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Intervista a Filippo Kalomenidis

Creato il 22 dicembre 2010 da Paolo Franchini

Nome: Filippo
Cognome: Kalomenidis
www.sottolabottiglia.it
Ultimo lavoro: Sotto la bottiglia

Intervista a Filippo Kalomenidis

Filippo Kalomenidis

Hai carta bianca: descriviti come preferisci.

Sono uno che scrive e affronta sempre la vita all’insegna di quello che un tempo veniva chiamato “estremismo umano”. Racconto  le storie dei marginali, dei sottoprivilegiati, dei rifiuti umani perché sono gli unici ad avere consapevolezza e spietata saggezza in un mondo dove ci si è rassegnati alla mediocrità delle emozioni. Evito di usare per me etichette professionali come scrittore o sceneggiatore. Le schizzo via quasi fossero il sintomo di una febbre spaccaossa africana. Nell’attuale contesto culturale, moltissimi si autoproclamano “scrittori” perché pubblicano pulitissimi sgorbi neri su carta bianca che vorrebbero essere racconti o romanzi e altrettanti si autodefiniscono “sceneggiatori” perché buttano giù frasi meccaniche che diventano cartoline borghesi e che non sanno librarsi in immagini abbaglianti nei film e nella fiction televisiva. Quindi lascio loro questi rassicuranti appellativi. Ciò che conta sono le storie che riesco a narrare sia che si tratti di romanzi o di script per l’audiovisivo. Sono un terrorista psicologico che scrive. E l’unica cosa che importa sono i miei figli, gli ordigni letterari con cui cerco di emozionare, scuotere, ferire l’anima dei lettori e degli spettatori.

Ti va di raccontarci il tuo ultimo lavoro?

Il mio romanzo “Sotto la bottiglia” racconta i moderni “rum runners” nella Roma di oggi, i contrabbandieri del cosiddetto  “alcol nero”. Ragazzi sardi, rumeni, polacchi, albanesi  che rubano le cisterne di “alcol greggio” da una distilleria per rivenderlo a un’altra, che trafugano le bottiglie dai magazzini dei grossisti per smerciarle a proprietari di locali notturni e wine bar senza troppi scrupoli. Sono la manovalanza dell’odierno “proibizionismo dei prezzi alti”. Aumenta il consumo di alcolici e aumenta il prezzo degli alcolici. Di conseguenza in tanti si organizzano per procurarsi illegalmente bocce a quaranta gradi e piazzarle a basso costo al miglior offerente. Una realtà micro-criminale pressoché sconosciuta prima dell’uscita del mio libro. Bevono forte e diffondono litri e litri di alcol per le strade. Quasi volessero disinfettare una città e un mondo luridi.  Uno di loro, Luna & Sole, un trentenne alcolizzato, con l’epatite B cronica, s’innamora di LA’. Una quindicenne a cui nessuno, prima di lui, ha mai insegnato a vivere a pieno le proprie emozioni e la propria bellezza.  Una storia d’amore estremo in una Roma inedita. La Roma dei non romani. La Roma dei Barbari, degli immigrati italiani e stranieri che cercano di conquistare ogni notte la strada e guardano ai monumenti e alle bellezze storiche come a giganteschi parchi giochi. La Roma di coloro che compiono il rituale di pisciare sulle Mura per avere l’illusione di impossessarsi della città. Proprio come facevano i soldati delle orde barbariche quando erano convinti di poter impadronirsi per sempre della capitale più bella del mondo.

Intervista a Filippo Kalomenidis

Filippo Kalomenidis

Quando hai iniziato a scrivere, sapevi già che – prima o poi – ti saresti imbattuto in un progetto come questo?

Sin da ragazzino, quando scrivevo stronzate dimenticabili,  ho sempre voluto raccontare chi vive ai margini.  Perché istintivamente ho sempre preferito frequentare e vivere a contatto con i dropout, con gli ultimi, siano essi stranieri, delinquenti, devianti, sradicati, alienati di qualunque estrazione o autentici malati di mente, piuttosto che con i privilegiati.  Ho sempre avuto il trasporto puro per la devianza e il patologico di cui parla Alfred Doblin. Quando nel 2005 ho conosciuto nei chioschetti delle periferia romana Pietro, Celik, Habib, dei ladri e contrabbandieri d’alcol, e sono diventato loro amico, non ho avuto il minimo dubbio che dovessi raccontare, rielaborandole, reinventandole, riempiendole del mio immaginario, le loro vicende, le loro esistenze, il loro inventivo, lirico e crudo “linguaggio dell’asfalto”.
  
Hai mai ballato sotto la pioggia?

Sotto la pioggia non mi sono fatto mancare quasi nulla…Con la musica incantevole della pioggia, ho ballato solo una volta e per di più era una pisciatina di cielo debole debole. Mi manca la danza sotto un temporale pieno però. Spero di rimediare presto…Come direbbe Cortàzar: sono uno a cui piace “nuotare senz’acqua”.

Esiste un libro che avresti voluto scrivere tu?

Più di uno. Per non essere troppo palloso te ne citerò solo cinque. “L’azzurro del cielo” di Bataille, “L’Ultima tentazione” di Kazantzakis, “Requiem per un sogno” di Selby Jr, “La Trilogia della città di K” di Agota Kristof e le poesie di “Vi scrivo da un carcere in Grecia” di Panagulis.

La tua canzone preferita è…?

Non c’è una sola canzone. Se voglio piangere di gioia “Satellite of love” di Lou Reed e “When logics die” dei Soulwax, se voglio farmi del male “A Ballad to forget” sempre dei Soulwax, “You can’t put your arms around a memory” di Johnny Thunders e “Loverman” di Nick Cave. Ma non sono solo un “giovane Werther indemoniato” come direbbe Lalla, una lettrice che mi ha scritto dopo aver finito entusiasta “Sotto la bottiglia”. Ascolto pure musica violentissima o stordente dance.

Sotto la bottiglia, la copertina

E’ un medium in cui, in mezzo a mille paletti, si può sperimentare tantissimo sia dal punto di vista della struttura del racconto che delle soluzioni visive. E soprattutto ci si può confrontare con l’appassionante dimensione del lavoro collettivo di scrittura. Sarò stato fortunato a scrivere per serie forti e innovative come Ris-Delitti Imperfetti, Ris Roma, Intelligence e Il Tredicesimo Apostolo, ma posso dire che, oltre a prendere dei soldi che fanno bene alla salute, sono state delle esperienze in cui mi sono divertito molto e che mi hanno fatto crescere tanto come autore. E soprattutto in cui ho avuto ed ho splendidi rapporti di scambio creativo con i diversi team di editor. Da spettatore, invece, quando ho tempo, guardo un po’ di tutto ad eccezione di certi triciclici per anziani in forma di fiction che somministrano ogni tanto su raiuno.  A quel punto, meglio il lexotan in gocce autentico e il soffitto da fissare…

E con il cinema?

E’ uno strumento espressivo che mi ha affascinato fin da pischellino. Se in televisione conta il ritmo, la velocità con cui l’idea, l’immagine e la parola arrivano allo spettatore, quando scrivi per il cinema, è decisiva la capacità di pensare per quadri avvolgenti, la volontà di portare chi guarda il film in un mondo nuovo e farcelo immergere fino al naso e a volte pure oltre.  Sono fiero di aver scritto un film coraggiosissimo come “Io sono con te” di Guido Chiesa.  Ancor più fiero di aver resistito per realizzarlo all’esperienza di collaborazione con altri autori più complicata e sgradevole che abbia mai vissuto.  Ma alla fine è sempre il risultato ciò che conta.

Hai mai parlato al telefono per più di due ore?

Giocoforza sì…Che puoi fare quando la persona che ami è distante centinaia di chilometri? Che puoi fare se alcuni dei tuoi amici fraterni vivono lontani? Credo di essere la cavia ideale per scoprire se le onde dei cellulari procurino davvero il cancro o altri simpatici danni alla salute.

Ti piacciono i proverbi? Ne usi uno più spesso?

Certo che mi piacciono, provengono da un mondo arcaico e contadino dove le parole avevano ancora una smisurata importanza. Uso spesso il greco “nell’uomo è la testa piccola che frega quella grande”, l’affettuosa maledizione sarda “che ti possa dissolvere al vento come la fuliggine di un fuoco appena acceso”, e l’albanese “il bene non ha soffitto, il male non ha pavimento”.

Hai tre righe per dire quello che vuoi a chi vuoi tu. Ti va di usarle?

No. Mi diverto quando i calciatori, dalla serie C2 alla serie A, fanno goal e corrono verso la telecamera per urlare amore verso la donna della loro vita oppure odio eterno verso chi li ha insultati o bistrattati. Ma ci sarà pure un motivo se gesti del genere li compiono persone che passano le loro giornate tra playstation, shopping e night fighetti.

Intervista a Filippo Kalomenidis

Filippo Kalomenidis e l'attore Vinicio Marchioni

Ti sei mai rapato i capelli a zero?

Sì, due volte. Sempre per la cara polizia italiana. La prima risale a più di dieci anni fa: fui fermato per vilipendio della bandiera italiana durante una manifestazione di protesta contro i bombardamenti sulla Serbia (pardon, la missione di “pace attiva” in Serbia…). Poco tempo dopo venni indagato pure per propaganda antinazionale e vilipendio delle Forze Armate. Insomma così conciato pensavo di essere più rassicurante per gli agenti della Digos che mi avrebbero interrogato nei giorni successivi. L’effetto fu opposto. Avevo un aspetto terrificante, a metà tra il frequentatore di un centro d’igiene mentale e un “cavallo” pronto a smerciare ketamina. Tant’è che, prima di cominciare con le domande, mi chiesero se con quel look carcerario, da Earl Copen di Sassari, mi stessi già preparando a un lungo soggiorno in cella. Mi rapai di nuovo alcuni anni dopo: da anarchico militante ero diventato un propagandista della repressione e della polizia di stato. Scrissi parecchi episodi della “Nuova Squadra 1  e 2” e, per entrare meglio nella logica sbirresca, mi rasai il cranio come certi Falchi napoletani. Con aggiunta di un orecchino per lobo e giacche jeans e in pelle in Porta Portese Style. Per scrivere di loro, dovevo provare a pensare come loro, sentire come loro, dovevo somigliargli anche fisicamente.

Se potessi cambiare una cosa (ma una soltanto) del tuo ultimo lavoro, che cosa sceglieresti? Il titolo? L’immagine di copertina? Altro?

Di “Sotto la bottiglia” al momento non cambierei nulla. Tranne – mi dispiace per l’amico Ugo Ciaccio della Boopen Led, bravissimo grafico – l’immagine di copertina. Un romanzo così chiaro e acuminato per quanto visionario non può avere in copertina un disegno tanto sfocato e confuso. Oggi ci metterei “I bevitori o le quattro età dell’uomo”, di Van Gogh. Magari il mio editor Aldo Putignano, con cui ho un fantastico rapporto di amicizia e collaborazione, leggerà l’intervista e mi farà questo regalo per la ristampa…

Quando scrivi, hai un lettore di riferimento oppure scrivi solo per te stesso?

Mentre tiro giù le mie storie devo sbalordire prima di tutto me stesso, commuovermi se è il caso,  avere attacchi di panico se il racconto deve scatenare ansia, esaltarmi, divertirmi se la vita di quelle pagine è scatenata, eccitarmi se descrivo l’Amore. Mi chiedo solo se il mio romanzo sia in grado di arrivare in modo diretto, forte, devastante. Mi assicuro che l’ordigno letterario sia in grado di esplodere e fare vittime tra i lettori. E se la polvere e gli acidi con cui lo preparo mi lacerano la pelle, vuol dire che in tanti possono farsi male.

Tra due ore si parte per un viaggio su Marte: scegli tre oggetti da portare con te e un aggettivo per descrivere l’umanità ai marziani.

La catenina d’oro di mio padre, il lettore mp3 carico di musica e una bottiglia d’acqua frizzante. Quanto all’umanità da descrivere ai marziani, direi soltanto che è marcia e saporitissima…come il formaggio sardo con i vermi…

La cosa che più ti annoia, quella che più ti diverte e quella che più non sopporti.

Gli esseri umani. Possono generare in me tutti gli stati emotivi che hai elencato.

Stai già lavorando al tuo prossimo libro? Se sì, ci regali un’anticipazione?

Sì, sto lavorando a un nuovo romanzo. E’ quasi pronto. Racconto ancora una volta, ma con un’altra chiave rispetto a Sotto la Bottiglia, l’Amore come contagio. Contagio di cose incantevoli e terrificanti al contempo. L’Amore è sempre contagio e io cerco di descrivere questa infezione con una tenerezza che fa male.

Prima di salutarci, l’ultima domanda è tua. Chiediti quello che vuoi, ma ricorda anche di risponderti.

Filippo, sei pronto ad andare da Makhbul sulla Tuscolana per prendere un kebab completo, una birra scrausa e andartene affanculo?

Sì, sono prontissimo.


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