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Inediti di Daniela Andreis

Creato il 01 settembre 2014 da Wsf

Pierantonio Verga - La casa dell'angelo

Pierantonio Verga – La casa dell’angelo

ogni volta penso ti scrivo, poi mi dico non ti scrivo:
e intanto anche i grilli hanno preso un orario appesi alle foglie, frutti estivi queruli e quantici e cricchiano tra loro,
resto così indietro dal caldo, dal freddo, fatua nella folla, sfrego e striscio il pensiero sul muro,
accendo un fuoco per sudare le resine degli anni, i loro scoppi alle caviglie, mine, i fumi neri, gli anelli, i nodi, i nasi e poco sotto, molto appreso alla vita, le cunette dei baci;

con il riflesso di braci, di ombre di abbracci, mi oriento, appaio i ricordi – mughetto e papavero, notte e giorno che si fa notte subito dopo le otto, le tregue delle piogge, le persiane scalette per il sole, non abbiamo mai avuto un balcone? – ti invito a questo palco di ramo, saliamo, amore, sono solo due piani, due chiome: un’altana è questa casa, vedi, piena di mezze misure, dimezzati i soffitti, i piedi come unico metro, sono il cieco, da qui ti scrivo sul retro del foglio, in fondo fondo, e non posso sbagliare se solo ti saluto, in un rigo, nell’ultimo bianco, come il campo di granturco, abbaglio dal treno, il polso fa perno sul finestrino:
un istante e, poco dopo la stazione, le vene sono fiume. come tale vorrei morire con le orecchie piene di arrivi, di limi, di mare.

***

ti manca la parola
sul parapetto dove il gatto fa l’arco di caccia
così discorro con il prato
e con il tuo occhio
che chiudi come lo scultore stonda il difetto di creta
con la subbia e l’uggia dell’unghia
tira questa terra, ti tiri il cielo sulle spalle
mi contieni in storie che ascolto come pagine piene di figure
ti muschi e addolcisci
ti asciughi e scrocchi d’amore,
dora,
d’ora in poi
d’ora in ora
brindiamo alla buona ora
non è festa, non integra
ma volaticcia spora di vita
che andrà dove non sappiamo
dove forse siamo già state
irriconosciute
oh, qualcuno vedrà un ranuncolo
o un solanaceo di campo
solo tu saprai che si tratta di qualcosa
che è sfuggito
al dio che non ha orecchio

agli anni belli chiediamo un passo leggero
agli amori veri solo un verso, d’uccelletto:
ti ho capito.

***

la pioggia di questa casa sta un poco scostata come la donna che esce spettinata; si accomoda come meglio può, finge un cipiglio che non ha, una velleità di campagna di rianimare i fiori, di ricamare i muri di ruggini;
mi ricorda che non mi assorbirò, mi picchietta inutilmente alla tempia, come si fa con i matti,

la notte si buca tutta, mi bagna i piedi in sogno.

***

altre vite non ci sono date per le vecchie care parole, né per sbagliare le pronunce e parlare di case,
ogni minuto è stato contato, il tavolo e il letto spostati, i balli con gli abiti da lavoro sono restati macchiati di fango e di vino, il padre seduto nell’angolo a lasciarsi invitare in mezzo alle braccia o scappare fingendo di avere da fare,
altri giorni non ci sono per gridare, lanciarsi dal punto più alto, il cuore un atomo di uranio, né per arrischiare l’ampiezza del fosso, il buio dell’albero, il ticchiolino della paura, tremare per questo,
e per una spaventosa gioia, inventarci spettri
da infilare sotto i tetti; altre ore non passeranno con i fogli puliti in mano
né per profumarci l’un l’altro di gelsomini, per lisciarci le scapole, salutarci in mezzo alle strade, farci commossi e di passo in passo, disperare del vostro invito alle nozze, scambiarci per sposi,
incedere piano per non essere erosi, come meteore estive,
altro cielo non c’è per discutere di stelle, buffi galilei, perdere le pupille
riempirci di grilli e di stelle le teste.

*

il negozio dell’anello di pietra, i manichini decollati, la finestra con un numero a tre cifre, il cornicione basso dove si riposa il piccione, la strada che porta in stazione.

*

oh-per-dio

*

l’estate è in falsetto.

***

sai, qui si nascondono i libri, non ingombrano il tavolo, vecchi commensali che tiran tardi, che ricordano il ricordo, non parla nemmeno il pavimento calpestato o solo per strisciar di sedie, di periferico oratorio;
qui il senso si distrae con il lustro, è depistato, le finestre chiudono l’occhio alle otto, impaurite di far da faro a qualche baro; il fiume è assordato, così chiaro, infantile e fotografato, catechista in abiti adulti e miniato;
la città, sai, è questo posto, così spaziosa che perdi i passi e inutilmente ti sorpassi e i piedi diventano poco;
così grande è anche il cielo e indicativo che non trovo il nostro – e delle rondini – vuoto votivo.

*

per tanto tempo
ti ho chiesto
a lungo andare
avremo altre, altre cose nel futuro da ricordare?

***

da che lobo la luna
perse
quella notte
la tua stella?
– se mi tocco
sento
una ferita
di pelle più dura
un vuoto di cruna.

*

il grillo rimane nascosto
nel nostro prato:
se sentiamo un canto
profaniamo il segreto,
spezziamo un ossicino
dito per dito
monco è l’abbraccio,
acconciato e timido,
ci fermiamo volentieri al bordo
dove l’invisibile è inconfutabile
e solo così verde e così nostro.

*

eppure c’ero, seduta sul terzo gradino
la mano scostava i capelli
un gesto riempitivo
la finta sul batticuore
assorbivo come un passero il tepore
ti guardavo quando non vedevi
incapace di estirpare in quel sole
la fresca radice del dolore.

*

così potrei riempire ogni bianco?
è come morire senza averti,
punto,
pianto.

***

leiandre

Daniela Andreis è giornalista. Vive a Verona.
Ha pubblicato le raccolte di racconti e fotografie La terra piana (Nuoviorizzonti, 2001) e I maestri del tabacco (Nuoviorizzonti, 2004). Con il racconto La leggenda vera della strega di Terranegra ha vinto nel 2001 il premio di narrativa Giulio Leati.
Ha curato nel 2009 la biografia Due centimetri tra mare e fiume. Storia di Mario Crocco.
Nel 2011 ha ricevuto una segnalazione al premio Lorenzo Montano con la poesia È per non dire.
Nel 2012 pubblica con IncertiEditori Aestella e nel 2013 con Lietocolle, La casa Orfana.

Potete leggere altri suoi testi qui: http://www.illievito.blogspot.it


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