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Inguaribili narcisi?

Da Psytornello @psytornello

selfie

La parola selfie, fino a qualche tempo fa sconosciuta al nostro vocabolario, è entrata a far parte del nostro linguaggio comune come sinonimo del più antiquato termine “autoscatto”. Identifica l’abitudine di scattarsi foto con il proprio cellulare nelle situazioni più curiose, abitudine che pare stia diventando una mania. Sarà mica sintomo di un narcisismo imperante?
Siamo tutti Narcisi. La differenza è che il fanciullo del mito si rifletteva in uno specchio d’acqua, noi nel display dello smartphone. D’altra parte la selfie-mania è solo la punta dell’iceberg dell’epidemia di narcisismo che, secondo i sociologi, sta contagiando il mondo. Tutti ci teniamo a fare una buona impressione sugli altri, tutti spendiamo soldi ed energie per essere belli ed apparire più giovani, tutti ci illuminiamo per ogni “mi piace” aggiunto ai nostri post su Facebook. Ma allora è naturale domandarsi: se narcisisti lo siamo un po’ tutti, ha senso considerarla una malattia?

Ma che cos’è esattamente il narcisismo? Il concetto viene dal mondo della psicoanalisi. Fu Sigmund Freud a segnarne la nascita ufficiale, scomodando il famoso mito di Ovidio: un fanciullo bellissimo che allontanava da sé coloro che lo avvicinavano, compresa la ninfa Eco perdutamente innamorata di lui, si innamora della propria immagine riflessa in uno stagno e passa il resto della vita a contemplarla. Il mito di Narciso, per Freud, descriveva bene la condizione di chi è concentrato troppo su di sé a scapito degli altri intorno a lui. Ma commise un errore. “Freud sosteneva che la distribuzione dell’amore segue la legge dei vasi comunicanti: quanto più lo si rivolge a se stessi tanto più lo si sottrae agli altri e viceversa”, spiega Paolo Migone – responsabile della rivista Psicoterapia e Scienze Umane. “Oggi si ritiene l’opposto: difficile voler bene agli altri se non si vuole bene prima a se stessi”. In altre parole: avere una buona autostima è normale, ed anzi è indispensabile per amare e apprezzare gli altri. Ma c’è una profonda differenza tra un interesse sano per la propria apparenza e l’ossessione per l’immagine di se stessi come se fosse l’unica cosa importante. 

Oggi il narcisismo è quindi un concetto un po’ diverso da quello teorizzato da Freud. “La caratteristica principale è proprio l’oscillazione continua dell’autostima” spiega Migone. “Il narcisista si sente talvolta una nullità, talvolta un essere eccezionale”. L’autostima del narcisista, che può apparire forte e inattaccabile è in realtà sempre fragile: il narcisista si compiace di sé ma si accorge anche, e in maniera distorta e ingigantita, dei propri difetti. Inoltre, non ha alcuna sensibilità per gli altri e per i loro desideri, ed è incapace di amare. Ne sa qualcosa chi si innamora di un o una narcisista: si sente sfruttato, manipolato, e completamente ignorato. Prima però di liquidare i narcisisti come persone irritanti ed egoiste, è importante ricordare come finisce il fanciullo del mito: Narciso, a furia di contemplarsi, si dimentica di bere e di mangiare e si lascia morire (oppure, secondo altre versioni, annega). Insomma, chi è narcisista sta male: prova un senso di vuoto incolmabile e finisce spesso con l’autodistruggersi.

Lo psicoanalista americano Glen Gabbard ha provato a inquadrare due tipologie di narcisisti: il narcisista che crede di essere il migliore di tutti e che reagisce violentemente alle critiche e quello all’apparenza innocuo e compiacente ma dentro di sé pieno di odio e di livore per tutti coloro che hanno successo.  Due persone apparentemente diversissime ma che rappresentano due facce della stessa medaglia. Il denominatore comune, infatti, è l’incapacità di provare piacere nelle relazioni con gli altri e una grande solitudine interiore. Per entrambi le emozioni più familiari sono l’invidia e la vergogna, quelle ignote sono la gratitudine e il rimorso. 

Ma perché si diventa narcisisti? La psicoanalisi individua le ragioni nei primi anni di vita: un futuro narcisista ha genitori freddi e distaccati (non sono rari i casi di abusi e maltrattamenti), oppure – caso oggi più frequente – pieni di esagerata ammirazione e aspettative nei confronti del figlio. In entrambi i casi il bambino non viene visto e riconosciuto per quello che è veramente. Finirà così per sviluppare un’identità, per così dire “fasulla”, e inoltre a sua volta si disinteresserà dei reali sentimenti degli altri, così come è stato fatto con lui. Gli psicoterapeuti sostengono che il lavoro con i narcisisti è senz’altro lungo e difficile: ecco perché abbassare la soglia di attenzione è pericoloso. 

Lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, fondatore del Minotauro, istituto milanese specializzato nei problemi dell’adolescenza lancia un allarme: “Se un tempo c’era il complesso di Edipo, basato sul senso di colpa, oggi prevede il complesso di Narciso, basato sulla vergogna. C’è una frangia sempre maggiore di adolescenti che soffre per la bruttezza, e per un sentimento di inadeguatezza che li fa sentire fragili. I ragazzi che non riescono a soddisfare gli altissimi ideali radicati nelle loro menti sviluppano quelle che noi chiamiamo ‘patologie della vergogna': si va dai disturbi della condotta alimentare, come l’anoressia e la bulimia, ai gesti di autolesionismo, al ritiro sociale”. Il dato più allarmante è forse quest’ultimo. Il fenomeno degli Hikikomori, vera e propria epidemia in Giappone, riguarda oggi anche l’Occidente: ci sono più di 70000 ragazzi italiani che hanno smesso di andare a scuola e vivono chiusi nella loro stanzetta perché non si sentono all’altezza del mondo.

Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 268 – Febbraio 2015


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