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Intervista a Francesca Capitoli, Team Manager della Graphistudio Pordenone

Creato il 11 luglio 2013 da Simo785

“…si continua con il nostro progetto, una prima squadra in A da costruire anno dopo anno con l’innesto di giovani …

“…il calcio femminile vive della pura passione di chi lo pratica… eppure questa passione viene sfruttata… In Italia il problema non è il calcio maschile in sé, ma la scarsa volontà di far crescere altro…”

Intervista a Francesca Capitoli, Team Manager della Graphistudio Pordenone

Inizia il nostro speciale sul calcio femminile e sul prossimo campionato di serie A. Oggi ospitiamo la Team Manager della Graphistudio Pordenone, Francesca Capitoli (nella foto), che ci fa il punto sulla prossima stagione, su quella appena trascorsa e sul movimento del calcio femminile in Italia.

 

Intervista a Francesca Capitoli, Team Manager della Graphistudio Pordenone
Dopo una lunga trafila nelle categorie minori, finalmente siete approdate a pieno merito in serie A, come è stato il primo campionato nella
massima serie e come è stata valutata dalla società la salvezza ottenuta (senza peraltro ricorrere ai playout) ?

“Un anno da matricola ha presupposto una serie di “legnate” specie per mancanza di esperienza. La grande forza di questa squadra è stata l’umiltà mista alla voglia di concretezza.  Quella concretezza che ha permesso di far penare le “big” e di far punti  contro chi dovevamo, ottenendo una più che meritata salvezza a tre giornate dalla fine.”
Quale è il vostro ricordo più bello di questo campionato?

“Il ricordo più bello dura una stagione. Fondamentalmente l’aspetto più bello (oltre a quello calcistico nel vedere la bravura delle donne in questo sport)

è avere il privilegio di lavorare per il sogno e l’amore e il rispetto che le calciatrici  (siamo onesti, quasi tutte) hanno per il calcio.”

Quali sono i vostri obiettivi per la prossima stagione ?

“Si continua con il nostro progetto, una prima squadra in A da costruire anno dopo anno con l’innesto di giovani in modo da creare qualcosa di duraturo e competitivo. Un vivaio, o settore giovanile, impostato per “costruire” calciatrici che siano le future titolari in serie A. Stiamo provando (con tutte le difficoltà del caso e del movimento) a diventareun riferimento per il calcio femminile, dove il sogno delle calciatici possa trovare realizzazione. Ma queste sono solo belle parole, c’è tanto da fare. Sia in termini culturali che di “maniche tirate su”.

Come agirete sul mercato, sia in entrata che in uscita?

“Le ragazze che vogliamo portare in prima squadra debbono avere grande esperienza e grandi capacità di mettersi a disposizione (come d’altronde la nostra vecchia guardia già fa), di molte giovani giovane.
In uscita ci siamo mossi, dopo tutte le valutazioni del caso e sempre riconoscenti per chi indossa la nostra maglia, in ottica di miglioramento. Siamo convinti che per migliorarsi debbano fare le giuste potature al momento giusto, anche se il ramo a volte può dare ancora frutti.”

Se potesse ingaggiare una giocatrice a sua scelta da un altro club,
chi prenderebbe e perchè?


 

“Per me le ragazze che sono in squadra rappresentano ciò che voglio. Senza voler sminuire nessuno né facendo la gradassa, ma chi
arriva qui è una giocatrici che vogliamo con la quale ci siamo scelti in maniera convinta.”

Crede che il movimento del calcio femminile sia destinato a
crescere nel breve termine in Italia o l’attenzione verso quello maschile vi oscura troppo?

“Il problema è complesso e affonda – a mio dire –  le radici nella cultura italiana: una “monocultura sportiva” tesa a valorizzare e solo il calcio maschile. Eppure non è questo non si deve pensare come un problema altrimenti si aspetterà sempre qualcun altro che faccia le cose per noi.

Il calcio femminile vive della pura passione di chi lo pratica e di chi assicura alle ragazze di poter giocare. Eppure questa passione viene
sfruttata “dall’alto” nella maniera peggiore: facendo in modo che sia le giocatrici che chi lavora in questo mondo alla fine ceda, smetta,
esaurisca le energie per la mancanza di progettualità e quindi di investimenti. 

In Italia il problema non è il calcio maschile in sé, ma la scarsa volontà di far crescere altro.”


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