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India: le donne dimenticate

Creato il 21 settembre 2011 da Thecoevas @TheCoevas

Paradossale, assurda, incomprensibile e piena contraddizioni. Così si potrebbe riassumere la condizione femminile in India, un in cui le donne sono formalmente uguali agli uomini, con gli stessi diritti politici e le stesse opportunità sociali e di lavoro. Un paese in cui la discriminazione sessuale è addirittura vietata dalla Costituzione indiana. Un paese in cui ai vertici della vita economica e sociale si affermano sempre di più nomi femminili, come quello della scrittrice Arundhati Roy, autrice di “Il dio delle piccole cose” o quello di Bhartia Shoban, proprietaria dell’Hindustan Times, uno dei giornali più autorevoli del Paese.

Ma anche un paese negato alle donne. Un paese in cui la cui discriminazione di massa resta una realtà, che affonda le sue radici in tradizioni arcaiche, che le statistiche generali mettono bene in evidenza. Su una popolazione di circa un miliardo di individui, infatti, le donne, a differenza di quel che avviene in quasi tutto il mondo, sono in minoranza: il 48 per cento. Il rapporto è di 929 donne per 1.000 uomini, a conseguenza di una selezione spietata praticata talvolta ancora prima della nascita. Quaranta donne su cento non hanno alcun grado di istruzione, e se in alcuni Stati, come il Kerala, l’alfabetizzazione primaria è prossima alla totalità della popolazione femminile, in altri, come il Bihar, non raggiunge il 28 per cento. Le donne occupano solo l’8 per cento dei posti in Parlamento, il 6,1 dell’amministrazione pubblica, un quarto di tutta la forza lavoro registrata. E se sempre più numerose sono le giovani che frequentano le facoltà di Ingegneria, di Informatica o di Economia, la presenza femminile nelle università è soltanto del 5 per cento. Ma questi in fondo sono solo numeri.

E le storie? Quelle delle donne indiane, raccontano casi strazianti di sfruttamento, di spose bambine vendute per un sacco di riso, di ripudi e prepotenze, di eliminazioni fisiche per questioni di dote. Il rifiuto preconcetto di un figlia, considerata come un peso per la famiglia. Su ottomila aborti registrati a Bombay, dopo un ciclo di esami mirati ad accertare il sesso del nascituro, 7.999 erano feti femminili. Solo un maschio: “La madre era un’ebrea e voleva una figlia”. La discriminazione tra uomini e donne nasce e si perpetua nella famiglia, secondo antiche convenzioni. La donna è destinata fin dalla nascita a stare in cucina, ad occuparsi della casa, sostenendone tutto il peso. È difficile cambiare la mentalità. È così nei villaggi, è così ancora in molti ambienti della città. Se si va a cena in una famiglia borghese, anche benestante, è normale che il cibo venga servito agli ospiti uomini dalle donne, che poi mangiano per conto loro. Molte cose stanno cambiando anche nella società indiana, ma nella profonda India, quella dei villaggi, le tradizioni resistono anche alle riforme, nonostante il sorgere di movimenti di pressione. Dal 1993 un emendamento della Costituzione riserva il 33 per cento dei posti nei consigli locali alle donne. Di fatto, anche quando vengono elette, molte sono convinte a lasciare la delega al marito, perché non hanno il tempo o la capacità di seguire i lavori. Così la forma è rispettata e la sostanza non cambia. Forse ha ragione chi dice che: “Per cambiare le donne dell’India, c’è un solo modo: cambiare gli uomini”.


Filed under: costume, cultura, Diario, Donna, Letteratura, news, Sociologia, Storia, Uncategorized Tagged: Abotro, Arundhati Roy, Bhartia Shoban, Donna Indiana, emancipazione femminile, India, sfruttamento, spose bambine

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