E' un momento di soddisfazione e d'orgoglio. Dopo avere arato, vangato, seminato, irrigato e curato, in ogni dettaglio, la propria mente, egli coglie il giusto premio di tanti sforzi. Il raccolto Incospicuo è il più difficile da portare a termine e non è delegabile ad altri. Devi seguire personalmente ogni fase della produzione, dalla materia prima al prodotto finito. Da solo.
Anche questo semplice e colto monaco è un Uomo e, soprattutto, è un Maestro.
Questi monaci hanno capito che un Maestro di vita non è un intermediario col Divino che ha abbandonato ogni incombenza secolare. Loro rifiuterebbero questa etichetta ma io è così che li voglio chiamare: Maestri di Cultura, Fede e Vita Quotidiana.
Amo i monaci ritratti da Giulio,
Soprattutto perché sono Grandi Maestri
di Cultura, Fede e Vita Quotidiana,
nelle piccole e nelle grandi cose,
come Pochissimi Uomini!

(fine prima parte. la seconda parte la trovate QUA)

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