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Intervista a Lanfranco Fabriani

Creato il 23 novembre 2015 da Beltane64 @IrmaPanovaMaino

Nato a Roma nel 1959, Lanfranco Fabriani si è laureato in letterature comparate con una tesi sulla fantascienza post atomica. Argomento quanto mai innovativo e particolare, molto apprezzato a livello mondiale ma poco compreso sul territorio nazionale.Intervista a Lanfranco Fabriani

Sì, ho cominciato a leggere fantascienza molto presto, probabilmente avevo dodici o tredici anni. In realtà ho iniziato prima a leggere fantascienza e poi Salgari, in un percorso al contrario rispetto a quello di molti miei coetanei. Nel 1986, all'epoca della mia laurea avevo già scritto alcuni racconti e avevo letto veramente molto di fantascienza. Era quindi naturale che, avendone la possibilità, grazie alla lungimiranza del mio relatore, io ne approfittassi per coniugare la mia passione di lettore con una passione accademica per la critica letteraria.

La prima volta è stata una grande gioia anche perché all'epoca sembrava che questo avrebbe aperto chissà quali porte. In ogni modo io vinsi il premio Urania al terzo tentativo. avevo presentato il romanzo che vinse due anni prima, e avevo saputo che era entrato in finale ed era piaciuto abbastanza. L'anno successivo inviai il secondo romanzo che piacque un po' meno - sicuramente era a un livello di revisione inferiore - ma colpì il fatto che avesse la stessa ambientazione. Quindi il terzo anno ripresentai il primo, riscritto e limato al mio meglio. La seconda volta che ho partecipato e vinto la sensazione è stata quasi di fastidio. Di fatto io non ritenevo giusto dover vincere una seconda volta il premio Urania per poter pubblicare con Mondadori - in passato con altri non era stato così - e avevo cercato ripetutamente di farlo pubblicare extra premio.

Intervista a Lanfranco Fabriani
Non sono sicuro che siano proprio i più difficili da scrivere, d'altronde offrono una grande possibilità proprio per i paradossi, se uno ci vuole giocare. Sicuramente sono romanzi che vanno strutturati e che difficilmente possono essere scritti dall'inizio alla fine, di getto. Ma d'altronde questo non è il mio modo di lavorare, che si tratti di un romanzo o di un racconto, io in genere lavoro per scene e microscene, e quasi sempre la fine è scritta immediatamente dopo l'inizio, poi si riempono i piani, si tirano su i tramezzi.

Nel caso dei due romanzi temporali c'è stato un po' di lavoro, ma neanche eccezionale. Per quanto riguarda il primo, a parte che è servita la mia preparazione universitaria in letteratura italiana e storia, in realtà sono bastati un libro sulla vita quotidiana nella Firenze del 300 e la guida della Toscana del Touring Club. Nel caso del secondo, un pochino più complesso per i riferimenti, una biografia di Cristoforo Colombo, qualche articolo su internet relativo alla Guerra Bianca e alcuni articoli sempre su internet relativi alla storia dell'Unione Sovietica negli anni trenta. Una preparazione abbastanza veloce, insomma.

Il premio Italia viene assegnato a posteriori a pubblicato nel corso dell'anno, non è un concorso. Per rispondere alla domanda, dipende, può essere importante e non esserlo. Accumulare partecipazioni non significa nulla se non ti aiuta a fare la messa a punto. Se partecipi e ottieni un riscontro da parte di qualcuno, e ti rendi conto se c'è o meno bisogno di modificare qualcosa è un conto, se invece non ottieni riscontri, o avendoli ottenuti tiri dritto ignorandoli allora è una cosa molto differente. Poi certo, può far comodo far girare il nome, ma quello è un di più e non so quanto sia realmente utile. Credo che per uno scrittore la necessità di curriculum non si ponga, conta quello che sai fare, non i titoli che hai accumulato. Personalmente comunque ho sempre partecipato a pochissimi concorsi perché secondo me sono una distorsione rispetto al rapporto che dovrebbe instaurarsi tra autore-editore-pubblico. In passato ho partecipato quando ero molto giovane a un premio Robot (organizzato dalla rivista all'epoca pubblicata dall'editore Armenia) poi ho partecipato al premio Urania perché era assolutamente indispensabile e questa è la regola che mi sono imposto. Nella mia opinione, e questo l'ho detto molte volte, un autore scrive - in accordo o meno con un editore - sottopone il proprio lavoro, se questo vale qualcosa l'editore lo contatta, chiede eventualmente delle modifiche, e il lettore legge. Il partecipare a un concorso letterario - e spesso non c'è nemmeno dietro la promessa di una pubblicazione - dove si viene valutati assieme agli altri da una giuria, riporta il lavoro dello scrittore a una via di mezzo tra un concorso statale e il festival di Sanremo. E non è un caso che poi i perdenti e i lettori assegnino a un concorso letterario lo stesso livello di attendibilità che si riserva nell'immaginario collettivo a un concorso statale o al festival di San Remo. Ed è un uso strettamente italiano. Mi dispiace ma su questo punto sono parecchio rognoso.

    Dato che continua ancora la diatriba fra cartaceo e digitale, qual è il tuo punto di vista al riguardo?
    Intervista a Lanfranco Fabriani

Credo che possa essere una svolta per gli editori, se si riescono a proporre prodotti di qualità a prezzi inferiori rispetto alla copia stampata. Non molto inferiori perché comunque i costi fissi sono abbastanza standard. Può invece rappresentare una trasformazione per il mercato, se prendiamo in esame il punto di vista dell'autoproduzione. Al contrario, debbo dire che da questo punto di vista, come lettore ho avuto anche delle brutte esperienze, mi sono capitati tra le mani libri auto-prodotti che non sarebbero mai stati pubblicati da un editore, non nello stato in cui li ho letti io. Questo è pericoloso, da un lato si può disgustare il pubblico e renderlo diffidente, dall'altro, e questo forse è persino peggio, si può indurre un abbassamento dei suoi standard, se una cosa costa poco, pretendiamo poco e ci abituiamo a pretendere poco.
Ritengo inoltre che il fenomeno ancora non sia stato realmente capito. Noi ci comportiamo come se l'ebook fosse un libro che viene comunque fruito nello stesso modo. Ma non è così. Io mi siedo in poltrona o mi stendo sul letto a leggere la sera, e con il libro in mano faccio soltanto quello, se decido di abbandonare la lettura faccio uno sforzo cosciente e debbo alzarmi o muovermi. Se alcune pagine mi annoiano, al limite le salto, ma continuo la lettura, difficilmente chiudo il libro e ne prendo un altro. Con l'ebook, sfogliato su un ebook reader, se due pagine annoiano magari siamo portati a passare direttamente a un altro libro, ripromettendoci di tornarci domani e poi non ci torniamo più. Nel caso di un ebook, letto magari su un tablet, la modalità di lettura sarà ancora differente, intanto potrei leggere le email ogni dieci secondi, o interrompermi continuamente per controllare Facebook o altro, e se alcune pagine del libro, che sto leggendo, mi annoiano, magari anziché cambiare libro mi metto a guardare un film o a giocare a tetris, il libro quindi non ha più diritto, al cento per cento, dell'attenzione e l'esperienza della lettura viene modificata radicalmente. Mi chiedo come si deve porre un autore, di fronte al proprio testo, al pensiero che un cedimento, sia pure minimo, può portare all'abbandono della lettura da parte del lettore. Forse è meglio non pensarci.
E poi, forse, prima o poi sarebbe ora di cominciare a pensare a forme nuove del testo, puntare magari anche alla multimedialità o almeno all'ipertestualità. Oppure vogliamo rimanere legati allo sfogliare il testo in modalità sequenziale, come facciamo ormai da migliaia di anni a questa parte?

Per quanto riguarda la fantascienza direi proprio di no, il mercato non è in grado di assorbire una produzione individuale che consenta di viverci. In altri campi non so se esista realmente uno scrittore completamente puro che non faccia anche traduzioni o altra attività in campo editoriale o non abbia un'altra attività.

Deprimente, non tanto per il lavoro che viene svolto, certametne professionale - posso parlare esclusivamente per la fantascienza - quanto per il numero dei lettori. Chiaramente questo condiziona l'intero quadro.

Intervista a Lanfranco Fabriani
Dal mio punto di vista di scrittore dilettante di fantascienza direi che non cambia nulla. Dal punto di vista del lettore posso soltanto essere preoccupato da un impoverimento del quadro, anche se c'è comunque da dire che stiamo parlando di due grossi editori dalle politiche molto simili. Sicuramente però dal punto di vista degli autori il panorama del mercato si è ridotto, a meno che la cosa non si risolva in una fusione puramente finanziaria che conservi la molteplicità dei marchi e delle strutture editoriali. Ma a parte questo, il punto è se cambierà qualcosa riguardo ai piccoli e medi editori che cercano di accedere al mercato delle librerie dal punto di vista della concorrenza.

A parte il lavoro, per il resto leggo e consumo televisione in modo compulsivo, serie televisive intendo.

Devo portare a termine il ciclo prima che qualche lettore, dopo le mie continue promesse decida di passare a vie di fatto. Poi sto pensando progettando un romanzo o alcuni romanzi brevi con una stessa ambientazione ambientati in una Italia futura.


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