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Intermezzo: la vita da bambini

Creato il 02 agosto 2013 da Lafenice
Intermezzo: la vita da bambini Stasera: prendo l'auto e decido di andarmi a prendere un buon gelato (rigorosamente cioccolato e bacio, i due gusti che prendo sin da piccola) nel piccolo paesino di provincia in cui sono cresciuta.
Me ne stavo seduta a terra con le gambe incrociate accanto ad una pianta di rose nei giardini comunali, leccavo il mio gelato ed ascoltavo i discorsi di mia madre e d'una amica di famiglia, quando vedo alcuni bambini. Erano un gruppetto di almeno cinque piccole pesti, di età compresa tra i 4 e gli 8 anni. Correvano, urlavo, si divertivano: insomma, erano bambini. Ed ecco che io, dall'alto dei miei – quasi – venticinque anni, ho iniziato a pensare a quando c'ero io, al posto loro. Ero una bambina scorbutica, con i più grandi. Per nulla diplomatica, se non ti conoscevo io non ti salutavo, punto. Mia mamma diceva “Elena, saluta!” ed io mettevo il broncio, mugugnavo un ciao tra i denti e mi giravo dall'altra parte. Fine dei discorsi. Amavo stare con gli altri bambini, soprattutto d'estate, quando uscivo la sera per andare in paese. Giocavo ai quattro cantoni, a nascondino, a “rincorriamoci” con le solite facce, ovvero i bambini con cui ero cresciuta. Ogni sera tornavo a casa fradicia di sudore, ma contenta perché non avevo più forze per fare altro se non dormire. Amavo anche stare per conto mio, lo amavo molto. Giocavo ai “travestimenti”: prendevo i vecchi vestiti che mia madre utilizzava per andare a cantare con la sua vecchia band (ruggenti anni 80) e facevo le sfilate di moda nel corridoio di casa. Grazie ai travestimenti, ho imparato a portare i tacchi alla tenera età di 7, 8 anni. Ballavo, chiusa in sala. Utilizzavo l'impianto stereo di mio babbo, mettevo su un cd di Britney Spears o Christina Aguilera e cantavo, e ballavo, e cantavo e ballavo ancora. In quella piccola sala ero una star, una cantante talentuosa, una ballerina incredibile. Avevo tanti amici, soprattutto maschi. Ero troppo aggressiva per andare d'accordo con tante bambine femmine. Ecco perché, al mio fianco, c'era sempre una, al massimo due bambine e tanti, tanti maschi. Non sono mai stata il classico maschiaccio, per quanto odiassi i vestiti tutti pizzi e merletti che mia mamma mi obbligava a mettere. Non perché mi sentissi più maschio, quanto perché mi costringevano a non essere libera. Di muovermi, di correre, di ballare. Poi arrivano i 12/13 anni ed iniziano le beghe. Partono i primi flirt. Dio, flirtavo tantissimo. Il bello è che, come poi mi accade anche adesso, flirtavo senza nemmeno rendermene conto. Se qualcuno attira la mia attenzione, ecco che lo sfido, lo provoco. Ma è sempre stato un atteggiamento slegato dal mio essere “femmina”, non ho mai pensato razionalmente “ok, ora sfodero tutto il mio fascino e ti lego a me con lo scotch”. No, era sempre più una questione di “sono qui ed hai attirato la mia attenzione quindi, stupido troglodita, dimostrami di che pasta sei fatto”. Si, sono sempre stata molto ma molto aggressiva. Ma non l'ho mai visto come un problema. Perché è un'aggressività latente che emerge soltanto spinta dalle circostanze, non so se mi spiego. Ad ogni modo, quando ho compreso che questa mia costante provocazione era intesa come flirt, ecco, mi sono vergognata tantissimo. La vedevo come una cosa che facevano soltanto quelle fighette che giravano con la gonna, i tacchetti finti (quelli quadrati da 1 centimetro e mezzo) e con i cardigan rosa. Io avevo abbracciato la modalità

Intermezzo: la vita da bambini

il mio, però, era rosso

“hippie/grunge”. Amavo le clark, i jeans a campana rotti, le canotte corte, i lunghi capelli mossi. Mi sentivo.. sexy così, per quanto questo è un termine che posso comprendere soltanto ora. All'epoca ero giusta, e basta. Avevo il booster, giravo per la campagna con i miei amici e la mia belva (il booster), avevo i miei morosini e vivevo nel costante dramma emo fatto di conflitti in famiglia, amore per i propri amici, e sigarette fumate sul tetto della palestra per non farsi vedere dai genitori. A quell'epoca, sognavo Londra. Amavo i Verve, ed ecco che vedevo la mia vita proprio la, da vera e propria londoner.
Poi arriva il moroso e, rullo di tamburi, arriva il sesso. Ed ecco che, la pudica e perennemente imbarazzata Elena, scopre i piaceri della carne e, rullo di tamburi, capisce che le piacciono. Lo devo ammettere, c'ho messo qualche anno per capire che non c'era nulla di male nell'apprezzare un'attività apprezzata da ogni essere umano sulla faccia del pianeta. Ma quando l'ho capita.. ha iniziato a piacermi di più. Con il moroso sono arrivate nuove beghe: la scuola, gli amici nuovi che devono prendere il posto di quelli vecchi, e.. il futuro. A 17 anni, ero certa che, dopo il Liceo, avrei trovato lavoro, sposato il mio moroso e sfornato qualche figlio. Dopo un anno e mezzo ho capito che: 1, avrei fatto l'università, 2, sicuramente non avrei sposato il mio moroso in quanto parte di una coppia scoppiata in una valle di lacrime e 3, qualche figlio.. magari con l'inseminazione. Lasciato il mio ex moroso, ho iniziato a capire meglio il mio corpo, per quanto l'abbia compreso davvero, soltanto ultimamente. I fianchi ampi e le cosce carnose, il problema di una vita, sono diventati un enorme punto di forza. Basta mettere i tacchi (alti), mettere qualcosa di attillato ed ecco che.. quel fondoschiena mi piace. Così come quelle cosce. Per non parlare del naso, il naso talmente “vissuto” che, non appena prendo confidenza con qualcuno di appena conosciuto – e questo da sempre – eccolo che salta fuori dicendomi “ma Elena, ti sei rotta il naso che c'hai.. dai, quella “montagnetta” proprio li nel mezzo..”. Ma, veramente, è sempre stato così quindi..taci. Poi, con un po' di impegno ed un aumento dell'autostima, ecco che quegli spigoli che ho al posto del naso diventano qualcosa senza cui la mia faccia avrebbe un altro aspetto e, dato che la mia faccia mi piace, per dinci, allora anche il naso va bene. E che caspita. Ad ogni modo, qualsiasi problema (o paranoia) abbia percepito dalla pubertà fino ad oggi, quando ero come quei bambini.. non c'era. C'era soltanto l'Elena, capite, l'Elena che viveva e basta, senza chiedersi il perché o il per come (e pensare che ho iniziato a chiedermelo molto presto;)). Questa sera, però, guardando quei bambini.. non li ho invidiati e non ho nemmeno pensato “quanto sarebbe bello tornare indietro a quell'età!”. Ho pensato, piuttosto, che bello aver superato quell'età, avere tantissimi ricordi che, ogni tanto, riaffiorano e.. capire che è bello essere come si è. Una risultante di tante, diverse situazioni che.. mi hanno fatto così. Quindi, grazie bambini per avermi fatto ricordare quando ero come voi: anche se non è passato troppo tempo, me lo ero dimenticata!
Buona notte e buona fortuna a tutti!

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