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Incontri

Da Unarosaverde

Guardo con aria di scuse un ragazzo verso il quale mi sta spingendo un uomo che cerca spazio per se’ e per il bimbo nel marsupio, facendosi largo nella navetta piena. Poi abbasso gli occhi ma li rialzo subito perché’ sento il ragazzo dirmi “Ma tu non sei la professoressa Xxxx”?

Vorrei rispondergli che si sta sbagliando, io non insegno pero’ ha usato il mio nome di battesimo e allora lo riguardo bene negli occhi e ricordo. “Michele!”.

Sei proprio tu, Michele, con lo sguardo di allora che ha perso pero’ i lampi di pazzia e riflette solo allegria, con i capelli chiari, la corporatura forte di ossa grosse e agile di aria aperta.

Michele, che faceva casino in classe e non stava mai zitto e non studiava niente e che ho buttato fuori e che ho spedito dalla preside, alla fine, con dispiacere enorme perche’ la vedevo dietro a questi occhi l’intelligenza ma era offuscata dalla turbolenza dei diciasette anni e io proprio non riuscivo a tenerlo in classe fermo.

Michele, che non era al suo posto in quell’aula dove ho provato ad insegnare una materia che non conoscevo senza averlo mai fatto prima a settanta ragazzi, mentre stavo finendo la tesi.

Michele che non si arrabbiava se allungavo la lista delle note sul registro e diceva che sorridevo sempre e gli andavo bene cosi’.

Michele che a meta’ anno spari’ e mi dissero che faceva il palista e io pensavo che era come andare a cercarsela, matto che era con un lavoro cosi’ e che peccato se si fosse perso per strada.

“Michele stai bene? Hai rimpianti? E’ vero che fai il palista?”. No, per fortuna. Sei un operaio specializzato, installi impianti termici in tutti i paesi del mondo e stai andando a Madrid, dove ti aspetta un aereo per Bogota’.

Michele, che sollievo. Di tutti i settanta ragazzi quelli che mi sono rimasti sul cuore sono tre: tu, uno che si faceva di acidi e pillole e si rincretiniva in discoteca mentre cercava se stesso e mi portava le cassette con la musica del pogo perche’ io capissi e uno che tutti prendevano in giro, perche’ era serio, educato, studioso e forse in giro lo hanno preso troppo perche’ ha smesso di credere in se stesso o forse no. Di nessuno dei due ho piu’ avuto notizie.

Michele che mi ha chiesto dove insegno adesso. Ho risposto che quello era il mio primo e unico anno, una parentesi tra il tempo dell’apprendere e quello del fare, e che ora lavoro in azienda, e che no, non stavo andando a Madrid per turismo.

Avrei voluto dirti tante cose, Michele, ma avevamo in mezzo un aereo intero e la concentrazione tesa di un giorno particolare, quello a cui mi hanno portato tre mesi di lavoro perche’ ieri tutto qui e’ cominciato per davvero e adesso mi aspettano giorni di fuoco e ogni cosa deve funzionare bene, alla svelta. Sto insegnando anche qui, senza che nessuno mi chiami professoressa piu’.

Michele, ci ha separato la folla dell’aeroporto all’arrivo e la tua coincidenza per Bogota’ e chi mi aspettava fuori, per portarmi al lavoro e non ti ho piu’ visto.

Michele, con quegli occhi chiari e sereni, senza rimpianti e con la consapevolezza dei trent’anni: non ti sei perso per strada.

Bravo Michele. Bravo. Questo avrei voluto dirti oltre ad un altro ciao.


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