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In spiaggia un caldo infernale, nel nostro salotto un freddo diabolico. Ecco cinque film horror sotto zero!

Creato il 24 luglio 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Questa estate vi sta uccidendo? Le infradito vi si incollano ai piedi? Appena usciti di casa siete più umidi che quando siete sotto la doccia? Il ventilatore cinese appena comprato sotto casa si è già rotto?

No problema señor! La soluzione ai vostri problemi è tanto semplice quanto piacevole: esorcizziamo questo caldo infernale con una pinta di birra ghiacciata e una selezione di film horror gelidi e magnifici.

5. Frozen (2010)

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Adam Green dopo aver diretto i due ottimi slasher Hatchet Hatchet II si conferma un grande regista anche se con questo film cambia completamente tipo di horror. In Hatchet gli attori correvano avanti e indietro all’interno di un set ricostruito ed era un continuo e divertentissimo spargere frattaglie e membra umane contro gli alberi finti nelle paludi della Louisiana. Con Frozen la musica cambia e parecchio: gli attori prima di tutto hanno poco da correre essendo bloccati su di una funivia. Girato interamente dal vero, senza green screen, con una caterva di practical effects e con gli attori sospesi veramente a diversi metri d’altezza e a morire di freddo.

Frozen racconta la vicenda raccapricciante di tre amici bloccati su una funivia per tre giorni, in cui l’ambiente sconfinato delle montagne innevate diventa una tomba claustrofobica. Green riesce a tenere sul chi vive e ad alzare il pathos con il supporto di soli tre attori: tra congelamenti, mani che si incollano alla ringhiera, pelle che cade a pezzi e gambe spezzate resterete attaccati alla poltrona fino alla fine.

4. Lasciami entrare (Låt den rätte komma in; 2008)

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Lo svedese Tomas Alfredson nel 2008 porta sul grande schermo un film horror dallo stile raffinato e ricercato tipico registi europei. Il film in questione è Lasciami entrare un delicato quanto intenso racconto vampiresco tratto dall’omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist. La neve in questo film ha lo stesso effetto che normalmente ha sulle persone: rallenta ogni inquadratura e la rende potente e poetica.

Lasciami entrare racconta l’evolversi del rapporto tra un ragazzino (Oskar) di 12 anni, vessato da alcuni compagni di scuola, e un ragazzina vampiro (Eli) che ha 12 anni da un po’ di tempo. Oskar non ha amici, Eli è sola, ma terribilmente forte e  farà scoprire al giovane protagonista un’energia che non sapeva di possedere.  La classica figura del vampiro tentatore viene accantonata per far posto ad una Eli che si nutre sì di sangue, ma anche e sopratutto di affetto. Ma quest’ultimo le viene donato. Eli ispira, in chi la incontra, il desiderio di prendersi cura di lei e Oskar ha tanto bisogno di sentirsi importante, almeno per qualcuno. La sua vita è vuota, ma presto potrebbe riempirsi. Se di sangue o di amore questo lo scoprirete solo alla fine del film.

3. The Last Winter (2006)

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Larry Fessenden non è un autore che sforna un film all’anno, in trent’anni di carriera ha diretto solamente nove lungometraggi, ma quando questo accade la qualità è assicurata. Del 2006, The Last Winter chiude un’ipotetica tetralogia horror formata No Telling (film del 1991 e noto da noi come La sindrome di Frankenstein), Habit (1995) e Wendigo (2001). Si tratta di horror attenti prevalentemente alla caratterizzazione dei personaggi, dove il deterioramento dei rapporti umani e dei sentimenti si mescola abilmemte con le vicende horror della trama. In questi film la Natura ha un ruolo primario, diventa quasi un personaggio che si vendica sui sui stessi figli.

The Last Winter è un prodotto low budget caratterizzato da una messa in scena scarna ed elegante, ma con un cast eccellente: abbiamo, ad esempio, un grande Ron Perlman. Il film è cupo, dai colori spenti e sbiaditi e in cui i personaggi sembrano muoversi in un deserto vuoto e senza confini. Campi lunghissimi su un Alaska abbagliante, con le figure umane affogate nel bianco, movimenti di macchina sinuosi e avvolgenti, una caratterizzazione precisa ma parzialmente lacunosa dei personaggi, l’insinuarsi lento ma inesorabile del monstrum, l’arrivo travolgente del soprannaturale che, però, non perde mai  l’aggancio col reale ed un finale apocalittico. Tutto questo da vita ad un film che riesce a evadere, di volta in volta, dalla casella nella quale lo si vorrebbe collocare.

2. Shining (1980)

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Jack Torrance, scrittore che sta affrontando un periodo di crisi creativa, è assunto per fare da custode invernale all’Overlook Hotel, nelle cui camere sono avvenuti, nel corso della sua storia, svariati delitti. Si porta dietro moglie e figlio. Il resto è storia. Capolavoro dell’horror, probabilmente il miglior film di Stanley Kubrick. Un film su cui è stato detto e scritto di tutto. Jack Nicholson non solo offre la sua miglior performance, ma realizza un capolavoro di recitazione come raramente se ne sono viste sul grande schermo.

Tratto dal romanzo omonimo di Stephen King che non ha mai apprezzaato il lavoro di Kubrick definendolo “freddo e distaccato”. Il regista effettivamente, poco interessato alle meccaniche classiche del racconto del terrore, prende in mano una storia fantastica per raccontare quelle che sono le sue ossessioni, innanzitutto il predominio della visione sulla scrittura, della vista sulla parola: lo scrittore protagonista è in crisi creativa e diviene succube delle visioni. Anche suo figlio ne è vittima ma lui vi si oppone e con fatica riesce a contrastarle. La crisi della ragione è un altro tema fondamentale per Kubrick e che ritorna anche in Shining esemplificato dalla figura del labirinto in cui il protagonista è destinato a perdersi per sempre, non trovando più l’uscita.

1. La Cosa (The Thing1982)

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La Cosa di John Carpenter è, per me, uno dei migliori film mai realizzati e, in assoluto, il miglior film horror ambientato in mezzo al freddo e alla neve grazie ad un  Kurt Russell in stato di grazia e alla seconda collaborazione con il regista dopo 1997: Fuga da New YorkLa Cosa è un film che ha segnato la storia del cinema non solo per la qualità straordinaria degli effetti speciali, ma anche per il modo utilizzato da Carpenter per raccontare la crisi dei rapporti umani. Un set straordinario ma anche da esaurimento nervoso: Rob Bottin, tecnico degli effetti speciali, a causa dell’eccessiva responsabilità e pressione psicologica venne davvero ricoverato per qualche giorno a metà dei lavori.

Purtroppo, come spesso è accaduto in carriera a Carpenter, il film non venne capito, e fece quasi fallire la Universal. Distrutto dalla critica che lo definiva pornografico, proprio a causa della grandiosità dei suoi effetti speciali, ancora oggi difficili da superare, nonostante la computer grafica moderna. Il pubblico lo ha snobbato, forse a causa il messaggio pessimistico troppo duro da digerire per gli spettatori.

Andrea Bianciardi



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