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In the flesh

Creato il 19 aprile 2013 da Audrey2

RenWalker

Ideata e scritta da Dominic Mitchell, In the flesh è una miniserie di soli tre episodi ambientata in una immaginaria cittadina del nord del Regno Unito, Roarton, in cui fa ritorno Kieren “Ren” Walker: un teenager zombi che è stato sottoposto a un lungo recupero e cure mediche in un centro del Norfolk gestito dal Governo. Quelli come lui, che per anni hanno terrorizzato il mondo, non vengono più considerati non-morti, ma pazienti affetti da Sindrome del Parzialmente Deceduto (PDS). Grazie alla neurotriptilina, i soggetti che, come Ren, rispondono al trattamento, possono essere reinseriti nelle loro famiglie e nelle loro comunità — e utilizzando una crema cosmetica e lenti a contatto colorate, possono nascondere la loro natura di cadaveri rianimati e apparire “normali”.
Ma i vivi non li vogliono: il tempo e il ritorno a una vita normale non hanno portato conforto, il dolore per le perdite subite inasprisce ancora gli animi. Sono state abbattute le barricate, non c’è più filo spinato, ma solo esteriormente.
A Roarton la situazione è esplosiva: lì, gli aiuti promessi dal governo durante la crisi non sono mai arrivati. Lasciati a se stessi, i cittadini si sono organizzati in una milizia armata (la HVF: Human Volunteer Force) sotto la guida di Bill Macy, fanatico religioso seguace del reverendo locale, per il quale tutti i pazienti affetti da PDS sono demoni che vanno annientati.
Della milizia fa parte anche Jem, la sorella minore di Kieren.

In the flesh è una storia sugli zombi, vista sia dalla parte dei vivi sia dalla parte dei morti — attraverso i personaggi di Ren (il protagonista), Amy e Rick. Nei tre episodi di cui è composta, In the flesh riesce a caratterizzarli tutti perfettamente, imho.

teenage zombie in the flesh

Ren è l’incarnazione del senso di colpa. La prima cosa che veniamo a sapere di lui, quando ancora si trova al centro di recupero per soggetti affetti da PDS, è che prova un rimorso profondo per aver ucciso e divorato una ragazza, Lisa, la cui memoria tornerà a tormentarlo di continuo. E questo nonostante il dottore che lo ha in cura cerchi di convincerlo che lui non ha responsabilità di ciò che ha fatto prima del trattamento. Più che grato della sua risposta positiva alla neurotriptilina e del suo imminente incontro con i genitori, Ren appare spaesato e perso in se stesso. “Non mi sento pronto per tornare”, balbetta. Da un punto di vista strettamente medico, il fatto che Ren “si senta” significa che la neurotriptilina sta facendo il suo dovere, ristabilendo le connessioni cerebrali, ed è su questo aspetto che insiste il dottore. Ma per Ren questo significa ricordare e i ricordi non portano niente di buono. Ren non rifiuta la seconda possibilità che gli è stata offerta, ma nemmeno la accoglie: vi si abbandona passivamente così come, si scoprirà, si è sempre abbandonato passivamente alla vita e altrettanto passivamente l’ha lasciata.

In The Flesh

Al contrario di Ren, Amy vede nel recupero la sua occasione: può riavere la vita che le era stata ingiustamente strappata.
Amy ride, scherza sulla sua condizione di non-morta che se mangia una barretta di cioccolata si sporca le mutande. Era con Ren quando, appena risorti, uccisero Lisa — ma a differenza del ragazzo, lei non si sente responsabile per quel gesto. Amy fa sesso con un vivo e va in giro senza trucco, mostrando con spavalderia la sua “faccia di cadavere”: i vivi ne hanno paura e orrore, perché hanno paura e orrore della morte, ma lei che è tornata non vuole farsi sfuggire questa nuova occasione, non ha più intenzione di restare in panchina.
L’amicizia tra i due sembrerebbe basarsi su un rapporto “di forza” che pende dalla parte di Amy: è lei che cerca di fare uscire Kieren dal loop del rimorso e della paura di farsi vedere in giro per Roarton ed essere riconosciuto. Ma non è così e Amy se ne rende conto, a differenza di Ren.

“You are such a soppy optimist.”
“Optimist? Amy… I killed myself!”
“Okay. So you’re an optimist with depressive tendencies.”

Costretta in modo brutale a fare i conti con i sentimenti dei vivi, Amy fa la sua scelta. Come ognuno dei protagonisti: anche Ren e Rick vengono messi di fronte a un bivio e, in questo, In the flesh non risparmia coltellate al cuore. Garantito.

RickMacy

Rick, amico e love interest di Ren, rappresenta, invece, il rifiuto totale della propria identità. Succube del padre Bill, Rick preferisce ignorare il significato delle sue cicatrici e si comporta come un vivo, anche se questo vuol dire ritrovarsi piegato in due su un lavabo, a vomitare sotto forma di robaccia nera e vischiosa la birra tracannata al pub per assecondare il genitore — a sua volta incapace di accettare che il figlio che ha riaccolto in casa, pur sapendo della sua morte in Afghanistan, è uno zombi. Rick è debole al punto da farsi trascinare da Bill e dai suoi compari della HVF in una caccia al morto nei boschi intorno a Roarton. Debole tanto da trattare Ren come un semplice amico. Dopotutto, era fuggito dal suo rapporto con il ragazzo: piuttosto che restare, affrontare il padre e la comunità, e rivelare i suoi sentimenti, si era arruolato lasciando Kieren a subire il disprezzo. Solo quando Bill gli ordina di uccidere Ren, Rick accetta finalmente se stesso.

TheWalkers

Nonostante la sua brevità, In the flesh sviluppa altrettanto bene i sentimenti dei vivi e a fa evolvere le dinamiche che li legano ai ritornati.
Una cosa che mi aveva colpita, nel primo episodio, era stato il momento della riunione tra Ren e i suoi genitori, al centro di Norfolk: mentre in secondo piano si vede un ragazzo zombi che viene abbracciato dal padre e dalla madre, Ren e i suoi genitori non si sfiorano, restano lontani, sono goffi e a disagio.
Nel corso della serie, una volta chiarito come è morto Ren, viene dato spazio a ciò che provano i signori Walker — e i famigliari di tutti gli altri zombi tornati a Roarton. In due scene che non mi hanno lasciata indifferente, nonostante mi dicessi: “Dai, che fai, ti commuovi?”, i genitori di Ren riescono a fare i conti con il risentimento che provano nei confronti del figlio e con il dolore che li blocca, a causa del quale instaurano con Kieren un rapporto artefatto, triste (anche per me che seguivo la serie, accidenti!), nonostante gli sforzi per dare al tutto una parvenza di normalità.
Il momento in cui il padre di Ren si libera del suo carico emotivo è quello più toccante, più lacerante. Anche per la specularità dell’abbraccio tra padre e figlio con l’abbraccio tra Bill e Rick, dopo che questi mostra il suo viso di morto. Due abbracci che avranno conseguenze assai diverse.
Jem, l’insopportabile sorella minore militante HVF, è la sola ad avere il coraggio di affrontare Ren e le questioni lasciate in sospeso tra loro. E sono tante. Jem è l’unica a chiedere a Kieren: “What you are?”, l’unica a confessargli in faccia la rabbia per la vigliaccheria del suo gesto, il dolore e il vuoto che la sua perdita ha lasciato in lei e il biasimo verso se stessa.

KierenWalker2In the flesh è sicuramente una miniserie particolare, che in poco “spazio” mette in campo tanto, riuscendo a barcamenarsi bene — nonostante l’inevitabile sensazione, a volte, di sovraffollamento di plot e subplot. Essendo stata confermata una seconda stagione, dettagli che in questi tre episodi sono stati introdotti e poi lasciati alla deriva avranno più spazio e troveranno (presumibilmente) risposta. Per esempio: la questione del Profeta zombi e quella del Secondo Risveglio, che sembrerebbe una cosa un po’ buttata via, ma se avesse a che fare con la comunità che il Profeta sta raccogliendo intorno a sé potrebbe portare stravolgimenti mica male.
Belle le atmosfere cupe e uggiose. La lentezza di certe sequenze con Kieren, come quelle delle sue lunghe camminate quando si allontana da casa e vi ritorna, è come se ti facessero entrare “dentro” questo ragazzo, che vive con un ritmo suo, più lentamente e con più difficoltà rispetto ai vivi.
Quello che non mi è piaciuto, piuttosto, è stata l’umanizzazione degli zombi in giro nei boschi intorno a Roarton. Non cercavo l’horror a ogni costo, specie perché è chiaro fin da subito che In the flesh e l’horror sono due rette parallele. Il fatto è che l’ho trovata forzata: il vicario e Bill non fanno altro che tuonare contro questi mostri violenti e sanguinari, ma quando finalmente se ne vedono un paio… non sono affatto quello che ci si aspetta. Non hanno niente a che vedere, per esempio, con Amy e Ren prima del trattamento. Ecco, quelli erano gli zombi che avrei voluto, non gli sdolcinati padre e figlioletta che mangiano educatamente invece di ingozzarsi. Mi sono sembrati un pestone sull’acceleratore del sentimentalismo. Ingiustificato, secondo me. In the flesh è una gran serie anche perché riesce a evitare questi scivoloni nonostante i temi di cui parla. Tra l’altro, l’episodio degli zombi nel bosco ha evidenziato il comportamento incoerente di personaggi come Bill e Gary, un altro militante della HVF che te lo raccomando.
Gli zombi non sottoposti alla cura sarebbero dovuti restare zombi.
Ma, a parte questo, In the flesh è stata una bella sorpresa. Kieren si è rivelato un personaggio meraviglioso, ben scritto da Dominic Mitchell e bene interpretato da Luke Newberry. Per una volta, con Ren, non si ha paura degli zombi, ma per gli zombi, poiché i vivi assaltano le case dei concittadini, degli amici di lunga data, per portare a termine sommarie esecuzioni in mezzo alla strada. Per una volta, con Amy — interpretata da Emily Bevan — non si è contro i morti, ma con loro, quando i vivi si dimostrano brutali, ancora una volta, e in modo gratuito.
La storia vista dalla parte degli zombi funziona. Per fortuna. All’inizio avevo temuto qualcosa alla Warm Bodies. Invece l’idea è stata portata avanti in modo tale che non sono riuscita a restare distaccata, mi sono sentita sempre più coinvolta da Ren e da Amy e dai signori Walker, anche dalla madre di Rick — per la quale, alla fine, mi è dispiaciuto: aveva più coraggio del marito.
Al termine di questa prima stagione, Ren ha deciso di vivere. E io sono curiosa di vedere cosa succederà nella prossima.



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